Il giorno della Repubblica - Lapresse (immagine presa dal sito di Avvenire) |
2 giugno 1946.
La fine dei Savoia, la fine di una monarchia che aveva consegnato il paese ai fascisti, che aveva firmato le leggi razziali. Un re che, un mese prima del referendum, aveva abdicato mandando avanti il figlio, la faccia pulita (?) sperando di rimanere a Roma.
De Gasperi che minacciò di mandare i carabinieri per mandar via il re che, ben prima di Trump, non voleva riconoscere il voto degli italiani.
Il primo voto alle donne, finalmente, che votano all'89%.
La fine della monarchia per il passaggio ad una repubblica democratica e parlamentare.
Basta coi personaggi che urlano alla folla dal balcone.
L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
Su un lavoro di tutti, col contributo di tutto, non di un uomo solo al comando che decide in modo insindacabile (perché lui non sbaglia mai).
Su un lavoro che, ancora oggi, non è pagato in modo dignitoso, che non garantisce alle persone quell'autosufficienza economica per poter vivere liberi.
Per anni abbiamo confuso la festa della Repubblica con la festa dell'esercito, così come per anni abbiamo confuso il lavoro come una gentile elargizione del datore di lavoro (ah, ti devo pure pagare?).
Ancora oggi, festa della Repubblica, si sentono commentatori dire che non ci sono più giovani disposti a lavorare per colpa del reddito di cittadinanza.
Giovani che si trovano davanti salari bassi, contratti precari, assenza di politiche per la casa (ovvero affitti altissimi nelle grandi città).
Non è questa la normalità di cui abbiamo bisogno. Non è questa la Repubblica disegnata dalla nostra Costituzione.
Oggi è la festa della Repubblica, della nostra repubblica, di tutti, non di qualcuno è basta, non della repubblica privata. Dei diritti privati, degli interessi privati.
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