Ricordarsi
della bomba, dei depistaggi, della falsa pista anarchica, del mostro
Valpreda battuto in prima pagina, dei veri responsabili, i fascisti
di Ordine Nuovo, delle coperture istituzionali è paradossalmente
l’unico modo per ridare dignità a questo paese.
Sono
passati tanti anni, ma nonostante questo non riusciamo, nella
narrazione dei fatti, ad andare oltre il racconto di un gruppo di
nostalgici neofascisti che con quella bomba volevano instaurare un
regime autoritario come in Grecia (ovvero fare in Italia quello che
il colonnello Papandreu fece nel 1967 ad Atene).
È una
narrazione che serve a nascondere le colpe di un paese che ancora
deve fare i conti con la storia, un qualcosa che ancora manca dai
tempi di Portella della Ginestra fino alla bomba di Bologna per
arrivare alle stragi di mafia (e non solo mafia) della stagione
1992-1993.
I fascisti da soli avrebbero potuto condizionare le
indagini, far allontanare il commissario Juliano a Padova, che
nell’estate del 1969 stava già indagando su questa cellula della
destra?
Potevano i fascisti organizzare le “esfiltrazioni”
per sfuggire agli arresti della polizia giudiziaria, come fecero
Pozzan (il bidello dell’istituto per ciechi, custode delle armi di
Freda e Ventura) prima e Giannettini poi?
In
questo paese è ancora tabù parlare della strategia della tensione,
dell’essere stati una democrazia a sovranità limitata, dove la
volontà popolare passare in secondo piano rispetto ai vincoli del
mondo diviso in blocchi, secondo cui l’Italia doveva rimanere
saldamente nell’orbita atlantica.
Come lo racconti agli
italiani che per bloccare il progresso a cui ogni paese civile
ambisce, in Italia si sono usate le bombe, le stragi, le false piste
anarchiche, i mostri da sbattere in prima pagina, il terrore sui
treni, nelle stazioni, per allontanare le persone dalla politica, da
quella sana e civile “conflittualità” con cui scrollarsi di
dosso quell’autoritarismo eredità del ventennio fascista?
Ecco,
non lo puoi raccontare. Dovresti riscrivere la storia. Raccontare
finalmente di Gladio, della facciata ufficiale della rete Stay Behind
creata dalla Nato per fronteggiare una improbabile invasione
sovietica. Di come questa struttura sia stata usata, insieme a tante
altre (dai Nuclei Difesa dello Stato, alla Rosa dei Venti..) per
pianificare dei colpi di stato che servivano più per dare un segnale
al paese, che per arrivare veramente ad un golpe.
Questa
operazione verità dovrebbe volerla prima di tutto questa destra, se
ha vere ambizioni di diventare destra istituzionale e non quella
specie di accozzaglia che è.
Invece ci toccherà sorbire il
solito brodino. Nessun album di famiglia da sfogliare. Nessun
tentativo di voler dare giustizia, finalmente dopo tanti anni, alle
vittime e in generale ai cittadini italiani. Che meriterebbero
qualcosa di più che non le solite parole di circostanza.
Penso soprattutto ai cittadini milanesi che, nel giorno del funerale, vegliarono in silenzio a quelle sedici bare (la diciassettesima vittima morì per complicanze un anno dopo).
La
gente si chiedeva solo perché, perché quelle vittime?
Nessuna
grida manzoniana, nessun desiderio di vendetta, nessuna richiesta di
corda e sapone.
Questo ha salvato l’Italia da una possibile
deriva, la compostezza dei milanesi riuniti sul sagrato dove
capeggiava la scritta “Milano si inchina alle vittime
innocenti”.
Vittime innocenti: contadini, allevatori, persone
che erano andate in banca quel giorno per stringere accordi sulla
vendita di terreni, per pagare una bolletta.
Che ne sapeva
questa gente di Yalta, di Gladio, della strategia della tensione, di
Ordine Nuovo, nato come costola del Movimento Sociale, il partito che
voleva presentarsi al paese come quello dell’ordine?
Passati 54 anni pretendiamo qualcosa di più dallo Stato che non le sentenze della giustizia italiana, quella di assoluzione per gli ordinovisti Freda e Ventura, sancita dalla Cassazione nel 1987, e quella successiva, nata dalle indagini del giudice Salvini (e dai pentiti nella galassia nera che raccontarono pezzi di verità, da Vinciguerra a Martino Siciliano), che stabilisce che Freda e Ventura sono i responsabili, ma in quanto già assolti, non possono essere condannati.
Avremmo potuto essere un paese diverso, quelle bombe (Milano, Brescia, Bologna) hanno spostato il baricentro politico del paese, rallentato il suo sviluppo in senso progressista. Possiamo ancora esserlo.
Che fare dunque? Leggere, leggere e ancora leggere, perché questo è l’unico antidoto alle bugie che ancora coprono la nostra storia, specie oggi che gli eredi politici di quei movimenti di estrema destra sono al governo con tanta voglia di riscriverla la storia e di regolare certi conti coi pochi che ancora si battono per tenere vivo lo spirito antifascista in questa ancora debole democrazia.
Giornalisti,
magistrati, associazioni delle vittime delle stragi, scrittori,
intellettuali.
Sull’infinito
processo c’è l’accurato libro di Benedetta Tobagi “Piazza
Fontana – il processo impossibile” (Einaudi editore).
Il
libro scritto da Gianni Barbacetto “Piazza
Fontana, il primo atto dell'ultima guerra italiana”:
non si usa a caso questa parola, guerra, la guerra all’area
progressista di questo.
Il libro di Enrico Deaglio, La Bomba, ci spiega dei depistaggi, delle prove sottratte ai magistrati fino al processo che è stato sottratto al giudice naturale a Milano, per spostarlo lontano, a Catanzaro. L’Italia della strategia della tensione, dove i vertici delle Questure e delle Procure erano diretti da funzionari e dirigenti che si erano formati col fascismo.
Il libro di Mirco Dondi, 12 dicembre 1969 invece cerca di raccontarci il contesto di quegli anni, il contesto in cui è nata la strage, gli interessi oltre atlantico, i grandi gruppi industriali in Italia.. non c’era solo la manovalanza nera con le sua ambizioni da colpo di stato.
Infine il saggio scritto da Andrea Sceresini , Nicola Palma , Maria elena Scandaliato: Piazza Fontana, noi sapevamo: nel libro a parlare è il generale Maletti che ammette, candidamente, i servizi sapevano. Ma non hanno voluto o potuto fermare la strage.
L’elenco delle vittime della strage:
Giovanni Arnoldi (42)
Giulio China (57)
Eugenio Corsini (71)
Pietro Dendena (45)
Carlo Gaiani (56)
Calogero Galatioto (71)
Carlo Garavaglia (67)
Paolo Gerli (77)
Luigi Meloni (57)
Vittorio Mocchi (33)
Gerolamo Papetti (79)
Mario Pasi (50)
Carlo Perego (74)
Oreste Sangalli (49)
Angelo Scaglia (61)
Carlo Silva (71)
Attilio Valè (52)
E, infine, la diciassettesima vittima, Giuseppe Pinelli (41). Morto innocente mentre era nelle mani dello Stato.
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