15 settembre 2024

Anteprima Presadiretta – Sanità differenziata

 

Dobbiamo rassegnarci alla perdita della sanità pubblica, del servizio sanitario nazionale, gratuito e universale, garantito per tutti? Sarebbe un diritto sancito dalla Costituzione, come la libertà di espressione, di associazione.
Perché dovremmo rinunciarci?
Eppure, anno dopo anno, i tagli al sistema sanitario (oppure, i non investimenti in linea con quanti richiedono i territori, i medici) costringono migliaia di italiani a non potersi curare oppure, se hanno dei risparmi da parte, a dover fare i pendolari della salute, dalle povere regioni del sud verso il nord: ogni anno aumenta in modo impressionante la quota di spesa degli italiani per la sanità privata.
Perché?

Perché si continua nel percorso di privatizzazione della sanità? Cosa succederà ora con l’autonomia differenziata, ovvero la “secessione del ricchi” come la chiama il professor Gianfranco Viesti?

Presadiretta è andata a Polistena in Calabria a raccontare la protesta dei territori, sindaci, cittadini, contro la chiusura dell’ospedale: qui la sanità è commissariata da anni, lo Stato che non ha saputo gestire bene la spesa sanitaria viene condannato dallo Stato a tagliare la spesa, e questo taglia lo subiscono i cittadini, non gli amministratori che hanno commesso errori.
“Quanto vale la vita di un calabrese per lo stato italiano?” si chiedeva ironicamente una persona nella manifestazione “ma voi li guardate negli occhi i vostri figli, siete già pronti a caricarli sui treni, sugli aerei? È questo il futuro che ci stanno scrivendo con l’autonomia differenziata, una dichiarazione di guerra economica e sociale, per tutto il sud di Italia. È un massacro quello che stanno preparando: dov’è la Calabria che scende in piazza a difendere i suoi figli ..”
A Polistena Presadiretta incontrerà nuovamente il primario di cardiologia Vincenzo Amodeo che con la sua equipe sta raggiungendo risultati straordinari, in modo per far capire a tutti che anche in questa regione si può lavorare bene e in modo serio.

In Calabria il buco di bilancio della sanità è ancora da quantificare e la gente scende in piazza per difendere gli ospedali, messi a terra da quattordici anni di commissariamento.
Intervistato da Presadiretta, Ermenegildo Palma Procuratore regionale della Corte dei Conti, racconta “abbiamo trovato una situazione certamente devastante, non stiamo parlando di una sola annualità, stiamo parlando di periodi lunghissimi, fino al 2022 l’ASP di Cosenza non approvava bilanci da, se non vado errato, 5 anni, Reggio Calabria da 8”.
La Corte dei Conti sta aspettando bilanci da diversi anni e stanno ora valutando il bilancio in corso della regione: ma come è possibile approvare un bilancio senza quelli precedenti?
“Infatti ancora non lo hanno approvato.. bisogna partire dalla valutazione della massa di debiti, ad oggi ancora questa definizione non è stata fatta.. si stima che sia dell’ordine di qualche centinaia di milioni. Voglio essere chiaro: i dati che ci vengono trasferiti sono pochi..”

Queste parole fanno capire quanto sia in crisi il sistema sanitario in Calabria: centinaia di milioni di debito, ancora da quantificare in modo preciso, 1300 medici inidonei, ovvero che non possono lavorare la notte o in emergenza, con certificazioni fatte dai loro colleghi. Una regione alle prese con una emigrazione sanitaria che dovrebbe preoccupare tutti: la Calabria spende ben 252 ml di euro per coprire le spese dei pazienti che scelgono di curarsi fuori regione.

Di questa riforma (o presunta riforma, una partita di scambio del partito di Meloni per avere il premierato e che ha concesso così l’autonomia alla Lega) sono preoccupati anche i governatori di destra, come il calabrese Occhiuto. Intervista dalla giornalista Francesca Nava il presidente si è così espresso sui medici calabresi non idonei rimpiazzati dai medici cubani:

Nell’anticipazione video, il dialogo tra l’inviata di Presa diretta Francesca Nava e il presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto, a proposito del personale sanitario considerato inidoneo, cioè quei medici e infermieri che non possono lavorare nei turni notturni, nell’emergenza urgenza, nelle sale operatorie, certificati da colleghi che lavorano nelle stesse Aziende Sanitarie e che si stima siano più di 1300, il Presidente Occhiuto ha ammesso: «Non so se farebbero la differenza. Io mi farei operare più da un medico cubano che ha due specializzazioni e che le ha sempre esercitate e non da un medico calabrese che si è fatto dichiarare inidoneo da 15 anni».

Un’anticipazione del servizio si può trovare sul sito LanovitàOnline:

La puntata di PresaDiretta di domenica 15 settembre su Rai 3, dedicata alla sanità differenziata, promette di rivelare nuovi dettagli sconvolgenti sulla gestione della sanità, con un focus particolare sulla Calabria. Oltre a un’analisi del divario sempre più ampio tra Nord e Sud, la trasmissione presenterà interventi cruciali che potrebbero gettare nuova luce su affari controversi e irregolarità nel sistema sanitario calabrese. Tra gli ospiti, Santo Gioffré, già commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, affronterà temi delicati legati agli “affari” nella sanità locale, con riferimenti a dinamiche poco trasparenti che da anni minano il settore sanitario della regione. Le sue parole potrebbero svelare aspetti sconosciuti al grande pubblico, aggiungendo nuove prospettive all’inchiesta di PresaDiretta. Inoltre, il dottor Enzo Amodeo, noto cardiologo dell’ospedale di Polistena, offrirà uno sguardo privilegiato sulla situazione critica della cardiologia nella sua struttura. Polistena, uno dei presidi ospedalieri simbolo delle carenze della sanità calabrese, è stato spesso al centro di polemiche per la mancanza di risorse e personale. Il suo intervento potrebbe mettere in evidenza le sfide quotidiane di chi lavora in queste condizioni, offrendo un quadro realistico della situazione sul territorio. Questi contributi, insieme all’indagine più ampia condotta da PresaDiretta sulle disuguaglianze tra le regioni, rendono questa puntata un’occasione imperdibile per capire come l’autonomia differenziata rischi di aggravare ulteriormente un sistema già profondamente segnato da squilibri e inefficienze. La Calabria, con le sue strutture inadeguate e una gestione finanziaria disastrosa, rappresenta un esempio emblematico di come il diritto alla salute sia tutt’altro che garantito in alcune zone d’Italia. Con le testimonianze e i racconti raccolti da PresaDiretta, questa puntata potrebbe riservare sorprese e nuovi colpi di scena su uno dei temi più dibattuti e critici del nostro Paese.

Dalla Calabria al Veneto: in questa regione (dove la spesa sanitaria privata è tra le più alte d'Italia) stanno aumentando quelle strutture che offrono servizi sanitari solo a pagamento.
Poi in Francia
dove quest’anno, nonostante sia aumentato il debito pubblico, ha deciso di aumentare il budget della sanità portandolo all’8,7 per cento del Pil, soldi pubblici per finanziare strutture e attrezzature più moderne e aumento dei salari di medici e infermieri. Presa diretta racconterà quali sono state le conseguenze e con quali risultati per i cittadini.

Nella prossima puntata sarà intervista anche Martina Caironi, la straordinaria atleta paraolimpica che ha vinto tanti ori nelle passate olimpiadi, perché si parlerà anche della situazione della disabilità nel nostro paese: l’atleta verrà infatti intervistata assieme al presidente del Coordinamento nazionale famiglie con disabilità Alessandro Chiarini.
In Italia alle famiglie con bambini con disabilità spesso viene comunicato che non è possibile proseguire col percorso terapeutico perché è stato raggiunto il tetto di spesa (per un diritto universale e stabilito dalla Costituzione!): questo è quello che si è sentito dire il signor Sergio Squeglia, sono finiti i fondi per pagare le terapie e basta.
Rosa Peluso è una madre di questi bambini, a Presadiretta racconta la sua storia: “devi star sempre sul chi va là, tu non sai mai se per tuo figlio finiranno il budget e quindi non andrà di nuovo al centro, tanto è vero che stiamo pensando di aumentare le ore [di terapia] privatamente a casa, quelle le devo pagare io..”
Le terapie non sono un qualcosa di superfluo: possono aiutare bambini che hanno difficoltà a parlare, perché poi loro cresceranno, diventeranno giovani, saranno le future generazioni: “stanno pure aumentando i casi” continua Rosa
si pensa solo al livello economico, questi bambini sono numeri non sono persone, questi bambini saranno persone invisibili, se li gestiscono i genitori va bene, altrimenti per la società non esistono ..

Stiamo parlando di più di 3 ml di bambini con disabilità, dal nord al sud, le cui cure, per la colpevole disattenzione della politica, sono spesso solo sulle spalle delle famiglie.
Perché queste persone sono considerate un peso?

La scheda del servizio:

In Veneto, cliniche super attrezzate e centri di prime cure dove ogni prestazione è solo a pagamento. In Calabria, strutture inadeguate e debito regionale non ancora quantificato. La riforma dell'autonomia differenziata allargherà a dismisura il divario nord-sud? Mentre il Governo prepara la manovra finanziaria, sul territorio si comincia a fare i conti con l'autonomia differenziata. PresaDiretta ha raccolto le voci del sì e quelle del no. Secondo gli esperti del Mezzogiorno d'Italia come lo Svimez serviranno 80 miliardi per azzerare il divario nord-sud. E ancora, un viaggio nella sanità calabrese tra presìdi inadeguati e progetti di nuovi ospedali, carenza di operatori sanitari, bilanci delle aziende sanitarie mai presentati e un debito non ancora quantificato. E poi in Veneto, dove la spesa sanitaria privata è tra le più alte d'Italia. E infine in Francia, paese che nonostante la crescita del debito pubblico nel 2024 ha scelto di aumentare all'8,7 % del Pil i finanziamenti per la sanità. Strutture e attrezzature più moderne e aumento dei salari di medici e infermieri.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

14 settembre 2024

Il cane di terracotta, di Andrea Camilleri

 

A stimare da come l’alba stava appresentandosi, la iurnata s’annunziava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel ciriveddro lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannèra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento.Il commissario Salvo Montalbano apparteneva da sempre a quest’infelice categoria umana e la cosa gli era stata trasmessa per parte di matre, che era cagionevole assai e spesso si serrava nella càmmara di letto, allo scuro, per il malo di testa e allora non bisognava fare rumorata casa casa, camminare a pedi lèggio. Suo patre invece, timpesta o bonazza, sempre la stessa salute manteneva, sempre del medesimo intìfico pinsèro se ne restava, pioggia o sole che fosse.Magari questa volta il commissario non smentì la natura della sua nascita: aveva appena fermato l’auto al decimo chilometro della provinciale Vigàta-Fela, come gli era stato detto di fare, che subito gli venne gana di rimettere in moto e tornarsene in paese, mandando a patrasso l’operazione.

Lo scorso sei di settembre il maestro Andrea Camilleri avrebbe compiuto 99 anni, la sua morte ci ha privato del piacere della lettura dei suoi romanzi, non mi riferisco solo a quelli con Montalbano, ma anche quelli che aveva dedicato alla memoria della sua Sicilia. Quella lontano dai cliché, quella nascosta, primitiva, la Sicilia colonizzata dai "piemontisi" (come nel Birrario di Preston o nell’incredibile La concessione del telefono), calati dal nord come conquistatori.

Ma quello che abbiamo perso è anche il suo sguardo sul presente, sempre lucido nonostante l'età, nonostante la perdita della vista (forse la beffa peggiore per lui, amante dei libri): lo sguardo su una politica in perenne mutazione per rimanere sempre uguale, l'eterno gattopardo in osmosi con la mafia, che parla alla pancia delle persone non avendo strumenti e capacità per parlare alla loro testa.

Personaggi che sembrano presi dalla commedia, pupi nelle mani di pupari che tutto possono.
Un coraggio e una onestà intellettuale che lo hanno portato nei suoi libri a prendere di petto questa malapolitica, come ne Il giro di boa, con la critica alla legge Cozzi Pini che criminalizza i migranti che arrivano dal sud del mondo, trattati nemmeno come persone, come una minaccia per le nostre vite, proprio come gli ebrei venivano considerati dai nazisti.

Ecco, cosa c'è di meglio per celebrare il suo compleanno che non rileggersi uno dei suoi primi romanzi, come Il cane di terracotta, secondo romanzo della serie di Montalbano, scritto nel lontano 1996 e ambientato nel 1994, trent’anni fa, gli anni del passaggio tra prima e seconda repubblica quando la vecchia politica aveva cercato (riuscendoci) di riciclarsi come il “nuovo che avanza”.


Erano gli anni in cui su un canale privato andava in onda la sera

la rubrica quotidiana dove un ex critico d’arte, ora deputato e opinionista politico, sbavava contro magistrati, politici di sinistra e avversari credendosi un piccolo Saint Just e appartenendo invece di diritto alla schiera di venditori di tappeti, callisti, maghi, spogliarelliste…

Questo romanzo è un giallo, come struttura: c’è un furto fatto passare per scherzo, “garrusiata”, che invece nasconde un pericoloso traffico di armi. C’è un mafioso della “vecchia” mafia che, non riuscendo a mettersi al passo con la nuova mafia, ha il timore di essere gettato fuori strada.
Tano ‘u greco, occhi da statua, senza espressione, che decide di fidarsi di Montalbano ed organizzare una finta cattura, “con tanticchia di tiatro per salvare la faccia”. Perché “lei è uno che le cose le capisce”, dice a Montalbano proprio Tanu ‘u greco: uno che capisce le persone, che sa andare oltre le leggi scritte, arrivando anche ad accordarsi con un pluriassassino. Che di fronte a lui torna ad essere un uomo, non più il temibile capomafia, ma un uomo che si “scanta” della morte, quando un commando di mafiosi, quella della nuova mafia che parla col cellulare e che ha studiato, lo getta fuori strada sparandogli.

Gli fa un ultimo regalo, Tano, prima di morire: in cima alla collina del Crasto (per una vecchia leggenda su un crasto d’oro dentro una grotta), si nasconde un deposito di armi di quella mafia che ha deciso di dargli una liquidazione.

Un furto fatto passare per scherzo e un mafioso arrestato, il sequestro di un deposito della mafia: all’improvviso Montalbano si ritrova a dover partecipare a delle conferenze stampa, “e se mi domandano?” chiede al Questore, per la paura di trovarsi di fronte ai giornalisti. C’è persino il timore di una promozione che lo porti lontano dal suo commissariato, dai suoi agenti, dalla sua Vigata, dalla sua vita di cacciatore solitario, che ha bisogno di far lavorare da solo il suo cervello. Cosa che il vice Augello gli rimprovera: “tu ti sei costruito un commissariato a tua immagine somiglianza..”

Ma il cacciatore solitario si imbatte in un giallo, un omicidio, ben più complicato: dentro la caverna sul Crasticeddru nota un particolare che lo squieta, che non lo lascia in pace. È la scintilla per la scoperta di due cadaveri, un ragazzo e una ragazza, uccisi almeno cinquant’anni prima e deposti dentro una tomba ricavata dalla grotta. Deposti seguendo una specie di rituale particolare: accanto a loro, un bummulo, un contenitore di creta che forse originariamente conteneva acqua, delle monete in una ciotola. E un cane, proprio lui “Il cane di terracotta”, a guardia dei due morti.

Anche il commissario si ritrova, a seguito delle indagini sul furto al supermercato, che è ben più di una “garrusiata”, gettato fuori strada: la convalescenza, a seguito della ferita, lo spinge a dedicarsi a quei due morti, quel ragazzo e quella ragazza abbracciati nella grotta e a cui Montalbano pare di aver distrutto quel sonno eterno che qualcuno aveva loro regalato.

Tutto il resto non ha più importanza: come mai l’assassino li ha deposti seguendo quel rituale? E se non fosse stato l’assassino ma qualcun altro? E poi, chi erano queste due persone?

Inizia così una seconda indagine, un viaggio lungo la memoria dei vecchi, delle persone che appassionatesi a questa storia iniziano ad aiutarlo. Il vecchio preside di Vigata e la moglie, uno studioso esperto nei riti di sepoltura, un vecchio marinaio che aveva servito su una barca ancorata nel porto di Vigata durante la seconda guerra mondiale..
Ed ecco che, quasi magicamente, quella sepoltura trova una spiegazione nel mito dei dormienti, un racconto comune a diverse religioni o culture antiche:

.. La Sura dice che Dio, venendo incontro al desiderio di alcuni giovani che non volevano corrompersi, allontanarsi dalla vera religione, li fece cadere in un sonno profondo all'interno di una caverna. E perché nella caverna ci fosse sempre il buio più completo, Dio invertì il corso del sole. Dormirono per circa trecentonove anni. Con loro, a dormire, c’era pure un cane, davanti all’imboccatura, in posizione di guardia, con le zampe anteriori distese...

Attenzione, non è un’indagine per arrivare a scoprire il nome dell’assassino che, passati cinquant’anni, sarà sicuramente in là con gli anni se non morto.
Montalbano, ma pare di leggere un passaggio dove Simenon parla del suo Maigret, è ossessionato dal perché:

.. dell'assassino non gliene importava tanto, quello che l'intrigava era perché qualcuno, l'assassino stesso forte, si fosse dato carico di spostare i cadaveri nella grotta e d'allestire la messinscena della ciotola, del bùmmulo e del cane di terracotta.

Comprendere i perché, come anche, comprendere i simboli che ogni assassino, ogni persona dietro un delitto, lascia dietro di sé.
In questa storia (dove potete trovare decine di citazioni letterarie, da Dürrenmatt a Pirandello e Sciascia) troviamo la mafia, quella vera, quella ben assestata dentro l’economia, che parla come un manager quando deve tagliare i rami secchi. Quella che va combattuta, secondo certi politici, ma senza fargli troppo la guerra..

Troviamo la morte e anche il risveglio, la morte e anche l’amore, che è destinato a durare per sempre. Troviamo la Sicilia di Montalbano, il suo dialetto, il suo dare un colore agli odori, la sua aggettivazione bastarda, i tanti personaggi che poi troveremo nei successivi romanzi (Catarella, Augello, Fazio, Adelina, Livia l’eterna fidanzata..).

Trasì nella càmmara di letto. Il vecchio si stava godendo un sonno sereno, il respiro lèggio, l'ariata distesa, calma. Viaggiava nel paese del sonno senza più ingombro di bagaglio. Poteva dormire a lungo, tanto sul comodino c'erano il portafoglio coi soldi e un bicchiere d'acqua. Si ricordò del cane di peluche che aveva comprato a Livia a Pantelleria. Lo trovò sopra il comò, nascosto dietro una scatola. Lo pigliò, lo mise a terra, ai piedi del letto. Poi chiuse adascio adascio la porta alle sue spalle.

La scheda del libro sul sito di Sellerio e la pagina dedicata sul sito di Vigata
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08 settembre 2024

Quasi per caso, di Giancarlo De Cataldo

Campagna romana, lunedì dell’Angelo, 9 aprile 1849

Il giovane piemontese stringeva la carabina e fissava stordito il cadavere, che se ne stava disteso su un mucchio di fogliame, con le braccia aperte e la bocca atteggiata a un beffardo sorriso. Come se nel prendere congedo dal mondo avesse finalmente realizzato di quale grande inganno – lui come chiunque – era stato vittima. Come se volesse dire a chi restava: E ora tocca a voi. Anzi, tocca a te. Vediamo come riuscirai a cavartela, ragazzo, perché una cosa è certa: dalla mia morte non potranno che venirtene guai.

In questo giallo storico Giancarlo De Cataldo ci porta indietro nel tempo, nelle settimane in cui vide luce la repubblica Romana, nell’aprile del 1949, una barlume di speranza per un’Italia più giusta, “democratica” verrebbe da dire, soffocato poi dall’arrivo delle truppe francesi nel luglio 1849. E’ in questo contesto che si svolge la trama di questo racconto che ha come protagonista il maggiore Emiliano Mercalli di Saint Just, dell’esercito piemontese, reduce dalla sconfitta di Novara che costò l’abdicazione a Carlo Alberto, a favore del figlio Vittorio Emanuele.
Prossimo al matrimonio, scopre che la sua amata Naide, ha lasciato Torino per andarsene a Roma: le motivazioni sono tutte nel biglietto che gli ha lasciato

Sono a Roma. Dove si combatte per la libertà. Raggiungimi. Ti amo

Naide

Donna molto avanti per quei tempi, Naide, per i suoi studi in medicina, per essere stata in America per lavoro, nel sentirsi soffocata dal ruolo che quella società costringeva le donne, solo madri, mogli e angeli del focolare.

Sulla soglia del Florio, Emiliano scambio un rapido cenno di saluto con Isacco Artom, il giovane segretario particolare del Conte di Cavour. Si erano conosciuti durante l'inchiesta sul Diaul, e si stimavano reciprocamente. Artom ebreo, ma per Cavour le questioni di razze di credo erano irrilevanti, se non fastidiose. Carlo Alberto, su suo consiglio, aveva smantellato il ghetto e annullato tutti gli odiosi editti contro gli israeliti. Sotto questo aspetto il Piemonte era uno degli stati europei più avanzati.

Emiliano è disposto a giocarsi il tutto per tutto per riportare Naide a casa, anche a disubbidire agli ordini dei suoi superiori che gli intimano di non pensarsi neanche di finire nel mezzo della rivoluzione romana, con Mazzini e Garibaldi, per non creare problemi a casa Savoia.
Ma il destino, nelle vesti del conte di Cavour, ha in mente per lui un ruolo preciso in questa storia: ricorrendo anche all’inganno, il consigliere del re lo costringe ad accettare un incarico molto particolare. Un incarico che gli arriva niente meno che dal re, il “focoso” Vittorio Emanuele

Emiliano dovette fare appello a ogni sua energia per non saltargli addosso. Cavour. Maledetto. Quella serpe non faceva mai niente a caso. Aveva forse bisogno di qualcosa da lui? E di che cosa? All'improvviso, dall'esterno filtrò una voce tonante.
«È qui? È arrivato?» La porta si spalancò. Fece il suo ingresso un giovane non molto alto, bruno, baffuto, in giacca da camera rossa.
«Benso! Ah, bravo, me l'avete portato, bravo!»
Mentre Cavour si alzava pigramente, senza nemmeno accennare ad accantonare il sigaro, Emiliano balzava in piedi e s'inchinava. Era entrato il re.

Si tratta di riportare a casa Aymone Fleury, vecchio compagno d’armi del re, che si è invaghito della moglie del principe Ottaviani-Augusti, Matilde, che ha raggiunto fino a Roma. Emiliano deve riportarlo a casa, in qualunque modo, perché il re e Cavour hanno per Aymone altri piani, tra cui un matrimonio riparatore.
Mente fine quella di Cavour, un vero animale politico che sa come muovere come pedine le altre persone, ricorrendo anche a degli inganni, come per Emiliano. E, soprattutto, sa come andrà a finire questa breve esperienza di libertà a Roma:

«..Mi auguro che vi portiate qui a Torino quel giovane scapestrato di Fleury prima che Roma sia ridotta un cumulo di macerie» siete così pessimista su Roma Conte?»
«Vedete forse una luce in questo oscurità di altre potenze non permetteranno mai che si radichi una enclave sovversiva nel cuore dell'Europa quindi... il destino di Roma è segnato.»

Arrivato a Roma, Emiliano si presenta a Mazzini con una carta firmata dal conte di Cavour: sono tempi strani, da una parte Mazzini è considerato un criminale a Torino, ma a Roma è il capo di un triumvirato che comanda questa Repubblica, “ed è coi capi che si tratta”.

Eccitazione. Fermento. Questo si respirava nell'aria. La cacciata del Papa, la proclamazione della Repubblica, l'arrivo di Garibaldi: una successione di tumultuosi eventi aveva trasformato in pochi mesi la sonnolenta capitale della cristianità nel teatro del più spericolato esperimento dei tempi moderni. Combattenti da ogni parte d'Italia ed Europa si davano convegno all'ombra del Colosseo innalzando la bandiera della libertà contro l'oppressione dei tiranni. La reazione non si era fatta attendere. Gli austriaci avevano rapidamente ripreso il controllo della Ciociaria a sud, e incombevano dai confini settentrionali minacciando le Marche e la Romagna. Dal suo esilio a Gaeta il papa incitava le grandi potenze a ripristinare l'ordine. La flotta francese veleggiava la volta di Civitavecchia.

C’è poco tempo dunque per questa missione: ritrovare Aymone, ritrovare Naide ma, prima di tutto, incontrare Mazzini per avere quel minimo di appoggio in una città sconosciuta, dove ad uno come Emiliano è perfino difficile comprendere quel dialetto così ricco di significati.
Mazzini si dimostra disponibile ad aiutare il giovane ufficiale torinese: ancora una volta è la politica a guidare certe scelte, la piccola repubblica romana non può inimicarsi il piccolo regno sabaudo, chissà che un giorno possa tornargli d’aiuto.

Il giovane Aymone si trova proprio nella tenuta di campagna del principe Ottaviani-Augusti, la Spinosa: il principe del papa non è diventato all’improvviso un carbonaro, ma anche lui ha intuito che di questi tempi avere in casa un compagno di bagordi del re Savoia può fargli comodo, anche se, come tutti, sa che prima o poi sarà nuovamente il papa e i “reazionari” a comandare.
Ma, una mattina, mentre si prepara una battuta di caccia, il cadavere del principe viene trovato in una radura: accanto al corpo, c’è proprio Aymone, col suo fucile in mano e viene subito portato via dal guardiacaccia e successivamente messo agli arresti dalla polizia.

La missione, già difficile prima, diventa ora quasi impossibile: come fare a salvare Aymone dall’accusa di omicidio? Emiliano non può che affidarsi, oltre agli uomini che Ciceruacchio gli ha messo a disposizione, all’aiuto di Naide.
Così, mentre la città si prepara alla guerra, si preparano barricate, attendendo l’arrivo dei francesi, Emiliano e Naide devono scoprire chi altri avrebbe avuto interesse ad uccidere il principe. Perché Mazzini è stato chiaro: non può salvare l’amico di Vittorio Emanuele, deve dimostrare di sapere amministrare la giustizia, dunque ci sarà un processo regolare e alla fine potrebbe esserci pure la pena di morte.
Emiliano ha a disposizione una strana squadra: Naide, che come medico ne sa molto di più di tanti dottori stimati, un giovane ragazzetto a cui si è affezionato, il riccetto e, alla fine, quando ormai tutto sembra perduto, arriva a Roma anche l’amico Gualtiero, una sorta di Sherlock Holmes torinese.

Sullo sfondo di questa indagine, che troverà una sua soluzione nel finale, compaiono personaggi storici realmente esistiti: non solo Mazzini, ma Carlo Pisacane, Goffredo Mameli e il maggiore dei bersaglieri Luciano Manara che era accorso a Roma a combattere per la Repubblica.
Anche il fotografo Stefano Lecchi che, con le sue fotografie darà un contributo alla soluzione del caso, è un personaggio storico: i suoi “calotipi”, gli antenati della fotografia, rappresentano il primo reportage di una guerra in Occidente.
È invece un errore, ma veniale e perdonabile, l’aver retrodatato la nascita della pasta alla carbonara che, come ammette nelle note finali Giancarlo De Cataldo, ha origini nel 1870.

E’ però reale la descrizione del clima politico di quegli anni, gli anni del Risorgimento poi culminati con l’unità d’Italia: i giochi politici delle grandi nazioni (e del piccolo regno Sabaudo, che pure ambiva ad un suo ruolo in Europa), le grandi aspirazioni e gli ideali che mossero tanti giovani a combattere per la libertà. Uomini e soprattutto donne che volevano liberarsi da quelle catene che le intrappolavano nei ruoli che la società dell’Ottocento (ma per certi versi vale anche oggi) le teneva relegate:

Emiliano doveva ammettere che a Roma in quei giorni si respirava un clima di grande libertà. Molte delle grette convenzioni sociali che regolavano la loro vita torinese lì semplicemente non venivano prese in considerazione. Capiva perché Naide si trovasse così a suo agio. A lei le convenzioni erano sempre risultati odiose.

La scheda del libro sul sito di Mondadori

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Anteprima Presadiretta – Europa in armi

Si vis pacem, para bellum: il motto latino, per cui per ottenere la pace occorre prepararsi alla guerra, sembra essere tornato di moda.

L’Europa è oggi impegnata in una forsennata corsa al riarmo, che sia un riarmarsi contro l’invasione dei migranti (i partiti xenofobi hanno di fatto già condizionato l’agenda europea) o che si tratti di voler mostrare i muscoli ad un nemico che sta dall’altra parte del blocco.
La scorsa primavera sul confine che separa Norvegia e l’Europa dalla Russia è avvenuta la più grande manovra militare della Nato dalla seconda guerra mondiale, con 90mila militari, aerei, navi, carri armati, sistemi missilistici di ultima generazione.


Qui, nel 1940, lungo la costa di Narvik, 200 km a nord del circolo polare artico, l’esercito nazista invase la Norvegia con un attacco a sorpresa: dopo 80 anni su questo tratto di costa sono sbarcati i soldati e i mezzi della 3a brigata dell’esercito americano, 2000 uomini e duecento mezzi, per una simulazione di guerra durata 6 mesi.

“Questa operazione si chiama “Immediate Response”, è la simulazione della risposta ad un attacco avversario, è la prima volta che effettuiamo uno spostamento così complicato e serve a dimostrare che l’esercito USA può proiettare le proprie forze dovunque in Europa per proteggere i nostri alleati della NATO, incluso il grande nord” – così racconta l’operazione il colonnello Ryan Barnett.

Non è stata solo una esercitazione dunque, qualcuno nei piani alti si sta veramente preparando ad una possibile invasione o ad un nuovo fronte di guerra.
E la pace?
Solo gli ingenui possono pensare che questa corsa al riarmo, al mostrare i muscoli, serva a contenere l’espansione russa nell’est Europa.
L’industria delle armi in questi anni ha visto aumentare i loro profitti, gli aiuti militari degli Stati Uniti sono stati in buona parte uno spostamento di risorse pubbliche verso l’industria privata americana.
E lo stesso avviene in Europa, dove si chiede ai membri della Nato di arrivare a spendere il 2% del PIL in armi che, tradotto, significa tagliare la spesa pubblica in altri settori, come sanità, welfare, scuola.
Ma è per la nostra difesa, dicono i propagandisti dell’industria bellica dal caldo dei loro divani: dopo due anni di guerra in Ucraina, non sembra che questa strategia militare abbia portato risultati. A meno che i risultati a cui si voleva arrivare fossero proprio questi, un impegno militare a lungo termine, per una situazione di stallo destinata a rimanere bloccata per anni.
Uno scenario che ricorda molto da vicino quanto raccontava George Orwell in 1984:

“Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai.

Una società gerarchica è possibile solo se si basa su povertà e ignoranza. Questa nuova giustificazione della guerra attiene al passato, ma il passato, non può essere che uno e uno soltanto.

Di norma lo sforzo bellico persegue sempre lo scopo di tenere la società al limite della sopravvivenza.

La guerra viene combattuta dalla classe dominante contro le classi subalterne e non ha per oggetto la vittoria sull'Eurasia o sull'Asia orientale, ma la conservazione dell'ordinamento sociale.”


Presa diretta si era già occupata nel passato del peso, politico ed economico, dell’industria delle armi, sin dal 2021 con la puntata “La dittatura delle armi”, dove si raccontava dei rapporti (economici e strategici) con Egitto, Arabia, Turchia, non proprio esempi di democrazie. Tutti paesi a cui vari governi italiani hanno venduto armi senza porsi troppi problemi.

Nel servizio verrà mostrato il servizio di difesa finlandese, ritenuto uno dei più avanzati al mondo, con i suoi 50mila rifugi per la popolazione, da usare in caso di guerra e in grado di proteggere le persone anche da attacchi nucleari. Ma stiamo parlando di un paese con 4,8 ml di persone.

Sui canali social di Presadiretta si trovano altri spezzoni di un servizio che riguarda lo sfruttamento dei migranti sui nostri campi: sono storie di sfruttamento, umiliazione, mancato rispetto delle leggi che ogni tanto trovano spazio sui giornali, ma solo a seguito di episodi di cronaca, come la morte di Satnam Singh, il bracciante che è stato abbandonato dal suo “padrone” davanti casa, con un braccio amputato. Nemmeno degno delle cure.


A Presadiretta parla il suo avvocato Giovanni Lauretti:

“Le lavorazioni agricole comportano spesso degli infortuni, non solo, nelle campagne avvengono ritrovamenti sospetti di persone decedute e non si sa in che modo ciò sia avvenuto. Purtroppo si tratta di soggetti quasi invisibili, Satnam e Soni erano in Italia da tre anni, ma erano fantasmi per le Istituzioni.”
Queste situazioni, la brutta vicenda capitata a Satnam, non sono casi isolati, dunque: se di questo caso se ne è parlato è perché assieme alla vittima c’era la moglie: “quello che mi dicono le forze dell’ordine è che se non ci sono testimoni e succedono infortuni gravi, i soccorsi a volte vengono omessi completamente. In questo caso c’erano molti testimoni, tra cui la compagna, quindi inevitabilmente qualcosa doveva essere fatto. È stata fatta forse la cosa peggiore: a quello che dice il medico legale, la mancanza di soccorsi immediati è stata determinante nel causare la morte.”

Tutto questo continua a succedere, nonostante le leggi contro il caporalato, perché c’è una non cultura dello sfruttamento che permea tutta l’industria dell’agroalimentare, perché c’è un sistema economico che ha bisogno dei migranti irregolari, dunque criminalizzabili, dunque senza diritti, che possono essere mandati nei campi senza orari, senza tutele.
Finché qualcuno non si ribella, come successo a Pordenone dove 50 braccianti irregolari hanno denunciato la loro situazione e ottenuto così il permesso di soggiorno e la dignità di un lavoro irregolare (si tratta pur sempre dell’articolo 1 della Costituzione, con buona pace dei tanti razzisti che di fronte a queste storia commentano ‘mandiamoli a casa loro’).
Oggi, coi documenti in regola, queste persone lavorano in modo “regolare”, ottenendo perfino i contributi: perché lavorare in regola conviene anche allo Stato.

Sul Fatto Quotidiano potete leggere una anticipazione del servizio che andrà in onda questa sera:

La guerra non è più un tabù in Europa, e PresaDiretta dalle 21,25, dopo Aspettando PresaDiretta, torna ad occuparsene con le sue inchieste e i suoi reportage.

[..]

Dopo aver seguito le operazioni in Finlandia e Svezia, che dopo anni di neutralità sono entrate nella NATO, PresaDiretta è stata anche in Polonia, dove sempre più cittadini si arruolano nelle milizie volontarie secondo il principio: se vuoi la pace, prepara la guerra. Dal 2014 il nostro è il continente che ha aumentato la spesa militare più di tutti, +62%, raggiungendo nel 2023 la cifra record di 588 miliardi spesi in armamenti. Lo dice il SIPRI il prestigioso Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma in Svezia, al quale però il governo ha dimezzato i fondi. Ma se tutti gli Stati membri tornano ad armarsi singolarmente e non riescono a mettersi d’accordo su una difesa comune, il progetto di un esercito europeo continua a fallire. Perché? Jiří Šedivý, l’Amministratore Delegato della European Defence Agency ha raccontato a PresaDiretta che la difesa europea non esiste, che gli Stati membri non hanno un reale interesse a costruirlo e che a difendere l’Europa c’è già la Nato

La scheda del servizio:

Un’inquietante corsa al riarmo si sta diffondendo in Europa, Riccardo Iacona approfondirà il preoccupante scenario di guerra che si sta diffondendo. “Europa in Armi” è il titolo della seconda puntata di “Presa Diretta” in onda domenica 8 settembre alle 20.35 su Rai 3.  Si ragionerà su quanto sta accadendo soprattutto nel Nord Europa attraverso un lungo viaggio attorno ai confini più caldi, dove è in corso la più grande esercitazione Nato degli ultimi decenni. In Finlandia, in Svezia, in Polonia, nel Mar Baltico: più di 90 mila uomini mobilitati oltre 6 mesi per simulare la difesa da un attacco militare da parte della Russia. La Finlandia ha raddoppiato la spesa militare, tagliando però la sanità, gli incentivi per la casa, i sussidi alla disoccupazione, i finanziamenti alle organizzazioni pacifiste. In Svezia, il governo ha dimezzato i fondi al SIPRI, il prestigioso Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma. Nel Mar Baltico si misurano i nuovi rapporti di forza tra Nato e Russia ed è in atto una guerra ibrida con azioni di sabotaggio alle più importanti infrastrutture. In Polonia, intanto, si diffondono programmi rivolti a uomini e donne per reclutare sempre più volontari nei vari corpi dell’esercito. Nel 2023 gli stati europei hanno investito 550 miliardi di euro per spese militari, un record dai tempi della guerra fredda e i colossi del comparto bellico si contendono le commesse. Eppure la realizzazione di un esercito comune in Europa resta lontana. Nelle parole del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Matteo Zuppi, intervistato da Iacona, l’indicazione della via della diplomazia per raggiungere una pace che metta a tacere le armi. Nella prima parte della serata ad “Aspettando PresaDiretta” fino alle 21.25 circa, si affronterà ancora una volta il problema del caporalato. Si riporterà l’attenzione sulla storia di Satnam Singh, il lavoratore indiano che nei campi di Latina ha perso prima un braccio e poi la vita. Per la prima volta parla in televisione, nascondendo la sua identità per timore di ritorsioni, uno dei principali testimoni di quell’incidente. Dal Friuli invece, una straordinaria storia di riscatto: a Pordenone 50 lavoratori stranieri irregolari si sono ribellati allo sfruttamento che li aveva ridotti in schiavitù, hanno denunciato gli sfruttatori e hanno ottenuto il permesso di soggiorno e la dignità di un lavoro regolare. In studio si analizzeranno le contraddizioni di un’industria agroalimentare, che rende schiavi una parte dei suoi lavoratori, insieme al sociologo Marco Omizzolo e al giornalista Marco Damilano, conduttore del programma “Il cavallo e la torre”. Infine una riflessione sulle politiche migratorie con la segretaria del PD Elly Schlein.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

04 settembre 2024

L'uomo dei dubbi, di Ed McBain


Quando si svegliò, nella stanza faceva un gran freddo, e i vetri della finestra erano incrostati di ghiaccio. Non riuscí a ricordare subito dove fosse. Nella sua camera, al mattino, d’inverno, faceva sempre freddo. Quella, però, non era la sua camera. Per qualche istante si ribellò all’aspetto estraneo del luogo, poi si ricordò di essere in città.

In questo romanzo, il diciannovesimo della serie sui poliziotti dell’87 distretto di polizia, Ed McBain compie una vera e propria rivoluzione copernicana: al centro del racconto non ci sono più i suoi poliziotti, che per i lettori dei suoi romanzi sono così vivi e reali da considerarli come persone di famiglia. Al centro del racconto c’è un personaggio strano, che incontriamo sin dall’inizio mentre si muove nella sua stanza di quella specie di pensione dove ha trovato una stanza da affittare.

Si chiama Roger Broome, è arrivato in città per vendere i suoi utensili in legno che produce nella sua bottega a Carey, un piccolo paese conosciuto solo da chi passa di lì per andare a sciare.

Era alto un metro e novantasei e pesava novantacinque chili abbondanti. Aveva mani grandi, scure e callose, da contadino.

Seguiamo la sua giornata mentre si sposta per il quartiere di questa città, che assomiglia tanto a New York anche se non lo è: a discutere con la padrona della stanza, l’incontro con Amelia nel negozio dove compra i biglietti da spedire per la madre, su a Carey.
Poi l’incontro col balordo Clyde, un tizio che ha incontrato davanti l’ingresso dell’87 distretto e a cui offre da bere, anche se non lo conosce, anche se non avrebbe nulla da spartire con lui.

Ma Roger Broome, questa la prima impressione che abbiamo di lui, è una brava persona, uno di quelli che ha sempre lavorato, che è diventato capofamiglia in fretta per la perdita del padre, forse un po’ succube della madre, ma come si fa a non esserlo, quando si vive tutti assieme in una casetta piccola, in un piccolo paese…

Sarebbe dovuto andare alla polizia. Dio, se c’era freddo in quella stanza!

C’è una cosa che incuriosisce, però, di Roger Broome: sente il bisogno di andare dalla polizia, proprio dagli agenti del Distretto dove si trova la sua stanza, per raccontare qualcosa che gli è successo la sera prima.
Ma ha tanti dubbi, Roger, non riesce a decidersi ad entrare nel Distretto e a cercare un poliziotto: non perché nessuno gli dia retta, è che proprio non riesce a decidersi.

Ma cosa deve raccontare alla polizia?

Non lo sappiamo: servirebbe a Roger un detective, non come quello che aveva incontrare nel bar, quando stava bevendo qualcosa con Carey, quel detective Parker che non gli ispirava fiducia.

Non gli andava l’idea di raccontare la storia a qualcuno che non fosse un detective. No, proprio non gli andava. Roger voleva parlare subito con un detective e sistemare la faccenda
Ecco, andrebbe bene proprio quell’altro detective, che aveva visto uscire dal distretto e andare a piedi verso un ristorante, dove l’aspettava quella donna così particolare, bella, con degli occhi neri intensi, e sordomuta. Quel detective, alto, con gli zigomi così particolari, da cinese, gli ispirava fiducia, davanti a lui riuscirebbe a spiegare cosa è successo.

Ma sembra che il nostro Roger non riesca proprio a decidersi. Ma cosa avrà mai da raccontare alla polizia?
Nel frattempo, usando il meccanismo del flashback, pezzi della serata e della giornata precedente riaffiorano, come l’incontro con quella donna, brutta come le tante ragazze che aveva conosciuto al paese (chissà perché a lui toccavano solo ragazze brutte), conosciuta in un locale dove era entrato solo per scaldarsi i piedi. Molly, questo il suo nome, era venuta in città da Sacramento per trovare un lavoro, al momento senza fortuna però.
Brutta, ma con qualcosa di interessante. Tanto da passarci la sera assieme.

Forse con Amelia avrà maggior fortuna, la ragazza conosciuta quando doveva spedire la cartolina alla madre: è un gioco di punzecchiature, battutine, quello con Amelia lo avvicina. Lei sì che è una bella ragazza, finalmente, se non avesse però quel difetto, almeno agli occhi della madre, quella pelle scura..

Pagina dopo pagina, si percepisce un cambiamento nel tono del racconto: la storia, apparentemente semplice dell’uomo di campagna venuto in città a vendere la sua mercanzia diventa un racconto dove iniziano a comparire tanti punti neri.
È un crescendo emotivo, quello del lettore, che arriverà al finale, incredibile e da lasciare a bocca aperta, dove tutti i pezzetti della storia avranno trovato il loro posto.

E i poliziotti, gli agenti del Distretto? Carella compare assieme alla moglie, mentre viene inseguito da Roger senza che lui se ne accorga.

Incontriamo altri agenti nel Distretto mentre interrogano due ragazzi accusati di furto in un negozio.
Altri agenti, Cotton Hawes e Hal Willis, invece li incontrerà proprio nella stanza affittata, chiamati dalla padrona per indagare su uno strano caso di furto, un ladro che si è portato via dalla cantina un frigorifero vecchio, da pochi dollari.
Ma al centro c’è lui, questa persona enorme, che comprendiamo sin da subito un po’ ingenua, il classico uomo venuto da fuori, che non conosce la città e che si muove a fatica in queste fredde giornate di febbraio.
L’uomo dei dubbi.

.. accese il motore, guardò ancora una volta la stazione di polizia, poi si mise a guidare. Tornava a casa. Da sua madre.
La scheda del libro sul sito di Einaudi
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