Ritorna Presadiretta in questo settembre di campagna elettorale, dove cresce l'inflazione, crescono i prezzi, per cause anche legare alla guerra in Ucraina.
C'eravamo lasciati con la guerra in Ucraina appena iniziata .. e si ritorna con la guerra che ancora continua e le conseguenze non si fermano all'Ucraina, ma sta mettendo alla fame interi paesi.
La guerra del pane
Nel mondo sono scoppiate le rivolte per
la fame, come in Sri Lanka, con l'assalto al palazzo presidenziale
costringendo alla fuga il presidente.
L'economia era stata già
messa a dura prova dalla pandemia, ma la crescita di carburante e
cereali ha messo in ginocchio la popolazione – racconta il servizio
di Elena Stramentinoli: lo Sri Lanka ha dichiarato bancarotta,
l'inflazione è cresciuta e non accenna a diminuire.
La guerra e
il clima impazzito stanno mettendo in crisi anche l'India: la
temperatura oltre i 40 grandi ha fatto appassire le piante dei
cereali, spingendo al suicidio molti coltivatori.
In Pakistan
per non perdere il raccolto si è deciso di mietere prima del tempo,
anche questo paese importava il grano dall'Ucraina.
Sull'isola
di Haiti le bande armate approfittano della crisi, per la mancanza di
cibo e acqua. La crisi ha colpito anche lo Yemen, già sconvolto
dalla guerra, oltre ai paesi africani: stiamo rischiando la peggiore
crisi alimentare dal dopoguerra, una “catastrofe nella catastrofe”
la definiscono alla Fao.
Anche il Libano sta andando in default,
sempre per il rincaro dell'energia e dei cereali: il pane si continua
a sfornare, ma gli scaffali dei supermercati sono vuoti, perché
viene venduto dai forni direttamente alle persone.
Il pane a
Beirut costa di più per il rincaro del carburante per tener acceso i
forni: siccome il governo non ha soldi per comprare grano, i piccoli
panificatori non hanno più farina, per soddisfare i bisogni dei loro
clienti.
Un sacco di farina costa oggi 50 euro, prima della
guerra erano 20 euro: così i panificatori devono cercarla al mercato
nero.
Questo mercato è alimentato dai panifici più grandi, che riescono ancora a ricevere farina ma, anziché fare pane, smistano parte dei sacchi per il mercato nero.
Il pane è la base dell'alimentazione delle popolazioni più povere, ma sono cresciuti i prezzi anche di tutti gli alimenti in generale: per fare la spesa si deve girare per diversi negozi, per trovare cibo più economico, verdura, pane, carne.
Succede allora che molte famiglie
richiedono l'aiuto dei volontari del WFP, anche persone con un
lavoro.
Cosa succederà quando il governo non potrà più
permettersi di pagare i sussidi per le persone povere? Ma quanto
successo vale per tutto il mondo.
Il viaggio in Ucraina
Leopoli la chiamano la piccola Parigi, il centro storico è patrimonio mondiale dell'Unesco: dopo l'invasione russa la città è stata fortificata e i monumenti messi in sicurezza.
I morti, le bare, le persone che
piangono i loro cari ricordano a tutti che la guerra c'è, anche se
lontano dalla città: Iacona è andato in Ucraina a fine giugno,
quando la Russia aveva cominciato l'offensiva nel Donbass.
Ogni
giorno c'erano funerali a Leopoli, col pianto dei parenti e le bare
portate a spalla dai soldati.
Ma anche nei piccoli villaggi da
cui sono partiti i soldati si vedono le stesse scene: tombe, foto di
ragazzi in uniforme, persone che piangono.
Ma c'è anche
la guerra per la fame, che preoccupa la FAO che, in Ucraina, sta
seguendo la situazione delle famiglie nelle zone rurali, che vivevano
con la coltivazione del grano.
Villaggi che oggi ospitano
profughi scappati dalle zone di guerra: la FAO ha dato a queste
persone, senza casa, i semi per piantare patate. Un bene prezioso, in
tempo di guerra, per dar da mangiare ai profughi e ai loro figli.
La
guerra non è solo morte, bombardamenti: è anche campi non
coltivati, persone che devono lasciare le loro case, stipendi che non
arrivano, case distrutte.
Persone come Nataljia, che si occupava
di informatica e che oggi si ritrovano improvvisamente
povere.
Iacona è andato a Kiev, una metropoli sul fiume
Dnepr: sulla periferia c'era un hub di merci oggi riempiti di derrate
alimentari per le persone colpite dalla guerra, alimentato dalla Fao.
Se la guerra continua il paese rischia il default, la gente oggi ha
fame un paradosso se si considera che fino a ieri era l'Ucraina a
sfamare i paesi del sud del mondo.
Da Kiev verso sud, Odessa, coi campi di
girasole, coi campi di grano dove la mietitura è già iniziato: qui
si trovano i silos che raccolgono il grano prodotto nel paese e che
poi viene inviato via treno nel resto del paese e sui porti del mar
Nero.
I russi hanno attaccato il sistema ferroviario per mettere
in crisi questo sistema di trasporto dei cereali su ferrovia: nel
mirino delle forze armate russe c'è proprio l'industria
agricola.
Non solo, dietro di sé hanno lasciato le mine, hanno
bombardato i silos rendendoli oggi non più utilizzabili.
Oggi Odessa è una città chiusa, nel
mare davanti non parte nessuna nave verso il resto del mondo: il
blocco dei porti sta bloccando tutta l'economia dei cereali, creando
un danno economico importante nel paese, perché consente l'ingresso
di valuta pregiata.
Senza export di grano mancano soldi, senza
soldi non si possono pagare i contadini e oggi i grandi silos
dell'Ucraina sono ancora pieni.
Se i silos rimarranno pieni i
contadini saranno costretti a non mietere i campi, non avendo posto
dove stipare il raccolto di quest'anno.
Il grano che manca sui
mercati internazionali è fermo in Ucraina dove non vale più niente,
perché in Ucraina ne hanno in abbondanza.
Ci sono anche problemi logistici nel
portare il grano fuori dall'Ucraina coi carri merci, per un problema
tecnico: i binari in Europa hanno uno scartamento diverso e nei paesi
a confine mancano i carri in numero sufficiente per raccogliere i
cereali.
I cereali viaggiano anche via gomma sui camion, che
però si muovono a rilento verso i porti sul Danubio per far
viaggiare i cereali sul fiume.
Se la guerra continua e se perdura il blocco dei porti, secondo la FAO è a rischio la produzione del grano ma il rischio si estenderà al mondo intero.
Ospite in studio il direttore
della FAO, Maurizio Martina, che ha spiegato qual è il punto
sull'accordo per il grano: è stata una mediazione difficile, in una
situazione drammatica. Ad oggi 114 navi sono partite dai porti in
Ucraina verso Libano ed Egitto.
Serve una accelerazione per
svuotare i silos e per non arrivare ad ulteriori crisi nel mondo: ci
sono ancora problemi per far muovere le navi e molte di queste vanno
verso paesi ricchi e non verso paesi più bisognosi.
Dietro ci
sono contratti commerciali stipulati prima della guerra: è mancata
la solidarietà internazionale, per far arrivare il grano a chi ne
aveva bisogno.
Siamo dentro una tempesta perfetta, tra
guerra e cambiamenti climatici – ha spiegato Martina – il
combinato di questi fattori rende questo momento estremamente
delicato.
Dopo il grano, nelle prossime settimane ci si dovrà
preoccupare del riso: l'aumento del costo delle energia, dei
fertilizzanti, sta colpendo paesi più fragili.
Ma come
si forma il prezzo di questi cibi?
È solo colpa della guerra?
Presadiretta ha raccontato di chi
specula sul grano per tenere artificialmente alto il suo prezzo: le
primavere arabe sono nate dalla fame, dal cibo che manca, dai governi
del sud del mondo corrotti e incapaci di sfamare la loro
popolazione.
Oggi siamo in una situazione analoga: il costo del
grano è oltre la soglia che causa le sollevazioni della popolazione,
ma il suo aumento non dipende dal fatto che sul mercato c'è meno
quantità di questo cereale, il blocco delle esportazioni ha
influenzato il prezzo, per il grano rimasto nei silos.
Presadiretta ha intervista Jennifer Clapp economista e ricercatrice di Ipes Food: “l’invasione ha condizionato i mercati perché c’erano 20 ml di tonnellate di cereali nei silos ucraini e quindi i prezzi ne hanno risentito, ma ci sono grandi scorte di grano al mondo, quindi parte delle perturbazioni dei prezzi che abbiamo visto in questi mesi non dipendono dalla quantità di grano che abbiamo.”
“Abbiamo
livelli record di cereali a livello mondiale” prosegue sul tema
l’economista Frederic Mousseau dell’Oakland Institute “le
scorte di grano hanno superato le 300ml di tonnellate secondo i
calcoli della FAO, nel mondo abbiamo quantità sufficienti per tutti.
Quindi il blocco della navi o le tensioni con la Russia non sono la
spiegazione dell’aumento dei prezzi. Il problema è che oggi
abbiamo degli approfittatori che utilizzano questo conflitto per far
alzare artificialmente i prezzi, comprano oggi a 50 per rivendere
domani a 100. Scommettono sul grano come al casinò e questo sulle
spalle delle popolazioni più povere che per colpa dei loro giochi
non riusciranno a mangiare.”
Ad investire su
questi beni ci sono banche, fondi di investimento: fanno palate di
soldi comprando e vendendo contratti a termine, i future, un mercato
secondario attorno a cui girano tanti capitali, cinque volte il
valore del grano scambiato.
Il prezzo è legato agli speculatori
finanziari, che si sono arricchiti grazie al conflitto: gli
investitori oggi stanno scommettendo sulla fame del mondo,
continuando a compare futures il che causa l'aumento del prezzo di
grano.
Giancarlo Dall'Aglio specula sulle materie prime:
ogni giorno decide dove puntare i suoi soldi. È etico lucrare sui
prezzi, considerando che intere popolazioni non hanno di che
mangiare?
“Nessuno si diverte a non far
mangiare la gente” racconta il trader. Ma il problema etico e
morale rimane.
Ma non c'è il trader napoletano: molte banche
d'affari come JP Morgan hanno consigliato di investire, speculando,
sulle materie prime.
Il commercio internazionale dei cereali
nel mondo è controllato da cinque grandi aziende che oggi stanno
ritardando la distribuzione del grano, facendo alzare il valore:
società come la Caregill, Glencore che negli anni della pandemia
hanno aumentato i loro profitti – raccontano i ricercatori di
Oxfam. Altro che economia di mercato.
Abbiamo lasciato che
il cibo diventasse valuta di scambio per arricchire pochi. È stato
Bill Clinton che ha deregolamentato il settore, facendo partire
l'assalto alla diligenza.
Con leggi più severe sulla finanza,
con una economia di mercato senza etica, avrebbe evitato queste
carestie.
La politica cosa vorrà fare con questa
economia virtuale che non porta benessere al mondo ma arricchisce
pochi avvoltoi, sanguisughe, sciacalli?
Servono regole nuove dentro lo spazio del commercio internazionale – è il commento di Martina.
Anche in Italia l'aumento del prezzo
del cibo e dell'energia stanno mettendo in crisi le famiglie: anche
nelle città italiane, come Padova, i volontari raccolgono cibo nei
pacchi per le persone in difficoltà, non succede solo in
Libano.
Perché anche in Italia ci sono persone che vivono sul
filo del rasoio: stipendi bassi, pensioni misere, lavori saltuari.
Questi pacchi aiutano famiglie in difficoltà a superare
l'inflazione, il rincaro delle bollette. In Italia si sta abbattendo
uno tsunami sociale: avere un lavoro non aiuta in questo momento, per
colpa dei salari da fame che girano in certi settore.
Il
lavoro ha perso valore e dignità: Donatella Benigni ha combattuto
contro la chiusura della sua azienda, deciso da una multinazionale
americana. Il suo stipendio è diminuito di 400 euro, i suoi figli
lavorano nella ristorazione dove le persone lavorano più ore di
quante risultano su contratto.
Come risponde l’Europa a chi specula sulle materie prime?
L'Europa
ha stanziato nuovi fondi dopo l'invasione dell'UCraina, nuovi sussidi
per gli agricoltori, che potranno coltivare anche le aree ecologiche
che dovrebbero essere tenute a riposo.
In Europa non abbiamo
problemi di carenza di beni alimentari, siamo grandi esportatori: il
prodotto c'è, non mancherà sulle nostre tavole. L'Europa vorrebbe
sfamare il mondo, come ambizione, ma in realtà vende a paesi ricchi:
la nostra agricoltura europea non è sostenibile, poiché buttiamo
via cibo che nessuno consumerà.
C'era bisogno allora di
coltivare su altre aree, come ha deciso l'Europa?
Hanno prodotto
più mangime per gli allevamenti intensivi di bestiame: in Europa
abbiamo 7 miliardi di animali di allevamento, per cui il grano che
produciamo diventa foraggio per questo bestiame.
La zootecnia
intensiva è causa di inquinamento, della fine della biodiversità,
ha un alto impatto ambientale: in Italia non rispettiamo le direttive
europee sui nitrati, sulla concentrazione di ammoniaca.
Ogni anno l’Unione Europea sovvenziona l’agricoltura con 60 miliardi di euro (con la politica agricola comune), il problema è che la maggior parte dei fondi è distribuita in base alla superficie, più ettari possiedi più soldi ricevi, idem per il bestiame, più animali = più soldi.
Circa l'80% dei soldi finisce al 20% dei beneficiari: la politica europea dei sussidi non è affatto sostenibile, questi pagamenti diretti hanno finito per sostenere soltanto la grande agro-industria orientata verso una produzione intensiva, un fenomeno particolarmente evidente nei paesi dell’est Europa, come l’Ungheria.
Presadiretta
ha visitato la Talentis Agro,
la più grande azienda agricola del paese con 50mila ettari di terra
e 8500 vacche da latte che producono 85ml di litri di latte
l’anno.
Makai Szabulbs, AD di Talentis, racconta come la
scorsa annata sia stata buona, hanno guadagnato circa 15 ml di euro,
di fronte ai 5 ml di euro di finanziamenti dai contributi della PAC.
L’azienda
è di proprietà del miliardario
Lőrinc Mészáros, l’oligarca numero 1 un Ungheria, amico di
infanzia del premier Victor Horban, imprenditore nel campo
dell’edilizia, del mondo petrolifero e nell’agrobusiness. Il suo
non è un caso isolato: da quando, nel 2004, l’Ungheria è entrata
in Europa, i fondi della PAC sono diventati la gallina dalle uova
d’oro, Victor Orban ci ha costruito sopra la sua popolarità,
promettendo di dare le terre statali, ex sovietiche e i sussidi
europei alle piccole e medie aziende nelle campagne, stravincendo le
elezioni del 2010 che l’hanno portato al potere.
Ma era una
bugia, come ha spiegato a Presadiretta la giornalista Gabriella Hurn:
“non sono i piccoli agricoltori a prendere la terra, ma persone con
buoni agganci, avvocati, persone con legami politici, imprenditori di
ogni genere che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura.”
Caso emblematico della speculazione economica sui terreni
agricoli è Kishantos,
ex fattoria biologica modello, fondata nel 1998, che si estendeva su
452 ettari.
“Cinque giorni dopo la vittoria di Orban nel 2014” racconta Sàndornè Acs Eva fondatrice di Kishantos “hanno distrutto ogni pianta nei nostri campi”: i nuovi proprietari, imprenditori e grandi compagnie oggi coltivano in modo intensivo, utilizzando prodotti chimici di ogni tipo, pesticidi, fertilizzanti.
Oggi
la politica agricola europea si trova ad un bivio perché deve
adeguarsi al piano strategico “farm
to fork”, dal campo alla tavola, fortemente voluto da Franz
Timmermans: riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 20% di
fertilizzanti, dimezzamento degli antibiotici negli allevamenti,
raggiungimento del 25% di agricoltura biologica.
Ma contro
questo piano si sono sollevate le proteste degli agricoltori, come
nei paesi bassi, sostenuti da una parte della politica europea di
centrodestra che pensa che i limiti imposti dalla strategia “farm
to fork” possano danneggiare le produzioni agricole.
“Se non
comprendiamo che Farm to Fork è un tentativo di salvare
l’agricoltura, non di punire l’agricoltura, alla luce dei
devastanti effetti della perdita della biodiversità e dei
cambiamenti climatici sulla produzione alimentare globale allora
siamo davvero fuori strada” tuona il vice presidente della
commissione Timmermans.
Ma questa strategia è sotto attacco
dalle lobby dell'agricoltura, dai partiti di destra, dall'industria
agroalimentare: stanno lanciando campagne allarmistiche dove si
sostiene che, diminuendo i pesticidi, crollerà la produzione
agricola.
Usano la crisi e la guerra per bloccare ogni
evoluzione progressista in agricoltura: ma è una visione miope, o ci
avviamo verso una agricoltura sostenibile, oppure saremo destinati a
veder distruggere l'ambiente e l'agricoltura.
Ancora una volta la politica dovrà fare delle scelte. Su sostenibilità, disuguaglianze, sovraproduzione di cibo, speculazione sulle materie prime, salari da fame.