Foto di Letizia Battaglia presa dalla pagina di Libera |
Dispiace che, in un momento in cui la politica, specie questa destra oggi al governo, abbia tanta voglia di raccontare la storia italiana (e riscriverla come fa comodo ai camerati), che in pochi si siano ricordati di quanto avvenne in Italia nell'estate del 1985.
Tra i pochi lo storico Francesco La Licata, che su La Stampa ricorda due cadaveri eccellenti della guerra che la mafia fece allo stato: Beppe Montana (chiamato Serpico, come il personaggio del film con Al Pacino), capo della catturandi di Palermo e Ninni Cassarà, capo della Mobile, uccisi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altra. Montana fu ucciso il 28 luglio sul molo di Porticello vicino Palermo: tra i suoi compiti quello di dare la caccia ai latitanti mafiosi che, nonostante gli omicidi, se ne giravano quasi indisturbati per le strade della città e che godevano di molte protezione, anche dentro la società civile.
Lo ricorda Libera in questo articolo dove si parla di un suo amico e collega, Roberto Antiochia
Dopo il funerale ricorda Giuseppe Vinci, amico di Beppe, accompagnammo la salma di Beppe al cimitero di Catania. Con noi anche il Vicequestore Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, che fino a pochi mesi prima aveva lavorato nella Squadra Catturandi di Beppe, diventando oltre che un abile investigatore, suo intimo amico. Roberto era da poco rientrato nella sua Roma, ma avendo appreso dell’omicidio di Beppe volle tornare a Palermo e da allora non lasciò un attimo solo l’altro suo superiore e amico Ninni, prestandosi come volontario per fargli la scorta. E così si beccò insieme a lui una scarica letale di kalashnikov mentre lo accompagnava a casa il 6 agosto 1985. Appena una settimana prima lo avevo sentito promettere davanti alla tomba di Beppe che avrebbe preso “quei bastardi”, gli assassini del suo grande amico. In occasione del trigesimo dell’omicidio di Beppe Montana, il padre chiese la pubblicazione, a pagamento sul quotidiano La Sicilia, nella rubrica dei necrologi, del seguente testo: “La famiglia con rabbioso rimpianto ricorda alla collettività il sacrificio di Beppe Montana – commissario di P.S. – rinnovando ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori”. Incredibilmente, l’impiegato del giornale La Sicilia gli rispose che sarebbe dovuto andare a chiedere alla direzione l’autorizzazione per la pubblicazione; al suo ritorno, affermò categoricamente che il testo veniva respinto allo sportello su insindacabile disposizione del direttore, Mario Ciancio Sanfilippo.
Era difficile fare la lotta alla mafia in quegli anni, come sapevano bene i giudici del pool di Caponnetto, Falcone e Borsellino, come sapevano anche gli uomini della Mobile di Cassarà, braccio destro di Falcone.
Cassarà fu ucciso il 6 agosto, mentre rientrava a casa, assieme proprio a Roberto Antiochia: una talpa dentro la Questura aveva avvisato i killer del suo rientro a casa, dopo giorni che Cassarà mangiava nel suo ufficio.
C'era un brutto clima a Palermo e nella Questura: un clima di sospetti e veleni che costringe poi i membri del pool a rifugiarsi del carcere dell'Asinara per scrivere la sentenza di rinvio a processo per il Maxi.
Oggi siamo tutti a parole contro la mafia: ma l'impressione, leggendo le dichiarazioni, gli intenti, si ha l'impressione di un voler ritornare indietro col passato. Agli anni in cui la mafia per molti non esisteva come struttura unitaria, gli anni in cui non bisognava dar fastidio ai fratelli Salvo (grandi elettori della DC), ai cavalieri del lavoro Costanzo, alla mafia dei colletti bianchi.
Gli anni di Cassarà e Montana appunto.
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