12 dicembre 2023

Tenere viva la memoria – 54 anni dalla bomba di Milano

Ricordarsi della strage di Milano, la bomba scoppiata all’interno della banca dell’Agricoltura il 12 dicembre 1969, non è un dovere nei confronti delle vittime, è anche un tentativo, a volte disperato, di tenere viva la memoria della nostra storia. Sono passati 54 anni da quel venerdì grigio dove i milanesi si preparavano al Natale: un tempo sufficiente per fare i conti con la coscienza, parlo di quella dei responsabili ancora in vita, di quanto sappiano la verità su quell’ordigno costato la vita a 17 persone (e 87 furono i feriti), costando enormi sofferenze ai familiari, sottoposti anche alla vergognosa pena di doversi muovere a Catanzaro per assistere alle udienze del processo.

Ricordarsi della bomba, dei depistaggi, della falsa pista anarchica, del mostro Valpreda battuto in prima pagina, dei veri responsabili, i fascisti di Ordine Nuovo, delle coperture istituzionali è paradossalmente l’unico modo per ridare dignità a questo paese.

Sono passati tanti anni, ma nonostante questo non riusciamo, nella narrazione dei fatti, ad andare oltre il racconto di un gruppo di nostalgici neofascisti che con quella bomba volevano instaurare un regime autoritario come in Grecia (ovvero fare in Italia quello che il colonnello Papandreu fece nel 1967 ad Atene).
È una narrazione che serve a nascondere le colpe di un paese che ancora deve fare i conti con la storia, un qualcosa che ancora manca dai tempi di Portella della Ginestra fino alla bomba di Bologna per arrivare alle stragi di mafia (e non solo mafia) della stagione 1992-1993.
I fascisti da soli avrebbero potuto condizionare le indagini, far allontanare il commissario Juliano a Padova, che nell’estate del 1969 stava già indagando su questa cellula della destra?
Potevano i fascisti organizzare le “esfiltrazioni” per sfuggire agli arresti della polizia giudiziaria, come fecero Pozzan (il bidello dell’istituto per ciechi, custode delle armi di Freda e Ventura) prima e Giannettini poi?

In questo paese è ancora tabù parlare della strategia della tensione, dell’essere stati una democrazia a sovranità limitata, dove la volontà popolare passare in secondo piano rispetto ai vincoli del mondo diviso in blocchi, secondo cui l’Italia doveva rimanere saldamente nell’orbita atlantica.
Come lo racconti agli italiani che per bloccare il progresso a cui ogni paese civile ambisce, in Italia si sono usate le bombe, le stragi, le false piste anarchiche, i mostri da sbattere in prima pagina, il terrore sui treni, nelle stazioni, per allontanare le persone dalla politica, da quella sana e civile “conflittualità” con cui scrollarsi di dosso quell’autoritarismo eredità del ventennio fascista?
Ecco, non lo puoi raccontare. Dovresti riscrivere la storia. Raccontare finalmente di Gladio, della facciata ufficiale della rete Stay Behind creata dalla Nato per fronteggiare una improbabile invasione sovietica. Di come questa struttura sia stata usata, insieme a tante altre (dai Nuclei Difesa dello Stato, alla Rosa dei Venti..) per pianificare dei colpi di stato che servivano più per dare un segnale al paese, che per arrivare veramente ad un golpe.

Questa operazione verità dovrebbe volerla prima di tutto questa destra, se ha vere ambizioni di diventare destra istituzionale e non quella specie di accozzaglia che è.
Invece ci toccherà sorbire il solito brodino. Nessun album di famiglia da sfogliare. Nessun tentativo di voler dare giustizia, finalmente dopo tanti anni, alle vittime e in generale ai cittadini italiani. Che meriterebbero qualcosa di più che non le solite parole di circostanza.

Penso soprattutto ai cittadini milanesi che, nel giorno del funerale, vegliarono in silenzio a quelle sedici bare (la diciassettesima vittima morì per complicanze un anno dopo).

La gente si chiedeva solo perché, perché quelle vittime?
Nessuna grida manzoniana, nessun desiderio di vendetta, nessuna richiesta di corda e sapone.
Questo ha salvato l’Italia da una possibile deriva, la compostezza dei milanesi riuniti sul sagrato dove capeggiava la scritta “Milano si inchina alle vittime innocenti”.
Vittime innocenti: contadini, allevatori, persone che erano andate in banca quel giorno per stringere accordi sulla vendita di terreni, per pagare una bolletta.
Che ne sapeva questa gente di Yalta, di Gladio, della strategia della tensione, di Ordine Nuovo, nato come costola del Movimento Sociale, il partito che voleva presentarsi al paese come quello dell’ordine?

Passati 54 anni pretendiamo qualcosa di più dallo Stato che non le sentenze della giustizia italiana, quella di assoluzione per gli ordinovisti Freda e Ventura, sancita dalla Cassazione nel 1987, e quella successiva, nata dalle indagini del giudice Salvini (e dai pentiti nella galassia nera che raccontarono pezzi di verità, da Vinciguerra a Martino Siciliano), che stabilisce che Freda e Ventura sono i responsabili, ma in quanto già assolti, non possono essere condannati.

Avremmo potuto essere un paese diverso, quelle bombe (Milano, Brescia, Bologna) hanno spostato il baricentro politico del paese, rallentato il suo sviluppo in senso progressista. Possiamo ancora esserlo.

Che fare dunque? Leggere, leggere e ancora leggere, perché questo è l’unico antidoto alle bugie che ancora coprono la nostra storia, specie oggi che gli eredi politici di quei movimenti di estrema destra sono al governo con tanta voglia di riscriverla la storia e di regolare certi conti coi pochi che ancora si battono per tenere vivo lo spirito antifascista in questa ancora debole democrazia.

Giornalisti, magistrati, associazioni delle vittime delle stragi, scrittori, intellettuali.

Sull’infinito processo c’è l’accurato libro di Benedetta Tobagi “
Piazza Fontana – il processo impossibile” (Einaudi editore).

Il libro scritto da Gianni Barbacetto Piazza Fontana, il primo atto dell'ultima guerra italiana: non si usa a caso questa parola, guerra, la guerra all’area progressista di questo.

Il libro di Enrico Deaglio, La Bomba, ci spiega dei depistaggi, delle prove sottratte ai magistrati fino al processo che è stato sottratto al giudice naturale a Milano, per spostarlo lontano, a Catanzaro. L’Italia della strategia della tensione, dove i vertici delle Questure e delle Procure erano diretti da funzionari e dirigenti che si erano formati col fascismo.

Il libro di Mirco Dondi, 12 dicembre 1969 invece cerca di raccontarci il contesto di quegli anni, il contesto in cui è nata la strage, gli interessi oltre atlantico, i grandi gruppi industriali in Italia.. non c’era solo la manovalanza nera con le sua ambizioni da colpo di stato.

Infine il saggio scritto da Andrea Sceresini , Nicola Palma , Maria elena Scandaliato: Piazza Fontana, noi sapevamo: nel libro a parlare è il generale Maletti che ammette, candidamente, i servizi sapevano. Ma non hanno voluto o potuto fermare la strage.

L’elenco delle vittime della strage:

Giovanni Arnoldi (42)

Giulio China (57)

Eugenio Corsini (71)

Pietro Dendena (45)

Carlo Gaiani (56)

Calogero Galatioto (71)

Carlo Garavaglia (67)

Paolo Gerli (77)

Luigi Meloni (57)

Vittorio Mocchi (33)

Gerolamo Papetti (79)

Mario Pasi (50)

Carlo Perego (74)

Oreste Sangalli (49)

Angelo Scaglia (61)

Carlo Silva (71)

Attilio Valè (52)

E, infine, la diciassettesima vittima, Giuseppe Pinelli (41). Morto innocente mentre era nelle mani dello Stato.

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