25 dicembre 2023

Assalto alla Lombardia, di Marco Sasso

Prologo

Dal 1995 ad oggi la partita per il controllo della Regione Lombardia, l’ex locomotiva d’Italia per modello economico e sociale, si è giocata in una sola parte del campo politico, il centrodestra.

Quella dell’eccellenza lombarda è stata tuttavia una falsa narrazione, uno storytelling vecchio e vuoto di contenuti di fronte all’impatto delle crisi globali, delle sfide del cambiamento climatico e della pandemia da Covid-19, se si confrontano i dati socioeconomici con altre regioni italiane ed europee. Il ciellino Roberto Formigoni, durante 18 anni di governo ininterrotto, ha piegato l’istituzione del Pirellone ai propri interessi personali e di appartenenza politica al mondo di Comunione e Liberazione, con leggi e delibere che hanno favorito l’esplosione dei privati nel mondo della sanità. Formigoni ha saputo per primo sfruttare l’indebolimento del patto costituzionale, facendolo diventare la base per un governo locale palesemente antistatale che punta alla distribuzione della sovranità a una pluralità di soggetti che tengono insieme il privato e il pubblico.

Negli ultimi trent’anni la giunta non ha saputo né voluto mediare tra gli interessi plurali della società che rappresenta e, attraverso i suoi “mandarini” di Palazzo, ha abdicato al suo ruolo pubblico di regolatore e decisore del mercato. Il paradigma è nel campo sanitario la legge regionale del 1997, che ha sancito un modello diverso da quello nazionale (in nome della libertà di scelta e della sussidiarietà tanto cara ai ciellini) e ha messo le basi per un ampio impoverimento del pubblico. Dagli anni ’90 i gruppi privati decollano e si trasformano in colossi: oltre al San Raffaele e alla Fondazione Maugeri, nel 1994 apre l’Istituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi, nel 1996 viene inaugurato l’Humanitas di Gianfelice Rocca, il gruppo San Donato di Giuseppe Rotelli inizia ad espandersi fino ad arrivare a 18 ospedali, tutti rigorosamente accreditati.

Ma il velo è stato sollevato con la pandemia e i lombardi si sono trovati con il cerino in mano di un servizio non all’altezza. La privatizzazione della sanità è il simbolo di una vita pubblica devastata dalle logiche del puro profitto e interamente subordinata agli affari di pochi che non ha invertito la rotta nemmeno con l’ultima riforma sanitaria targata Moratti. Anche quest’ultima legge regionale sdogana definitivamente la logica dell’equivalenza tra i due modelli, quello pubblico e quello privato, e l’ex vicepresidente si è limitata a inaugurare ex consultori pubblici trasformati in case di comunità.

Nemmeno i leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana hanno mai proposto un nuovo modello più vicino alle esigenze dei lombardi, perpetuando uno schema di gioco che prevede il controllo “militante” della macchina burocratica. Una regione spesso contro, che osteggia la Costituzione repubblicana e pretende di andare per la propria strada anche con i governatori leghisti al comando in tema di diritti e autonomia fiscale.

L’efficientismo di facciata del centrodestra ha mostrato tutti i suoi limiti con la pandemia da Covid-19 che ha causato oltre 40mila morti solo in Lombardia, con il triste record della provincia di Bergamo dove i decessi sono aumentati a marzo 2020 del 568% rispetto agli anni precedenti.

Il titolo non è stato scelto a caso: assalto è proprio la parola più corretta per raccontare quello che ha fatto il centro destra in regione Lombardia negli ultimi 20 anni, anzi, andando indietro fino al 1997, quando sono partite le politiche di privatizzazione della sanità con le leggi volute dall’ex presidente Formigoni. Un assalto, una completa e totale occupazione dei posti di potere in tutte le strutture in cui si articola la macchina di governo regionale, dalla sanità, all’istruzione, al settore dell’edilizia pubblica, ai trasporti, all’agricoltura. Un sistema di potete, quello della Lombardia, dove sembra di essere tornati indietro di secoli: le cariche e le nomine, dai direttori delle ASL fino all’ultimo dei funzionari sono assegnati secondo la tessera politica, dove la fedeltà politica alla Lega a Comunione Liberazione, a Forza Italia e, oggi, anche a Fratelli d’Italia (che nelle ultime politiche ha sorpassato gli alleati nella coalizione) va sopra ai principi di competenza, esperienza, professionalità.

Come nel vecchio medioevo con i Vassalli, Valvassori, Valvassini.
Una sorta di reddito di cittadinanza al contrario: risorse pubbliche spostate verso manager, dirigenti e funzionari pubblici arruolati per tessera di partito, distribuendo rendite di posizione e allevando una generazione di politici che da Milano oggi hanno fatto il salto politico e sono atterrati a Roma.

Il saggio di Marco Sasso è stato scritto tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2023, prima delle elezioni regionali avvenute a febbraio 2023 che hanno visto ancora una volta prevalere, come avviene ininterrottamente dal 1995, il centro destra. Nelle intenzioni dell’autore, questo libro avrebbe dovuto aprire gli occhi ai cittadini lombardi, sbattendogli in faccia quella che è la realtà che sta dietro la macchina della propaganda (che paghiamo tutti noi cittadini, anche quelli che non votano Lega o FDI).
Purtroppo l’autore non c’è riuscito: nonostante quanto è successo nemmeno tanti mesi fa ai tempi del Covid, quando la Lombardia è stata la regione con più morti nel mondo, quando il ciclone dei contagi ma mandato in crisi ospedali, pronto soccorsi, quando medici e infermieri si sono trovasti senza dispositivi per proteggersi perché le ASST ne erano sprovviste, senza nemmeno un protocollo aggiornato per combattere la pandemia (o una influenza) perché quello esistente non era stato aggiornato.

Il falso mito dell’eccellenza lombarda

Privato è bello (o così ci hanno raccontato)

L’aggressione ai beni comuni è stata il fil rouge della politica che ha segnato i 18 anni di “regno” del ciellino presidente Roberto Formigoni, che grazie al comunitarismo cattolico ha incrementato gli affari privati: a sua firma la legge regionale n. 31 del 1997 che rivoluziona – per la prima e unica volta in Italia – la sanità assumendo come principio ispiratore la sussidiarietà solidale per assicurare l’erogazione uniforme dell’assistenza. Formigoni è al governo della Lombardia da due anni quando viene emanato il provvedimento che contrassegnerà i successivi cinque lustri politici e il futuro delle cure di milioni di lombardi di oggi e di domani. Attraverso quel principio tanto caro ai seguaci di Gioventù studentesca e al mondo di Comunione e Liberazione, il privato entra prepotentemente nel Servizio sanitario regionale grazie all’accreditamento, formalmente per cooperare alla pari con le strutture pubbliche, nei fatti per essere supportato e foraggiato dal Servizio sanitario, riservando per sé i settori più remunerativi della sanità e dell’assistenza, quali ad esempio i reparti di alta specializzazione in cardiologia, i centri di eccellenza di ricerca o le Residenze socioassistenziali (Rsa), lasciando alla medicina pubblica la gestione dei settori meno redditizi come i servizi di emergenza-urgenza, quelli dedicati alle dipendenze da alcool e droghe e la psichiatria. In questa gara impari il pubblico si vedrà tagliare migliaia di posti letto sostituiti dalle strutture private accreditate. Tra decine di leggi e norme ad hoc, nella sostanza è stata assicurata agli imprenditori, in assenza di vincoli di programmazione della Regione Lombardia, la possibilità di orientare le proprie attività verso prestazioni con rapporto favorevole tra rischio e remunerazione.

Ancora una volta la macchina della propaganda che in regione Lombardia funziona molto bene (contro gli immigrati, contro l’islam, contro gli ambientalisti, contro le associazioni LGBQ+), ha prevalso contro la logica dei fatti. La propaganda che ci racconta come la sanità qui sia una eccellenza, una parola che Formigoni, condannato a 5 anni per corruzione, ripeteva davanti ai giornalisti: eccellenza e sussidiarietà, quel principio tanto caro ai suoi amici di Comunione e Liberazione, per cui nei suoi anni di governo si è svuotata la sanità pubblica, chiudendo presidi, ospedali, consultori, per far spazio al privato in convenzione. Perché bisognava dare ai cittadini lombardi la possibilità di scegliere tra pubblico e privato, mettendoli in una sorta di competizione falsata: da una parte si toglievano risorse al pubblico, dall’altro si drenavano fondi regionali per finanziare strutture private basate sulla logica del profitto che, nei mesi della pandemia, nemmeno si sono fatte carico del carico dei malati per covid.

Marco Sasso racconta del rapporto privilegiato che ha il gruppo San Donato di Giuseppe Rotelli, tra gli esperti che hanno scritto la riforma sanitaria del presidente Formigoni: tra accreditamenti, passando per l’acquisizione dell’ospedale San Raffaele, la trasformazione di ospedali privati in Irccs, istituti di ricerca che, sempre grazie a Formigoni, possono accedere a fondi per la ricerca, il Gruppo San Donato tra il 2001 e il 2021 riceve rimborsi pubblici per 17 miliardi di euro (che rappresentano l’80% dei suoi ricavi).

Se guardiamo i dati dei Livelli Minimi Essenziali, i LEA, la Lombardiasta al quarto posto, dietro ad altre regioni come Emilia Romagna dove, tra le altre cose, gli ospedali di prossimità distribuiti sul territorio, esistono da anni.
Finita la pandemia si è detto che, basta, bisognava rafforzare la medicina territoriale, che il modello ospedalo-centrico tanto amato dalle giunte di centro destra, aveva fallito: ma è stato solo un fuoco di paglia, nemmeno la riforma voluta da Letizia Moratti ha cambiato le cose. Come ha raccontato più volte Report nei suoi servizi, si sono solo fatte tante inaugurazioni delle case di comunità, senza mettere un euro (nemmeno dal PNRR) per inserire nuovo personale in strutture che già esistevano e che hanno solo cambiato nome.
Lo spiega bene l’autore mettendo uno dietro l’altro cifre e dati: la sanità in Lombardia costa più che nelle altre regioni, andando a smentire l’altra voce della propaganda secondo cui il privato cosa meno ed è più efficiente.
Ma quale eccellenza? Dove ti giri in Lombardia si trovano sempre più ambulatori privati o cliniche smart dentro le fermate della metropolitana, nei supermercati, alla faccia del diritto alla salute dei cittadini.

Nemmeno il covid è riuscito a cambiare l’approccio ideologico iperliberista (privato buono, pubblico cattivo) dietro queste scelte politiche: prima il privato, quello che è vicino al tuo partito o alla tua corrente. E non importa se questo calpesti i diritti delle persone: un capitolo del libro è dedicato alla legge 194 che concede a tutte le donne il diritto ad abortire in modo sicuro.

Per motivi essenzialmente solo ideologici (e oscurantisti), tutte le giunte regionali hanno fatto tutto il possibile per ostacolare questo diritto, cominciando dal bloccare l’uso della piccola RU 486, con la massiccia presenza di medici abortisti in strutture accreditate (una stortura della legge, quella dell’obiezione, che nessun governo ha cancellato).

A che serve cancellare una legge come la 194 (come anche la stessa presidente Meloni ha dichiarato) quando puoi ostacolarla con la burocrazia? Quando puoi cancellare i consultori, strutture nate a fine anni 70 per aiutare le donne nelle problematiche legate alla sessualità, sostituendoli con strutture private, pagate da noi, gestite da associazioni “pro vita”, dunque fortemente ideologizzate, che non applicano la legge?

Dove sta la sicurezza delle donne?

Nel cuore del potere lombardo

È notizia di questi giorni che in regione si stanno ultimando le nomine nel comparto della sanità, un settore che vale 22 miliardi di euro ogni anno, una bella fetta del bilancio regionale. Qui si gioca la vera partita del potere: il cuore del potre sta tutto nella partita delle nomine dove, per la prima volta, il partito di Giorgia Meloni potrebbe avere più posti di quelli degli altri partiti della coalizione, la Lega di Salvini e Forza Italia di Tajani, anche andando ad allearsi con i vecchi potenti di Comunione e Liberazione, andando perfino a riesumare personaggi spariti dalla scena politica come Lucchina (ex braccio destro di Formigoni) o Mantovani (ex vice presidente, passato da Forza Italia a Fratelli d’Italia).
L’autore, nel capitolo “Nel cuore del potere” racconta tutte le vicende giudiziarie che hanno coinvolto esponenti del centro destra in questi ultimi anni: non tutte hanno portato ad una condanna in via definitiva, come nel caso Formigoni per i regali e i soldi presi dalla fondazione Maugeri in cambio delle scelte in ambito sanitario, ma tutte raccontano la stessa cosa, ovvero che il l’interesse pubblico passa in secondo piano, dopo il profitto del privato.

Ma il capitolo racconta anche altro: le porte girevoli in regione, dove si danno incarichi a politici trombati alle elezioni nazionali, dove si assumono per consulenze ben remunerate giornalisti e personaggi senza esperienza ma solo con la tessera giusta in tasca. È una macchina che mangia tanti soldi nostri, quella regionale: la sobrietà non è una dote del “celeste”, come si faceva chiamare Formigoni, che nonostante il voto di povertà si è fatto costruire un nuovo palazzo, il Pirellone, con tanto di eliporto sul tetto (costato 50 ml di euro), con un ufficio arredato nel segno dello sfarzo e del lusso (dove per l’arredo si sono spesi 42 milioni di euro). Tutti soldi nostri, ricordiamocelo sempre.

Ma nemmeno Salvini ha dalla sua la dote della sobrietà: per la sua macchina della propaganda social, la bestia, ha investito milioni euro finiti nella società del suo guru, Luca Morisi, che veniva pagato due volte: direttamente dai gruppi parlamentari e poi anche per gli appalti che le ASL in regione concedevano alla sua società.

Una forma di ritorno economico per l’uomo che ha portato milioni di follower al segretario della Lega passato da Roma ladrona a prima gli italiani..

Tanto quanto nella sanità, anche nell’istruzione la fanno da padrona i privati: il principio è sempre lo stesso, la sussidiarietà, ovvero dare a tutte le famiglie la “libera scelta” di mandare i figli in una struttura pubblica o in una privata (essenzialmente una cattolica).

Ovviamente è un principio che favorisce il privato, che in proporzione agli studenti che frequentano le sue scuole, prende molti più soldi rispetto al pubblico. Ancora altri numeri (che troverete leggendo questo libro): 24 ml date alle scuole private nella dote scuola, di fronte solo agli 8 ml dati alle famiglie con disabili.

Vita quotidiana in terra lombarda

L’ultimo capitolo è una lunga carrellata dentro la vita dei lombardi a cominciare dai trasporti regionali, un mondo che conosco molto bene essendo un pendolare di Trenord da più di venti anni.

Anche nel trasporto regionale vale la tessera di partito, nonostante lo stato impietoso dei trasporti, con treni affollati, in ritardo, con problemi di manutenzione. La regione avrebbe il ruolo di controllore su Trenord, che si prende ogni anno 950 ml di euro dalle nostre tasse per far funzionare i treni: ma è la stessa regione che in questi anni ha favorito il trasporto su gomma, costruendo e finanziando altre autostrade (oltre 400 km di nuove autostrade da qui al 2030) dimenticandosi del fatto che buona parte delle linee regionali sono ancora a binario unico.

Le precettazioni di queste settimana hanno acuito la tensione all’interno dell’azienda, portando ad una situazione di estrema difficoltà per i viaggiatori, sottoposti allo stress di treni soppressi o in ritardo.

Aler è invece l’azienda regionale che si dovrebbe occupare dell’edilizia pubblica: nonostante ci sia una grande fame di alloggi pubblici (e 20000 sfratti esecutivi nell’area metropolitana), molte delle case dell’ente regionale sono chiuse, sfitte, perché inagibili. Servirebbe almeno 1 miliardo per sistemale, ma i conti in rosso (700ml di debiti) impediscono ogni investimento.

Così l’azienda, dove a farla da padrone sono manager di area vicina al centro destra, è costretta a vendere le case. E chi rimane fuori dalle graduatorie deve arrangiarsi.

Nonostante la pianura padana sia la zona più inquinata d’Italia, nonostante l’inquinamento causato dal traffico su gomma, dagli allevamenti intensivi, dalle attività industriali, la regione ha da sempre preferito investire nel trasporto su gomma, andando anche a finanziare la famigerata Brebemi, l’autostrada che si doveva finanziare da sola in project financing e che invece rischiava di trasformarsi in un lungo campo da calcio.
Non solo, la regione ha ostacolato i piani del comune di Milano sull’Area C, sui divieti di circolazione dei mezzi più inquinanti: ogni anni circa 90000 persona sono vittime di malattie legate all’aria cattiva che si respira, ma nonostante questo si continua ad andare avanti a consumare suolo per nuove autostrade, nuovi capannoni per la logistica (col miraggio dei posti di lavoro, che non si sa quanto dureranno), a sottrarre suolo pubblico che viene ricoperto da cemento (nel solo 2020, l’anno del covid, sono stati cementificati 750 nuovi ettari di suolo). La Lombardia è, secondo i dati di Ispra, la prima regione per consumo di suolo.

E nei pochi campi rimasti, c’è il rischio che siano inquinati per lo sversamento di fanghi tossici: lo racconta il giornalista nel capitolo “la pianura padana infangata” dove racconta di come, sfruttando le maglie larghe della legge regionale sui fanghi ottenuti dalla depurazione di scarti industriali, la WTE SRL abbia inquinato i terreni di diversi campi nel bresciano.

Io ogni tanto ci penso, cioè, chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuto sui fanghi”: così diceva un dipendente dell’azienda in una intercettazione. Chissà se ci pensano a questa pianura cementificata, infangata, in regione? E che ne dicono i vertici di Coldiretti, associazione da tempo vicina a questa maggioranza di destra?

C’è una alternativa a questa politica, a questo gruppo di potere, a questa gestione del potere in Lombardia? Nell’ultimo capitolo del libro l’autore fa un bilancio amaro della situazione: a sinistra c’è un vuoto, il PD non è ritenuto dai cittadini un partito a cui dare fiducia per combattere queste battaglia per la sanità pubblica, per la scuola pubblica e laica, per la difesa dell’ambiente e per la fine delle spartizioni politiche nelle nomine pubbliche.

Non solo, il famoso modello Sala non si discosta (sul consumo del suolo, sulla gestione del bene pubblico) dal modello di questa destra. Che rimane allora? Rimangono le tante associazioni sul territorio che portano avanti con grandi difficoltà queste battaglie, come Non una di meno, il Forum Salviamo il Paesaggio (come recita l’articolo della Costituzione), Dico 32, gli studenti di Fridays for future, Asgi e Naga, l’associazione che ha smascherato le terribili condizioni dentro il CPR di via Corelli a Milano.

Ci dobbiamo rassegnare alla padanizzazione dell’Italia, ora che questa coalizione di destra sta governando il paese, togliendo risorse alla sanità e depotenziando i servizi pubblici? Abbiamo cinque anni per leggere questo libro e comprendere cosa sta succedendo in Lombardia e in Italia.

La scheda del libro sul sito di Laterza, l’intervista all’autore e un estratto.

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