.. i siciliani non sono mai stati spettatori di quanto nel corso dei secoli è loro capitato. Hanno avuto solo il torto di scegliere quasi sempre la parte sbagliata e non hanno mai privilegiato la ragionevole idea di essere essi stessi arbitri del loro futuro. Forse perché non hanno mai creduto a questa doverosa eventualità. Le sorti, per loro, sono veramente determinate dagli altri. Questo semplice convincimento ha fatto storicamente la differenza tra Portella della Ginestra e Marzabotto o le altre innumerevoli stragi nazifasciste ancora impunite.
A Marzabotto, nel 1944, furono i militari nazisti ad eseguire il massacro di 771 civili inermi, compresi i bambini, neonati, gli anziani, le madri partorienti. Un’intera popolazione fu sterminata dalla più folle e inspiegabile aberrazione umana solo perché non stava dalla parte dei nazisti, voleva semplicemente esistere, essere sé stessa, libera. A Portella della Ginestra, nel 1947, non furono i soldati di Hitler ad agire ma i neofascisti italiani della defunta Salò, come Fra Diavolo, che si erano professionalizzati ed erano pronti a maturazione pe r entrare in azione sotto la spinta di un piano incredibile che aveva visto diventare amici degli Alleati i nemici di un tempo recente.
[..] Perché
Portella della Ginestra fu l’atto più cruento di una guerra di
altra natura inflitto a tradimento sulla pelle della democrazia che
così nasceva malata, come la mela col verme dentro.
E anche,
qui, come a Marzabotto, furono lavoratori indifesi, bambini, donne e
adolescenti a pagare le spese della follia umana. Il piano era
partito da lontano, si era geneticamente conformato agli eventi
storici o, meglio, erano stati i fatti a generarlo per avere
finalmente un banco di prova. Portella della Ginestra doveva essere
come un vetrino sotto la lente di un microscopio geopolitico. Un
laboratorio che usava, per la prima volta, una strage per provocare
una reazione a catena. Furono tutti delusi.
Morte di un agente segreto – Fra Diavolo, la banda Giuliano e il neofascismo in Sicilia (1943-47) di Giuseppe Casarrubea
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