03 agosto 2023

Gli intrusi, di Georges Simenon

 


«Pronto! Rogissart?».

Il procuratore della repubblica si era alzato per rispondere al telefono, e adesso se ne stava lì impalato in camicia da notte, mentre dal letto la moglie lo fissava con aria interrogativa. Rogissart aveva freddo soprattutto ai piedi perché nella fretta non era riuscito a infilarsi le pantofole.

«Chi parla?».
Aggrottò le sopracciglia. e per far capire alla moglie chi era l'interlocutore ripeté:

«Loursat? E’ lei Hector?».

Il titolo non rende giustizia al personaggio al centro di questo romanzo, l’avvocato Loursat: il titolo originale "Les inconnus dans la maison", era molto più calzante.

Perché l’atmosfera che si respira dentro casa Loursat, uno degli avvocato più famosi nella città di Moulins è proprio questa: due sconosciuti, un padre e una figlia, Nicole, che vivono assieme, ignorandosi, senza scambiarsi nessuna parola, nemmeno a tavola.

La tavola era rotonda, la tovaglia bianca. Seduta di fronte a Loursat, sua figlia Nicole si portava il cibo alla bocca con calma e con apatica concentrazione.
Nessuno dei due parlava. Loursat mangiava molto male chino sul piatto come un animale intento a brucare masticando rumorosamente ed emettendo di tanto in tanto un sospiro di noia e di stanchezza

Cosa è successo in quella casa, da portare a questa situazione? Perché la scena sopra descritta si presenta da anni: l’avvocato passa le sue giornate chiuso nel suo studio, dove cerca qualcuno dei libri impilati sugli scaffali facendo finta di leggerli. E poi bevendo: ogni giorno almeno tre bottiglie di Bourgogne prese dalla cantina.
Come un orso, come un animale, incurante delle persone che gli stanno accanto e degli inviti dei parenti, come il marito della cugina, il procuratore Rogissart, il marito della sorella, l’imprenditore Dossin (uno con ambizioni politiche): tutto questo da quando sua moglie, Geneviéve se n’è andata, abbandonandolo.
Ma un giorno nella sua vita arriva l’evento imprevisto, quella scossa che lo porta ad uscire dal suo bozzolo: in una sera di ottobre sente come uno sparo preveniente dai piani superiori. Scorge anche un’ombra di un uomo, mentre sale le scale. Soprattutto, entrando in una delle camere del piano dove una volta vivevano i domestici, il giardiniere, scorge un cadavere

Non si mosse. Era come paralizzato. C'era qualcosa di troppo sorprendente in quella situazione. Gli occhi appartenevano un uomo disteso sul letto. La coperta nascondeva una parte del corpo, ma si vedeva penzolare fuori una gamba avvolto in una grossa benda, o forse mobilitata da uno di quegli apparecchi che si applicano in caso di frattura. [..]

Il corpo era quello di un uomo, e anche il viso, i capelli ispidi e folti tagliati a spazzola, ma gli occhi erano quelli di un bambino pieni di paura e sembrava di vedervi spuntare delle lacrime.

Un morto, in casa sua. E quell’ombra sul piano, come di qualcuno che uscisse dalla camera della figlia Nicole: non rimane che chiamare il procuratore Rogissart che, sicuramente, avrebbe aperto un’inchiesta su quel morto, avrebbe fatto domande, creando imbarazzo sulla sua cerchia di parenti, di amici. Per

A un tratto si guardò attorno con quei suoi occhi chiari, un po' bovini, e sospirò o piuttosto ansimò, mormorando:
«Che tegola, per loro».

Loro erano tutti, a cominciare da Regissart, o meglio da sua moglie Laurence, che s’intrometteva dappertutto e sputava sentenze su quello che si faceva su quello che si sarebbe dovuto fare; e poi gli altri, quelli del tribunale, per esempio, magistrati e colleghi che non sapevano che pesci pigliare quando Loursat si decideva patrocinare una causa, e ancora gente come Dossin, suo cognato quello delle trebbiatrici Dossin, che frequentava il mondo della politica perché brigava per un seggio di consigliere generale; con sua moglie Marthe - sempre malaticcia, sempre lagnosa, sempre avvolta in vesti fluttuanti -, la sorella di Loursat, anche se non si vedevano da anni; e infine la gente comune i buoni borghesi quelli ricchi e quelli che facevano finta di esserlo..

Ecco, all’improvviso succede qualcosa di inaspettato: l’orso, l’animale, quell’uomo così bravo ma, come dicevano i colleghi, la brava gente di Moulins alle sue spalle, una persona così strana e sfortunata, decide di sorprendere tutti. Partecipa ai primi interrogatori in casa, segue l’inchiesta, rimbecca il povero commissario e il giudice istruttore, così impacciato in quella casa.
Improvvisamente è come se Loursat aprisse gli occhi e scoprisse il mondo: scoprisse che nella sua casa si riunivano un gruppo di ragazzi, tra cui sua figlia Nicole. Ragazzi che facevano parte di una banda, si riunivano in una locanda dove, una sera, avevano deciso di rubare una macchina per fare una bravata, investendo quell’uomo ora trovato morto nella sua casa.

All’improvviso scopre sé stesso, cosa paradossale se uno ci pensa: si scopre come un essere sporco, con le dita sporche, con addosso un cattivo odore. Una persona che fino a quel momento ha passato la sua vita nello studio, con accanto una bottiglia di vino e tanti libri, tutti oggetti a lui familiari.

In una sorta di sdoppiamento di sé stesso si ritrova poi a prendere le difese del ragazzo accusato del delitto, un giovane di estrazione sociale bassa, Emile Manu.
Perché sta facendo tutto questo? Perché scopre quanto fino a quel momento non abbia vissuto, disinteressandosi di tutto e di tutti, perché all’improvviso scopre l’ipocrisia di quella classe sociale, a cui lui stesso appartiene, avvocati, imprenditori, prefetti, incapace di vedere il mondo là fuori, composto da persone che vivono una vita più difficoltosa.

La strada era fiancheggiata da grandi case simili alla sua: sentì di detestarle, come detestava i loro abitanti, come detestava sua sorella, Dossin, Rogissart e consorte, Ducup e il sostituto procuratore. Non perché gli avessero fatto qualcosa, ma perché stavano dall'altra parte della barricata, dalla sua parte in fondo, o almeno da quella in cui si sarebbe trovato anche lui se sua moglie non fosse scappata con un tale di nome Bernard, e se lui stesso non avesse passato 18 anni rintanato nel suo studio per scoprire poi all'improvviso tutto un formicolio inaspettato, una vita sovrapposta all'altra, alla vita ufficiale della città

Muovendosi dentro questa nuova vita, l’avvocato Loursat riscoprirà la voglia di vivere, la bramosia dell’uscire di casa, nell’andare a bere nelle locande anche, nell’incontrare delle persone. Ma, soprattutto, riuscirà ad arrivare alla soluzione del delitto, alla fine di un processo pieno di colpi di scena.

Costruito attorno allo schema di un giallo, un morto, un sospetto, un investigatore, questo romanzo è la storia di una trasformazione o, forse sarebbe meglio dire, della liberazione di un uomo di 48 anni dalle sue catene. Quelle della solitudine, della pigrizia mentale. E anche dei pregiudizi: forse, si può leggere anche così questa storia, ad essere rinchiusi nel loro mondo sono tutti quanti vivono nella loro bolla sociale, incuranti del mondo reale fuori.

La scheda sul sito di Adelphi

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