30 gennaio 2025

Dossier Odessa di Frederick Forsyth

 

Tutti sembrano ricordare con grande precisione quello che stavano facendo il 22 novembre 1963, nel preciso istante in cui apprendevano la notizia della morte di Kennedy. Il presidente era stato colpito alle 12.22 ora di Dallas, e l’annuncio della sua morte era arrivato mezz’ora dopo…

Non sono molti i romanzi che riescono ad essere, allo stesso tempo, avvincenti, emozionanti e ben curati dal punto di vista storico come questo Dossier Odessa che considero una pietra miliari del genere thriller.
Per scrivere questo romanzo l’autore, ex pilota della Raf, cronista per la Reuters nei giorni degli attentanti dell’OAS a De Gaulle, si è documentato partendo dalle carte dell’inchiesta su Odessa, questa poco conosciuta organizzazione di ex appartenenti alle SS di cui poco si sapeva negli anni sessanta. Forsyth è perfino andato a Vienna per avere un supporto da Simon Wiesenthal: fu proprio l’ex detenuto di Mauthausen a suggerirgli di basare la sua storia, un ex ufficiale delle SS che era riuscito a cambiare identità, su un vero criminale di guerra nazista, il capitano Eduard Roschmann, comandante del ghetto di Riga.

Se volete approfondire questo pezzo della storia, reale non un’invenzione letteraria (sebbene questo romanzo si basi su fonti storiche) vi consiglio di leggervi “Giustizia non vendetta” scritto proprio da Wiesenthal.

C’è sempre la tentazione di domandarsi quello che sarebbe successo se... quanti libri usano questa espressione per spiegare come la Storia, quella con la S maiuscola, possa essere influenzata da piccoli eventi insignificanti. Come il fatto che il giornalista (oggi diremmo freelance) Peter Miller si fosse fermato ai margini della strada per ascoltare la notizia della morte di Kennedy (“come se d’un tratto la guida e l’ascolto della radio fossero diventate due attività incompatibili”). Non avrebbe visto passare l’ambulanza, non avrebbe saputo della morte di un ex internato ebreo, Salomon Tauber, non ne avrebbe letto il diario, raccolto nei lunghi mesi della detenzione nel ghetto di Riga. Non avrebbe conosciuto Eduard Roschmann, il comandante del ghetto, responsabile della morte di 80 mila ebrei, su cui si divertiva a sfogare la sua brutalità, come un dio in terra, un dio in grado di decidere a proprio piacimento della vita e della morte delle persone che avevano avuto la sfortuna di finire sotto il suo controllo.

Salomon Tauber, la voce che racconta queste vicende, scelse di raccogliere queste brutalità in un diario, appuntandosi nomi e fatti sulle bende, per non dimenticare. Perché tutto quello che succedeva in quell’inferno sulla terra doveva arrivare al mondo là fuori, per avere giustizia:

«Ebreo, figlio mio,» sussurrò «tu devi vivere. Giurami che vivrai. Giurami che uscirai vivo da questo posto. Devi vivere, per poter riferire a loro, a quelli che stanno fuori nell’altro mondo, che cosa è successo al nostro popolo qui dentro.

Promettimelo, giuralo sul Sfer Torah.»

E così giurai che sarei vissuto, in qualche modo, a qualsiasi costo. Poi mi lasciò andare. M'incamminai con passo incerto lungo la strada che portava al ghetto, e a metà strada svenni..

Inizia così, da un diario, la caccia all’uomo del giornalista Peter Miller: nelle ultime pagine del racconto Tauber racconta la sua frustrazione per aver visto il suo carnefice girare libero per le strade di Amburgo e non aver così potuto raggiungere l’obiettivo che si era dato nel ghetto di Riga, portare il suo carnefice di fronte alla giustizia, frustrazione poi sfogata in quel gesto estremo del suicidio

Ma se mai queste righe dovessero essere lette in terra di Israele, che io non vedrò mai, ci sarà qualcuno che vorrà recitare il kaddish per me?

Ma come è possibile che una persona come Roschmann sia ancora libera?
Miller si rende subito conto di quanto sia difficile, nella Germania del 1963, fare un’inchiesta su un’appartenente alle SS, seppure responsabile della morte di migliaia di persone, molte delle quali ebrei tedeschi.

La generazione che ha visto il nazismo non vuole più sentir parlare di queste storie: tutti conoscevano una persona ebrea, una famiglia, che viveva vicino a loro e che all’improvviso era sparita. Tutti in Germania si ricordavano degli articoli antisemiti che uscivano sui giornali del regime. Eppure in tanti hanno voltato la testa dall’altra parte, hanno preferito non vedere.

Ma c’è un’altra cosa: le SS, mentre l’esercito tedesco era in rotta sul fronte orientale e su quello occidentale, si preparavano alla fuga, utilizzando le enormi ricchezze che avevano rubato agli ebrei e a tutte le vittime e che erano state nascoste nelle casse delle banche svizzere.
Ecco allora l’Organizzazione Odessa, ovvero “Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen”: “Organizzazione degli ex membri delle SS”.

Un’organizzazione che si era data diversi obiettivi: proteggere la fuga dei grandi criminali di guerra, approfittando anche dell’aiuto delle associazioni caritatevoli e anche di un certo occhio di riguardo da parte di esponenti del clero cattolico.
Poi, una volta passata la buriana, con la fine dell’occupazione alleata sul territorio tedesco, far rientrare gli ex kamerad dentro le istituzioni della Germania Federale: nei land, nei tribunali, negli studi di avvocati. Poi l’infiltrazione dentro la politica perché, come in Italia, “non esisteva alcuna legge che proibisse a ex nazisti di iscriversi a un partito politico”.

«È una questione di matematica elettorale. Sei milioni di ebrei morti non votano. Cinque milioni di ex nazisti possono farlo e lo fanno, a ogni elezione».

Poi l’influenza sull’opinione pubblica e sui giornali andando a finanziare quelle testate che mandavano messaggi concilianti sulle ex SS: si doveva far passare il messaggio (che ancora oggi sentiamo girare dagli esponenti dei partiti di estrema destra) che le SS erano solo soldati che obbedivano agli ordini.

Le ricchezze di sei milioni di ebrei morti, passati per il camino, oltre all’avvento della guerra fredda che spostò il focus dell’attenzione contro il comunismo, ha permesso tutto questo.
Questo è il nemico contro cui il giovane Peter Miller si sta scontrando: ancora non lo sa ma Roschmann, dopo un passato in Sudamerica, è tornato in Germania e ricopre oggi un ruolo importante dentro un’industria di elettronica.

Un ruolo che Odessa deve proteggere a tutti i costi, perché legato ad un progetto militare che lega ex gerarchi nazisti all’Egitto di Nasser nella sua lotta contro Israele, il nemico di sempre.
Ancora una volta, saremo spettatori di un pezzo di storia: la storia del sito militare Factory 333 in Egitto e l’operazione Damocle del Mossad, con cui si colpirono diversi scienziati e tecnici tedeschi che erano già impiegati nel progetto missilistico della Germania nazista.

Scopriremo di come tutta la responsabilità dello sterminio degli ebrei (e degli altri soggetti indegni di vivere) si possa ricondurre a pochi ben specifici uffici delle SS, una sorta di Stato nello Stato, a cominciare dall’ufficio amministrativo, che aveva il compito di trarre il maggior beneficio economico dalle loro vittime, sfruttandone i beni, facendoli poi lavorare per le industrie tedesche, infine sfruttandone il corpo.

C’era l’ufficio sicurezza (nei regimi la parola sicurezza assume sempre un significato sinistro), ovvero l’RSHA con a capo Heydrich, dentro cui troviamo gli uffici della Gestapo e delle SD, fautori della soluzione finale, lo sterminio a livello industriale dei milioni di ebrei (e zingari, omosessuali..) presenti nell’Europa occupata da Hitler.

Nemmeno Wiesenthal credeva alla colpa collettiva del popolo tedesco, tutto questo a prescindere da quanti non avevano voluto vedere quello che era il vero volto del nazismo:

.. finché la teoria della colpa collettiva non viene posta in discussione, nessuno si metterà a cercare i singoli assassini, o perlomeno, non con la sufficiente durezza. Per questo, gli assassini delle SS si nascondono ancora oggi dietro la teoria della colpa collettiva.

Nella sua caccia, passaggio dopo passaggio, Miller riuscirà a ricostruire questa storia, quella della sua preda, il capitano delle SS Roschmann, e quella storia della macchina dello sterminio e la storia di Odessa.

Piccole note: il finale del libro è diverso da quello scelto dagli sceneggiatori del film tratto da questo romanzo, con John Voight nei panni del giornalista.

Il vero Roshmann morì nel 1977 in Argentina, isolato dalla comunità tedesca, dopo l’uscita del libro (ancora una volta, se volete saperne di più leggete “Giustizia non vendetta”).

Ancora oggi ci si chiede se Odessa sia esistita o esista davvero: l’unica cosa che è certa è che il germe del nazismo, come del fascismo, non è morto.

La scheda del libro sul sito di Mondadori

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


27 gennaio 2025

La memoria selettiva oggi - riflessioni sulla giornata della memoria


«Raccatta quella vecchia strega e portala al furgone» abbaiò.

E così, pochi minuti prima che arrivassero le altre centi vittime, sollevai la vecchia e l'accompagnai lungo la strada della Collinetta fino al cancello dove era parcheggiato il furgone, imbrattandola del sangue che mi colava dal mento. Quando la feci sedere sul retro del furgone e mi girai per andarmene, ella si aggrappò al mio polso con le dita contratte dall'ansia e con una forza che non avrei mai immaginato possedesse ancora.

Mi tirò in giù verso di lei, rannicchiata sul pavimento del furgone della morte, e con un piccolo fazzoletto di percalle, che doveva essere il ricordo di tempi migliori, tamponò un po’ del sangue che continuava a colare.

Alzò lo sguardo verso di me, la faccia rigata dal mascara, dal belletto, dalle lacrime, dalla sabbia, ma i suoi occhi scuri splendevano come stelle.

«Ebreo, figlio mio,» sussurrò «tu devi vivere. Giurami che vivrai. Giurami che uscirai vivo da questo posto. Devi vivere, per poter riferire a loro, a quelli che stanno fuori nell’altro mondo, che cosa è successo al nostro popolo qui dentro.

Promettimelo, giuralo sul Sfer Torah.»

E così giurai che sarei vissuto, in qualche modo, a qualsiasi costo. Poi mi lasciò andare. M'incamminai con passo incerto lungo la strada che portava al ghetto, e a metà strada svenni..

Poco dopo essere tornato al lavoro, presi due decisioni. La prima fu quella di tenere un diario segreto, tatuandomi di notte parole e date con uno spillo e dell'inchiostro nero sulla pelle dei piedi e delle gambe, così che un giorno sarei stato in grado di trascrivere tutto quello che era successo a Riga  e fornire prove precise contro i responsabili.

La seconda decisione fu quella di diventare un kapò, cioè membro della polizia ebraica.

Fu una decisione dura da prendere, dato che questi uomini scortavano i loro compagni ebrei al lavoro, e spesso ai posti di esecuzione.

Dal diario di Salomon Tauber - Dossier Odessa di Frederick Forsyth Mondadori

Giurami che ricorderai quanto è successo: queste le parole la donna anziana rivolge a Salomon Tauber, un nome di fantasia per rappresentare le migliaia di ebrei passati per il ghetto di Riga. Ricorda cosa è successo al nostro popolo qua dentro.

Dentro i ghetti, nei campi di concentramento e, prima ancora, le persecuzioni che subirono al lavoro, nelle case, nelle strade.

Il thriller di Frederick Forsyth, dove è difficile distinguere il confine tra realtà e invenzione letteraria, si basa su fatti e dati reali: è esistito veramente un Eduard Roshmann, capitano delle SS chiamato il macellaio di Riga. Sono state tremendamente reali le violenze, le umiliazioni, subite dagli ebrei raccolti nel ghetto (non solo dalle SS ma anche dai volenterosi carnefici lettoni).

Come è esistita veramente Odella, l'organizzazione degli ex membri delle SS che, usando l'enorme fortuna che aveva rubato alle loro vittime e che era stata ben custodita nelle banche svizzere (e non solo), riuscì a garantire ai suoi membri di sfuggire alla giustizia, di rifarsi una vita, in sudamerica (come Eichmann o Roshmann) ma anche nella stessa Germania.

Viviamo tempi difficili oggi: un brutto vento di destra sta soffiando nel mondo, si torna a parlare di deportazioni di immigrati, si sente dire da candidati politici che le SS erano solo soldati che ubbidivano agli ordini, accettiamo che trafficanti di esseri umani e torturatori siano trattati coi guanti bianchi e riaccompagnati a casa con tanto di aereo di stato.

Cosa c'entra questo con la giornata della memoria?

Non dimenticare significa anche questo: ricordare come negli anni trenta e quaranta del secolo passato si è accettato che esistessero persone Non degne di vivere, che potevano essere sfruttate fino alla morte. 

Colpevoli di queste violenze non sono tutti i tedeschi, o tutti gli italiani, nemmeno Simon Wiesenthal (che pure appare nel romanzo di Forsyth) credeva nella colpa collettiva.

Ma tanti hanno girato la testa dall'altra parte, preferito non vedere. Non vedere le famiglie ebree che perdevano il lavoro, la possibilità di andare a scuola. Che improvvisamente partivano e sparivano, dalla mattina alla sera.

Il fumo del camino si vedeva salire, nei campi di sterminio e nemmeno troppo lontano da noi: in Italia ne avevamo uno di forno crematorio, a Trieste, alla Risiera di San Sabba.

Dopo la seconda guerra mondiale si era detto mai più: mai più accettare l'idea che a talune persone non fossero garantiti gli stessi diritti solo per il fatto di essere nati, oppure nati dalla parte sbagliata del mondo.

La memoria, se dobbiamo coltivarla, non possiamo accettare che sia selettiva.

Oggi ci si è divisi in tifo, o di qua o di là, pro o contro un governo, quello di Israele, senza saper distinguere, senza saper cogliere le differenze tra le scelte di un governo e i suoi abitanti.

E  mentre ci si attacca ogni giorno, scontrandosi attorno ad una parola, persone muoiono sotto le bombe. I migranti vengono respinti nei lager, messi all'indice e indicati come i nemici del popolo, da mettere in catene e mandare via, lontano.

Come lo vogliamo chiamare questo?

26 gennaio 2025

Anteprima inchieste di Report – la vendita di Visibilia, la sanità abruzzese e il ruolo di INGV nel progetto del ponte

Poco prima di essere rinviata a giudizio la ministra Santanché aveva venduto le sue quote di Visibilia ad un’altra società: chi ci sta dietro?

Un secondo servizio sarà dedicato al piano pandemico che l’Italia non aveva aggiornato, mentendo anche e trovandosi poi impreparata quando arrivò il covid.

L’inchiesta sul presidente della giunta abruzzese

Il presidente della giunta abruzzese, Lorenzo Sospiri (FI), è finito a processo a seguito di una inchiesta che riguardava i suoi rapporti con l’imprenditore Marinelli.

Marinelli, oltre ad avere interessi nella sanità, è stato anche presidente del Pescara, dirigente della nazionale under 21 – spiega a Report il giornalista de Il Centro Pietro Lambertini – “intorno a sé aveva costruito una rete di consenso che, secondo la procura, era stata costruita anche con la corruzione”.
Punto di riferimento nella sanità abruzzese per Marinelli era Tiziana Petrella, dirigente dell’ufficio acquisti della ASL e responsabile di tutte le gare di appalto della provincia: con Marinelli c’era un rapporto personale che ho sempre mantenuto.. Marinelli voleva che Petrella fosse nominata al vertice dell’ARIC, l’agenzia di committenza regionale che gestisce gare milionarie e per favorirne la nomina avrebbe perfino coinvolto il presidente del consiglio regionale.

Ho parlato con Tiziana Petrella in tutto tre volte” è il commento del presidente Sospiri, ma negli atti risultano contatti tra Sospiri e Marinelli che sollecitava la nomina, “ne sottlineava l’importanza per incarichi di maggiore responsabilità” ammette, per poi aggiungere “non credo che si possa dire che io sono mai andato a richiedere questa nomina che comunque non avrei fatto io.. posso aver detto che lei [Petrella] era un’ottima candidata ”.

Ottima candidata che aveva visto solo due o tre volte, ma non perché glielo aveva detto Marinelli.

Sempre dall’Abruzzo arriva la vicenda del finanziamento alla clinica privata dove lavora come chirurgo Mario Quaglieri, assessore al bilancio di FDI: la racconta il consigliere di opposizione Pierpaolo Pietrucci a Report, partendo dall’opportunità di finanziare con fondi pubblici le cliniche private (tra il 2023 e il 2024 sono arrivati circa 20 ml di euro di fondi pubblici) e poi la questione dell’assessore al bilancio, che è stato anche presidente della commissione sanitàin regione Abruzzo “che è anche contrattualizzato con una delle case di cura beneficiarie di questi fondi.. c’è un conflitto di interessi tanto è vero che dopo la regione Abruzzo è stata costretta a fare un parere, se l’assessore Quaglieri potesse rimanere in giunta purché si fosse astenuto dal votare le delibere di giunta che riguardavano la sanità, ma oramai il danno era stato fatto, quindi una sorta di ammissione di colpa.”

Per la delibera sulle case private la Procura ha avviato un’indagine sull’assessore Quaglieri e anche sulla proprietaria della clinica Di Lorenzo, il reato ipotizzato per Quaglieri sarebbe di falso. Ma a seguito dell’indagine è emersa un’altra cosa: hanno disposto il sequestro del telefonino all’assessore Quaglieri e si sono resi conto che non aveva mai restituito la Sim al comune di Trasacco dove era sindaco.
La giornalista di Report ha poi sentito l’assessore per raccogliere la sua versione: “la delibera non la faccio io ma la fa il dipartimento sanitario ..”. Come mai non si è astenuto visto il suo rapporto di collaborazione con la clinica? “Ma non è più sospettoso l’astenersi” ha risposto l’assessore, tirando fuori una curiosa teoria, per cui anche in situazioni da conflitto di interessi è meglio votare in modo palese.
Sulla Sim, che aveva dal 2012 quando era sindaco, poi non è stata più restituita “per distrazione”.

LAB REPORT: SANITÀ ALL’ABRUZZESE di Giulia Presutti

Collaborazione Madi Ferrucci

In Abruzzo, la sanità rappresenta circa l'80% del budget regionale. Negli ultimi anni però, alcuni ospedali e Asl della regione sono stati coinvolti in inchieste giudiziarie. Il pronto soccorso di Pescara è oggetto di un'indagine della Procura per via delle liste d'attesa che vedono i pazienti sostare a lungo nei corridoi prima di essere accolti nei reparti specialistici. Intanto però, la Regione ha assegnato 20 milioni di euro di Budget Alta Specialità alle cliniche private per svolgere prestazioni complesse e combattere la mobilità sanitaria. Fra le cliniche finanziate, anche quella nella quale lavora come chirurgo l'assessore al Bilancio Mario Quaglieri, che per questo è indagato dalla Procura dell'Aquila. Per gli appalti alla Asl di Pescara, è coinvolto in un'indagine anche il presidente del Consiglio Regionale, Lorenzo Sospiri, che aspetta l'inizio del processo per turbativa d'asta e corruzione.

Il riconteggio delle schede a Cosenza

Alla fine l’ha spuntata il candidato di Forza Italia, Andrea Gentile: andando contro le istruzioni del ministero dell’Interno, contro le dichiarazioni dei presidenti di seggio (che Report aveva raccolto  in un servizio andato in onda poche settimane fa), il candidato ha raccolto le testimonianze (obique) di stimati personaggi su presunte anomalie eha ottenuto che si rifacesse il riconteggio delle schede nel seggio di Cosenza. Magicamente delle schede bianche sono diventate schede col suo simbolo e la candidata avversaria del movimento 5 stelle ha perso il posto, Elisa Scutellà.

La Giunta per le elezioni ha deciso, in autonomia, che per quel seggio, in questo specifico caso, valessero delle leggi speciali su come considerare una scheda nulla, a posteriori: si sono alterate le regole del “gioco democratico” – è stato il commento del segretario del M5S Giuseppe Conte. La candidata dei 5 stelle ha allora chiesto alla giunta il riconteggio di tutte le schede perché, se ci sono state irregolarità sulle schede bianche, potrebbero esserci state anche nelle schede ritenute valide, anche perché lo scarto con Gentile è di soli 240 voti. Perché la Giunta non le da questa possibilità di aprire un campione di schede valide?
Il presidente della giunta, Federico Fornario, ha preferito non commentare.

La scheda del servizio: “L’ELETTO” di Giulia Presutti

Collaborazione Madi Ferrucci

Il 17 gennaio la Giunta delle Elezioni della Camera ha ratificato l'elezione di Andrea Gentile: dopo un passaggio in Aula, infatti, il candidato di Forza Italia alle scorse politiche entrerà ufficialmente alla Camera. Perderà il posto Elisa Scutellà del Movimento 5 Stelle, che aveva chiesto alla Giunta la riapertura di un campione di schede valide per completare la lunga istruttoria svolta in seguito al ricorso presentato dal suo avversario. I membri della Giunta hanno votato, negando al Movimento 5 Stelle un ulteriore approfondimento, e accogliendo così in toto il ricorso di Gentile.

Il caso Santanchè e i nuovi proprietari di Visibilia

Chi sta dietro la Wip Finance, la società anonima con sede in Svizzera che ha preso le quote di Visibilia vendute dal ministro del turismo Daniela Santanchè?

Chi ha ragione nello scontro tra la ministra e il figlio del fondatore di Sif, Mirko Ruffino sulle pressioni del presidente del Senato che si sarebbe esposto in prima persona per Visibilia?

Report ha chiesto in giro ad analisti ed operatori finanziari, le informazioni su questa società elvetica, ma Wip finance rimane un soggetto non identificato. Nei mesi precedenti l’operazione su Visibilia aveva fatto la sua prima operazione in Italia, l’acquisto di una squadra di calcio abruzzese, il Chieti, che milita in serie Giuseppe Gianni di Fabio è il nuovo presidente che ora sta ristrutturando la società: ex assessore a Chieti è stato nominato da Wip Finance che, a cauisa delle difficoltà economiche è riuscita ad iscriversi al campionato in croso solo all’ultiomo momento. Ma ora i tifosi iniziano a sognare in grande, puntando subito alla Lega Pro, l’arrivo di questa società è stato accolto con entusiamo non solo in città ma anche dall’ex allenatore della nazionale Mancini.

Dietro Wip Finance c’è una SGR, una finanziaria svizzera ma ad una specifica domanda, Di Fabio non ha saputo rispondere su chi siano i veri proprietari, “perché queste cose non sono pubbliche”.


Chi c’è dietro Wip Finance? Giorgio Mottola lo ha chiesto ad Altair D’Arcangelo – Business Development di Wip: “dietro ci sono degli investitori, una compagine abbastanza importante dentro Wip Finance.. non posso fare nomi di investitori, ma so per certo che ci sono molti microinvestitori.. io sono colui che organizza il business su dei mandati particolari”.
Una sorta di procacciatore d’affari, come quello chiuso lo scorso dicembre con l’acquisizione di Athena Pubblicità, la concessionaria pubblicitaria di Daniela Santanché che possiede il 90% di Visibilia. La società anonima svizzera diventerebbe così proprietaria del pacchetto di riviste della ministra del turismo come Novella 2000, Ciak, e PC Professionale.
Il business developer non ha voluto dare la cifra dell’acquisto: di questa storia però non c’è traccia né online né sui giornali. Ma sappiamo però che nel 2019 D’Arcangelo è stato sottoposto agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere, frode, riciclaggio e autoriciclaggio: secondo l’accusa D’Arcangelo gestiva 98 società operative solo sulla carta e intestate a prestanomi con i quali avrebbe messo in piedi operazioni immobiliari fittizie allo scopo di creare falsi crediti Iva.

Due anni fa gli arresti domiciliari gli sono stati revocati ma il Tribunale di Milano gli ha sequestrato quasi 40 ml di euro frutto della frode di cui sarebbe stato la mente.
D’Arcangelo non ha voluto parlare di questa vicenda nell’intervista, “sono ancora soggetto di indagine.. le accuse sono tutte concatenate ma sono sicuro che cadranno tutte.. lei ne sa più di me [rivolto a Mottola] di queste cose se ne occupano i miei legali, sono sereno.”
La ministra Santanché era a conoscenza di questa vicenda? “Non sono temi di cui si parla ..”, come a dire che queste, per la transazione fatta con la ministra, sono questioni irrilevanti.
Ma irrilevanti non lo sono, siccome di mezzo ci sono gli azionisti e una ministra della Repubblica.

C’è poi un’altra vicenda lontana nel passato che Report ha riportato alla luce: nel 1997 era sttato eletto consigliere comunale a Chieti con Forza Italia, poi alle elezioni successive rieletto con la Democrazia Cristiana. La carriera si interrompe nel 2006 quando i carabinieri in un controllo lo trovano in possesso di cocaina per 100mila euro.

All’epoca ero purtroppo vittima di tossicodipendenza - ha ammesso D’Arcangelo – fui felice perché poi smisi di essere assuntore di cocaina.

“E’ l’incontro più inquietante che ho avuto in tutta la mia vita” è la testimonianza raccolta da Mottola del cosmetista Diego Della Palma relativa all’incontro avuto con i vertici di Virgo Cosmetics, l’avvocato, l’amministratore delegato, Altair D’Arcangelo (che formalmente non ha nessuna carica in Virgo, come ha poi verificato Report). Virgo ha acquistato la gestione di Nouba, un marchio importante nella cosmetica che si trovava in difficoltà finanziarie.
“Io ho capito subito che dovevo tutelarmi e ho detto, signori io prima di qualsiasi proposta che mi farete, sappiate che io voglio, visto che state acquisendo Nouba, voglio i miei soldi. Il signor D’Arcangelo mi ha detto che non ci sarebbe stato problema, nel giro di pochi giorni le assicuriamo che avrà i soldi. Poi i soldi sono spariti tutti.. con mia grande gioia.”
Virgo prometteva di rilanciare Nouba ma poi ha veramente investito dei soldi in questo marchio? “No, nel modo più assoluto tanto è vero che va all’asta.”

Il servizio di Giorgio Mottola torna poi ad occuparsi del finanziamento ottenuto da Visibilia dalla Negma, la misteriosa società di Dubai: negli ultimi cinque anni altre venti società hanno chiesto prestiti alla stessa che, come racconta Giovanni Natali – presidente dell’associazione delle piccole e medie imprese quotate – “avevano tutte delle forti tensioni di problematiche finanziarie, decreti ingiuntivi, debiti non pagati, banche che richiedevano il rientro dei fidi”.
Dunque Negma sarebbe una sorta di parassita che attacca il corpo di società infette: si, spiega Natali, “l’ho definito un virus che distruggeva il valore delle società e chi ci rimetteva soldi era il piccolo investitore”.
Tra le aziende che si sono rivolte a Negma anche eccellenze dell’industria italiana come Illa, azienda emiliana con sede a Parma che dalla metà degli anni ‘70 produce pentole tutte made in Italy, apprezzate per il rapporto costo qualità anche dalle multinazionali straniere.

Era il fornitore di Ikea fino al 2018 – racconta il delegato Fiom Parrucchella a Report poi Ikea nel 2018 ha chiuso l’appalto che aveva con Illa che si è ritrovata con una drastica riduzione del fatturato. Ikea rappresentava circa l’80% del fatturato così quando la multinazionale svedese ha preferito comprare le pentole in Turchia ad un costo inferiore l’azienda è entrata in una crisi profonda. Negma si è palesata nel mondo Illa nel gennaio 2022 – continua il delegato Fiom – pensando che fosse il modo più veloce per recuperare risorse finanziarie fresche e poter continuare la propria attività, rispetto al rivolgersi alle banche.
Negma offriva soldi apparentemente facili: se uno si rivolge al mercato finanziario normale ha bisogno di garanzie, mentre Negma offrì subito ad Illa 3,2 ml di euro che rappresentavano una forte boccata d’ossigeno per l’azienda coi conti in rosso.
Il problema è che poi Negma non rimase come investitore ma rivende il credito al mercato e così il prezzo del titolo scese: i conti non migliorarono anche a causa di pessime scelte industriali, nel 2022 le perdite raddoppiarono salendo a 2,8 ml .

Soprattutto, mano a mano che la finanziaria di Dubai convertiva le obbligazioni in azioni di Illa, il titolo della società emiliana iniziò a crollare drammaticamente.

Da 31 euro nel 2021, ad un millesimo di euro nel 2023: come mai? Lo ha raccontato il presidente di Illa Roberto Maviglia, “Negma non era un investitore che manteneva il titolo a lungo termine ma svolge una azione di cabotaggio, sottoscrive il prestito obbligazionario, converte in azioni e poi vende le azioni sul mercato e questo distrugge il valore di borsa dell’azienda”

La scheda del servizio: IL SANTO PATRON di Giorgio Mottola

Collaborazione Greta Orsi

Alla vigilia dello scorso Natale, Daniela Santanchè ha annunciato la vendita di Visibilia a una misteriosa società anonima svizzera, la Wip Finance. Report ha scoperto chi si nasconderebbe dietro e la sua identità getta pesanti ombre sull’intera operazione. Sullo sfondo ci sarebbe infatti la storia di una frode da 40 milioni di euro, 98 società fantasma e soldi che da anni arriverebbero dalla Svizzera in Italia per fondare aziende che poi restano inattive. Report ha ricostruito l’intera rete finanziaria che avrebbe portato alla nascita di Wip Finance e all’operazione per l’acquisizione di Visibilia, intervistando tutti i protagonisti. L’altro mistero legato alle società di Daniela Santanchè è la società di Dubai, Negma, che avrebbe distrutto il valore azionario di Visibilia e di un’altra ventina di società italiane. A partire da Illa, eccellenza made in Italy delle pentole, finita due anni fa nelle mani della finanziaria emiratina e di una società che sarebbe riconducibile a Daniela Santanchè.

Il ponte sullo Stretto e il ruolo dell’INGV

Dopoil servizio di domenica scorsa sul Ponte sullo Stretto, Webuild, la società che costruirà l’opera, ha annunciato azioni legali contro Report e Ingv. Come aveva raccontato il servizio, Inngv non è stata interpellata formalmente dalla società per approvare il progetto, ad onor del vero nemmeno il progetto per il ponte non prevedeva nessun via libera ufficiale da Ingv.

La scheda del servizio: IL PONTE DELLE OMBRE di Danilo Procaccianti

Collaborazione Enrica Riera

Report torna a occuparsi del progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina, con un approfondimento sul presunto ruolo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nelle verifiche in tema di rischio sismico dell’area su cui dovrebbero sorgere i piloni portanti dell’infrastruttura.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

23 gennaio 2025

Finché c'è processo c’è speranza, di Fulvio Ervas


 

13 AGOSTO, GIOVEDÌ

L’osteria di Secondo, nel centro di Treviso, è una meraviglia: belle sedie impagliate, bancone di marmo e atmosfera familiare. Sulle pareti bianche, neri disegni di viti potate.

Spinto dall'ottima serie uscita in Rai "Stucky", mi sono voluto leggere questo libro "Finché c'è processo c'è speranza", uno dei gialli della serie scritta da Fulvio Ervas con protagonista questo ispettore di polizia così particolare, molto lontano dal cliché del poliziotto tutto azione e pistola. Anzi, Stucky, che deve il suo nome alle origini iraniane, è uno di quei poliziotti che la pistola non se la porta proprio dietro.

Anche da questo romanzo era stato tratto un film, sempre con Giuseppe Battiston protagonista: come per altri personaggi di carta, una volta che diventano film o serie televisive, è difficile non vederli tramite gli attorni che li interpretano (è successo per Montalbano, per Rocco Schiavone..).

Una premessa per quelli come me che hanno fatto questo passaggio: nella serie televisiva le indagini di questo ispettore dall'aspetto tranquillo (e che per questo viene spesso sottovalutato dalle persone con cui si imbatte) sono state sceneggiate usando il modello "Tenente Colombo" ovvero si vede fin dall'inizio chi è l'assassino, compito dell'investigatore è scoprire dove ha fallito nel suo piano.

I libri di Fulvio Ervas sono invece dei veri gialli con i morti, le indagini e gli investigatori che si muovono tra la città e le campagne attorno Treviso, la famosa marca trevigiana con le sue dolci colline tutte coltivate a ranghi serrati con le viti per produrre il famoso prosecco.

In ogni romanzo Fulvio Ervas ha cercato di mettere in luce i tanti problemi che affliggono la sua regione: dall'inquinamento di Marghera a quello del passato industriale della regione, il volto oscuro (e non sempre legale) dell'imprenditorialità veneta, che non ama la bellezza o che ha interesse a valorizzare il territorio da cui trae la sua ricchezza.

Anche in questa storia, arrivati alla fine, si scoprirà un altro pezzetto di questa regione che una volta era chiamata "il miracolo veneto" e che si considera quasi un pezzo a parte dello stivale.

Si parte da un morto, un conte molto eccentrico, che viene ritrovato morto nel camposanto di Cison di Valmarino: morto suicida con indosso un pigiama vicino alla tomba di famiglia dopo essersi portato appresso un bottiglione di champagne che aveva stappato con una sciabolata.

Forse un po' troppo eccentrico anche per una persona come il conte Ancillotto, una persona che era stata in sudamerica e poi era tornata in Italia a fare il viticultore: passione che viveva quasi in modo religioso, niente additivi o pesticidi nelle sue vigne, che dovevano produrre la quantità giusta di uva per arrivare ad un vino che fosse vera eccellenza del territorio.

Suicidio, dunque? Non secondo l'oste "Secondo" dove Stucky va a mangiare:

«Vede, ispettore, il conte Ancillotto non si sarebbe mai ucciso a poche settimane dalla vendemmia!..»

Chi potrebbe aver un personaggio noto come il conte? Un uomo benvoluto da tutti, almeno a giudicare dalla folla che si presenta al funerale, nessuna moglie o figli, solo una nipote in Sudamerica e tante compagnie femminili qui in zona.

Due nuovi eventi complicano le delicate indagini di Stucky che, diversamente dal suo superiore, non crede alla versione del suicidio.

La morte del direttore del cementificio, l'ingegnere Speggiorin, ucciso davanti casa mentre rientrava con una bicicletta e un improbabile ombrello da donna.

E poi l'arrivo in paese di un ciclone, la nipote del conte, Celinda Salvatierra, decisa a sradicare le viti per impiantare piante di caffè.

Un uomo come il conte, uno che amava la vita, il vino e le donne, avrebbe potuto suicidarsi? E che legame ci potrebbe essere col secondo morto?

Stucky si muove tra le persone che conoscevano il conte: il prete del paese, la sua amante, l'oste Secondo, la fedele governante.

E poi la vedova dell'ingegnere, la congregazione del prosecco, il prete del paese..

La risposta arriverà dalle parole del matto del paese, Pitusso, uno che passa il suo tempo a togliere la ruggine dalle tombe dei morti: il medico che aveva infettato tutto il paese, il vecchio maestri, l'oste amico del prete:

E mi grato la tomba dell’oste Berto, gran mescitore del paese. Tutti arrivavano da Berto con una sete vigliacca, che se non trovi un bar aperto potresti ammazzare un prete e siccome il prete era il miglior amico di Berto, l’osteria apriva alle prime luci dell’alba.

E poi la tomba della zitella del paese, quella che aveva detto no a tutti i maschi del paese:

Mi grato la tomba incrostatissima di Biz Mariassunta, professione emerita zitella, alta di sponda e bassa di profilo. La Mariassunta, che anche il sottoscritto tentò d’impalmare,

Forse non sono farneticazioni quelle del matto, forse sul paese e sulle persone si è veramente formato uno strato ruggine, non fuori ma cresciuta dentro le persone, con tempo, un male causato dall'avidità delle persone.

Finché c'è processo c'è speranza - come a dire che finché c'è rispetto per la natura, per i suoi cicli, finché non si mette davanti a tutto il solito profitto e il facile arricchimento, anche noi avremo una speranza.

Stucky ebbe, rapida e vivida, la sensazione che dentro quella miriade di bottiglie, lasciate a riposare come i soldati di una guerra culturale, vi fossero non semplici alcoli ma gli spiriti di mille terre, mille racconti, tutto il passato che persisteva oltre il proprio limite.

La scheda del libro sul sito di Marcos y Marcos

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19 gennaio 2025

Anteprima inchieste di Report – la lunga vita del ponte sullo Stretto, le Marche, i signori dello sport e il piano Mattei in Congo

La lunga vita del ponte sullo Stretto, la grande opera non ancora realizzata che sta drenando tutte le risorse del sud. Verrà autorizzata la sua costruzione? Tra pochi giorni verrà presentato il progetto definitivo aggiornato (e non quello di Ciucci del 2005 da cui è partito Salvini). Quanto è indipendente la commissione di valutazione ambientale?

Poi si torna a parlare del piano Mattei, l’enorme spot con cui il governo Salvini pensa di poter aiutare i paesi africani per limitare i flussi migratori.

Reportlab: il turismo nelle Marche

Le Marche sono la prima e unica regione al plurale d’Italia – così ci dice il comico Giorgio Montanini, marchigiano convinto.
“Le Marche sono casa mia, e lo rivendico perché sono marchigiano e fermano orgoglioso. Le Marche sono una striscia di terra in cui ci stanno, pur in una piccola striscia di terra, mille realtà diverse, come in tutta Italia. Però le Marche hanno proprio le differenze dei dialetti così marcati e distanti: Valentino Rossi è marchigiano eppure nessuno direbbe che ha il dialetto marchigiano, perché se vai a Pesaro sei vicino all’Emilia Romagna, se vai a San Benedetto e Ascoli sei già più vicino all’abruzzese. Ancona io la chiamo la terra de mezzo de frodo, perché ha un dialetto tutto suo, particolare, mentre Macerata e Fermo hanno quella connotazione marchigiana che la gente riconosce in giro per l’Italia. In certi momenti storici questa zona qua era quella con più Ferrari pro capite d’Italia, quindi c’era un benessere diffuso, c’era un altro modo di vivere l’imprenditoria con magari anche una certa attenzione al versamento delle tasse diversa da quella che c’è adesso. Adesso lo Stato è un po’ più attento, adesso batte cassa con più attenzione, prima magari no e quindi i soldi giravano molto di più. A Fermo c’erano 20 night, quando ci sono i night in un posto, è Las Vegas oppure ci stanno i soldi. Qua c’erano i soldi, i night oggi hanno chiuso tutti..”



Nel servizio si parlerà di Macerata che è la città di origine di Dante Ferretti, lo scenografo di Hollywood ma anche dei film di Fellini e Pasolini, che ha portato nel cinema la bellezza delle Marche. A Report racconta di come nella sua città abbia lavorato l’ultima volta solo 20 anni fa, quando ha rifatto la Carmen, “poi non mi hanno più chiamato”.

La scheda del servizio LAB REPORT: LET’S MARCHE!

di Lucina Paternesi

Collaborazione Cristiana Mastronicola

Il rilancio del turismo nelle Marche è stato uno dei cavalli di battaglia del Governatore Acquaroli che ha istituito un'agenzia apposita proprio per far conoscere il brand Marche fuori regione e all'estero. Si chiama Atim e in appena due anni per il suo funzionamento la Regione ha stanziato circa 12 milioni di euro. Tra uffici deserti e affidi diretti senza bandi di gara, la Corte dei conti ha certificato che Atim è un doppione inutile e costoso dell'assessorato al Turismo di cui lo stesso Acquaroli ha tenuto la delega.

Il ponte sullo Stretto (a tutti i costi)

Ci sono diversi motivi per pensare che ci siano problemi di fattibilità per la realizzazione del Ponte sullo Stretto (il più grande ponte senza campate al mondo, costruito su una zona sismica). A cominciare proprio dal fatto che verrà costruito in una zona ad alto rischio di terremoti: l’ultimo, un terremoto maremoto, avvenuto nel 1908 a Messina, che provocò 80 mila morti, il quinto terremoto più distruttivo nella storia dell’umanità.

Ciucci, di fronte a questo dato di fatto, ha usato la carta dell’ironia per non rispondere al giornalista di Report, Danilo Procaccianti “se vuole fare un esame di questo genere, venga nel nostro ufficio e le facciamo rispondere dai ns esperti.. se lei è un esperto.”

Forse Danilo non è un esperto in sismologia, ma nemmeno il ministro lo è. Ma all’istituto nazionale di Vulcanologia gli esperti ci sono: a Report hanno raccontato che nell’intorno di Reggio Calabria hanno registrato oltre seimila terremoti, “sul fatto che il ponte insista su un’area geologicamente viva e che sia si una struttura che possa essere area epicentrale non ci sono dubbi.”

Sta di fatto che l’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia non è stato coinvolto formalmente per dare un parere sulla pericolosità sismica insita nel ponte.

Dovesse arrivare un terremoto di magnitudo 7,1 l’unica cosa che resterebbe in piede sarebbe il ponte ci dicono i sostenitori del progetto del ponte: è vera questa affermazione?

Danilo Procaccianti lo ha chiesto a Carlo Doglioni, presidente INGV: “è famoso il ponte di Takoma che è crollato perché è andato in risonanza per la frequenza dell’oscillazione legata al vento. In questo caso le frequenze sono così basse, di diverse decine di secondi, che il terremoto non farebbe crollare il ponte. Ma il terremoto potrebbe danneggiare fortemente le fondazioni delle Torri e degli ancoraggi, in questo senso il ponte rischierebbe anche di crollare”.
Doglioni ha più volte chiesto che venissero fatti maggiori studi per verificare la fattibilità del ponte, soprattutto ha chiesto che venissero utilizzati coefficienti di accelerazione più alti per verificare il rischio sismico.
“Il ponte è costruito ipotizzando 0,58 [come coefficiente] ma noi sappiamo che nelle zone epicentrali queste accelerazioni per terremoti di magnitudo anche inferiore a 7, sono state spesso anche superiori ad 1G. Il terremoto della Turchia, del Giappone nel gennaio di quest’anno [2024], ci sono state accelerazioni che hanno superato anche i 2G quindi accelerazioni anche più grandi di quelle che vengono ipotizzate. Deve essere realizzata una struttura che resista qualunque cosa succeda.. ”
Non sarebbe stato meglio farlo prima questo approfondimento?
“Noi come INGV non siamo stati coinvolti formalmente per dare un parere sulla pericolosità sismica..”.
A queste osservazioni, l’AD della società per il ponte Ciucci risponde che non ha voglia di fare polemiche con nessuno, noi con INGV collaboriamo.. Un modo per non rispondere alla domanda: due tecnici dell’istituto hanno collaborato con la società ponte sullo stretto a titolo personale, non c’è stata nessuna ufficialità da parte dell’istituto. Dunque non è stata l’INGV come istituto a dare il via libera e ha dato pareri che siano stati utilizzati formalmente nella progettazione.
A onor del vero la procedura di approvazione non prevedeva alcun via libera ufficiale da parte dell’INGV.



Un altro problema potenziale del ponte è la sua altezza: il ministro Salvini in conferenza stampa ha assicurato che l’altezza sarà almeno di 65 metri, a massima capienza cioè con auto e treni (perché su quel ponte passeranno anche i treni). Le navi potranno passarci sotto, “perché è stato studiato dagli ingegneri..”

Ma in realtà non è così: nel 2023 hanno attraversato lo stretto di Messina 5 navi da crociera e 15 portacontainer con altezza superiore a 65 metri, col ponte non avrebbero potuto farlo. Sono dati che arrivano direttamente dal ministero dei Trasporti di Salvini.

Questo sembra preoccupare solo le associazioni locali, come il WWF contrarie a questa opera: questo ponte dovrebbe comportare la variazione delle carte nautiche per il superamento dello Stretto – racconta l’avvocata Aurora Notarianni “questo significherebbe strozzare il porto di Gioia Tauro, uno dei porti di maggiore rilievo nel Mediterraneo e tutto il traffico crocieristico che si sta incrementando a Messina.”
Ma la società stretto di Messina risponde che il ponte normalmente sta sopra i 70 metri: “è come nascondere il sole con un dito, non è così”.
Che il progetto sia tutt’altro che definitivo lo dimostrano anche le incertezze sui cavi, due per lato, che dovrebbero reggere il ponte, che rendono complicata la distribuzione dei carichi in un ponte così lungo (2988 metri).
È il primo progetto al mondo di un ponte a campata unica così lungo – in effetti: l’ex direttore del dipartimento di ingegneria industriale e meccanica di Catania, Antonino Risitano racconta a Report che con quattro corde (per tenere il carico, due per ogni lato) “quando mi sposto da un lato non so come si ripartisce il carico, di quanto una viene caricata più dell’altra.”
I dubbi sui cavi hanno una storia lunga tanto che anche i progettisti originali per verificarne la tenuta raccomandavano prove di fatica.
“Ci sono due pagine nel progetto definitivo in cui sono indicate quali prove devono essere fatte e soprattutto l’attrezzatura con cui devono essere eseguite le prove ma queste prove non sono mai state fatte ” continua il professor Risitano.
E se poi i cavi non reggono? Rifacciamo tutto da capo?
Così per la difficoltà nel fare queste prove i progettisti nel documento di progetto hanno proposto di usare acciai di più elevata resistenza per i cavi: “significa cambiare la parte strutturale più importante del ponte cioè fare un progetto nuovo, di sana pianta”, continua Risitano che poi conclude in modo netto “è tecnicamente sbagliato che si possa approvare un progetto definitivo senza le prove sui cavi, un cavo che cede, il ponte cede.”

Ma il ministro Salvini crede fortemente a questo progetto, secondo il ministro gli italiani aspettano questa opera da 50 anni (oltre ai treni in ritardo, l’acqua nelle case in molte zone del sud..), e con questo governo si passerà dalla parole ai fatti.

Così il primo atto da ministro è stato riesumare la società stretto di Messina spa, che il tecnico Mario Monti aveva deciso di liquidare nel 2013, una società che per non fare nulla ci è già costata 342ml di euro.


Come AD di questa società Salvini ha chiamato lo stesso uomo scelto a suo tempo da Silvio Berlusconi, Pietro Ciucci, colui che per primo parlò di prima pietra del ponte nel 2005. Venti anni fa. Ciucci è stato anche presidente e AD di Anas e durante la sua gestione sono crollati tre viadotti: uno è rimasto nella storia, il rilevato stradale di Scorciavacche, sulla Palermo Agrigento. Inaugurato senza collaudo poco prima del Natale 2014, crollato appena sei giorni dopo.

C’è stato un errore di progettazione e in fase di realizzazione dell’opera ma quel viadotto e quel rilevato era una soluzione tecnica adeguata al problema da superare ..” spiega oggi a Report lo stesso Ciucci. Ma la procura di Palermo ha ipotizzato dei reati e nel mese scorso ha chiesto per Ciucci una condanna a 4 anni di reclusione, una tegola per colui che deve guidare l’operazione ponte.
Ciucci su questo punto risponde che il ponte non è crollato, è crollato solo un “modesto rilevato stradale” che è ceduto quando la strada era chiusa e quindi senza nessun rischio per nessuno.

Chi sono i membri della commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale del ponte?

C’è una consigliera comunale di FDI esperta in interior design (con un dottorato di ricerca in ingegneria ambientale), Margherita Scoccia. Un altro commissario è il vicesindaco di Pisa, sempre di FDI, Raffaele Latrofa, un altro rappresentante politico dentro una commissione che dovrebbe essere terza per poter valutare correttamente un progetto voluto dalla politica.

La scheda del servizio: IL PONTE A TUTTI I COSTI

di Danilo Procaccianti

Collaborazione Enrica Riera

Il Ponte sullo Stretto, il pallino del ministro Matteo Salvini. Nei prossimi giorni dovrebbe esserci l'approvazione da parte del Cipess del progetto definitivo aggiornato, ma siamo sicuri che la premier Giorgia Meloni voglia prendersi la responsabilità di approvare un progetto sul quale molti tecnici indipendenti hanno posto grossi dubbi di fattibilità? L'ultimo in ordine cronologico è stato il presidente dell'INGV (Istituto nazionale Geofisica e Vulcanologia) Carlo Doglioni, massima autorità in materia sismica in Italia. Altri tecnici meno critici sono stati nominati nella commissione Via (valutazione di impatto ambientale) che ha dato il via libera al progetto. Ma sulla commissione pesa una certa vicinanza ai partiti di maggioranza e c'è perfino chi ha delle condanne proprio per reati ambientali.

Aiutiamoli a casa loro? – il piano Mattei

Il piano Mattei prevede la realizzazione di diversi progetti nei paesi africani, tra cui il Congo-Brazaville, anche in collaborazione con Eni, per diversi miliardi di ml di euro.
Come sono spesi questi soldi? Che livello di trasparenza c’è in questi progetti e nei rapporti con questi paesi, dalla Somalia al Kenia, dall’Egitto al Congo, spesso governati da regimi autoritari.

Paesi con cui Eni e altre major sono chiamati a trattare: “Più il paese è ricco più la corruzione è diffusa ” racconta a Report Massimo Alberizzi direttore di Africa Express “il sociologo svizzero Ziegler ha descritto il Congo come un mendicante seduto su una montagna d’oro, poche famiglie sono ricchissime e gestiscono il petrolio, le concessioni.. Abbiamo avuto dei casi di corruzione molto pesanti che sono ancora in qualche modo da chiarire perfettamente”.
Ma il Congo rimane un partner importante per l’Italia e non a caso è stato inserito tra i paesi pilota nel piano Mattei, il progetto da 5,5 miliardi di euro voluto dalla presidente Meloni che il 25 novembre scorso ha ricevuto a Palazzo Chigi il presidente Denise Sassun Nguesso.

Laura Mazza è rappresentante delle relazioni istituzionali della repubblica del Congo in Italia: “ha chiesto di dedicarsi alla gestione dello sviluppo sostenibile legata sia all’energia che all’acqua ..”
Il progetto in Congo prevede la realizzazione di una rete idrica per assicurare acqua potabile agli abitanti della capitale Brazzaville, tra i suoi sostenitori più convinti c’è anche l’ambasciatore del Congo in Italia, Okemba.

A Report l’ambasciatore questo progetto consentirà la trasformazione dell’economia del paese, oggi legata agli idrocarburi: “il vantaggio del piano Mattei è che non ci viene imposto dall’esterno, è un piano che stiamo costruendo insieme, attualmente il Congo ha avviato un programma di sviluppo dell’agricoltura e di tutela dell’ecosistema forestale, con progetti che permetteranno alla popolazione locale di beneficiare dei nostri rapporti con l’Eni, ma anche col governo italiano.”

Eni è presente in Congo dal 1968 per i pozzi offshore di petrolio è gas naturale, una collaborazione di lungo corso – racconta il servizio – che si rinnova nel nome della soddisfazione reciproca.

Lo racconta l’ambasciatore Henri Okemba “con Eni il Congo è cresciuto moltissimo e con l’estrazione del gas Eni ha dato al Congo un margine di sviluppo ancora maggiore. Proprio assieme ad Eni guardiamo anche alla formazione, all’agricoltura, alle energie rinnovabili, tutti questi progetti vengono portati avanti in modo concreto e trasparente.”

A proposito di trasparenza, a Point-Noire capitale economica della Repubblica del Congo i cronisti de l’Espresso nell’ambito di una inchiesta internazionale coordinata dal consorzio ICIJ, scoprono la casella postale 4801, dove hanno sede due società: la Petroserve che risulta essere una fornitrice di Eni e la Elengui, una società offshore intestata a Marie Madeleine Ingoba, moglie dell’AD di Eni Descalzi.

Lo racconta Paolo Biondani a Report: la signora ha spiegato che questa società è stata aperta su suggerimento del suo commercialista per fare un investimento immobiliare in Congo poi non finalizzato.
Una società inattiva che ha la stessa sede di Petroserve, un gruppo di aziende controllate da holding in Lussemburgo e Olanda che negli anni si è arricchito con Eni, sotto la guida dell’imprenditore inglese Haly.

Di Haly ha parlato a Report un ex manager di Eni che per l’azienda ha gestito le trattative più delicate in Africa: “Haly era legatissimo a tutti i manager di Eni in Congo ed era lui il volto operativo di Petroserve”.

In Lussemburgo le autorità hanno messo gli occhi sulla società anonima Cardon, l’azienda che a caduta, controlla le aziende che si sono arricchite con Eni a cominciare dalla Petroserve: scoprono che fino all’8 aprile 2014 tra i soci figurava, oltre ad Haly, proprio la signora Ingoba.
“LA Petroserve ha avuto solo in Congo contratti da Eni per 104 ml di dollari” spiega a Report Antonio Tricarico di Re Common “per fornitura di navi, per spostare lo staff sulle piattaforme, ma in tutti questi paese ha avuto contratti, secondo la Guardia di Finanza, fino a 305 ml di dollari.”

La moglie di Descalzi esce poi dalla società pochi giorni prima che Descalzi venga nominato amministratore, nel 2014.

La scheda del servizio: TESORO HO PRESO L’AEREO

di Daniele Autieri

Collaborazione Andrea Tornago

Quali sono stati e quali sono gli interessi dell’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, in Congo e di sua moglie Marie Madeleine Ingoba?

Mentre Italia e Congo-Brazzaville lavorano alla lista di interventi da oltre 320 milioni di euro previsti dal Piano Mattei nel Paese, Report è in grado di rivelare una serie di documenti inediti, interni alla più grande delle aziende controllate dallo Stato italiano che proprio in Congo è attiva da anni nel settore degli idrocarburi.

Documenti mai emersi prima, che aggiungono importanti verità alle inchieste giudiziarie della Procura di Milano aperte sulle attività di Eni in Congo e sulle assegnazioni dei diritti di perforazione.

I signori dello sport

Chi sono i signori dello sport nella politica italiana e perché lo sport è tanto importante per la politica italiana?

Report si occupa di questo nel servizio di Carlo Tecce e Lorenzo Vendemiale: sono andati ad intervistare il ministro dello sport Abodi chiedendogli dell’operazione portata avanti dal capogruppo di FI Paolo Barelli, la rimozione del limite dei tre mandati che gli interessava anche come presidente della federazione nuoto.

Il ministro ha risposto di aver preso atto della decisione del Parlamento anche se non è esattamente quello che aveva immaginato.

Ovvero un mondo con tante porte girevoli o, meglio ancora, senza porte tra sport e politica con una commistione di ruoli: ma Barelli è stato capace di svolgere i due ruoli sapendo distinguere le due funzioni – come sostiene il ministro? “Fino ad adesso si nella misura in cui non ho avuto nessun tipo di segnale che lo riguarda”.
Ma Report, che è diffidente di natura, qualche segnale di non separazione perfetta dei ruoli, l’ha notato: grazie al suo emendamento Barelli ha potuto farsi rieleggere al terzo mandato con presidente federale con un plebiscito.

C’è consenso perché si è registrata una crescita del nostro sistema in maniera chiara” racconta a Report lo stesso Barelli “dopo di che le norme possono permettere ad un presidente di ricandidarsi, il sostegno dei presidenti delle società c’è sempre stato e per cui sono qua..”
Barelli ha attraversato 7 mandati da presidente federale e cinque legislature in Parlamento galleggiando sempre, anche nelle tempeste giudiziarie. Tre anni di squalifica a livello internazionale di cui uno scontato e due annullati: è finito di fronte al comitato etico – spiega Marco Birri dirigente della Lega Europea nuoto tra il 2025 2023 “perché era contemporaneamente presidente della federazione europea e presidente della federazione italiana firmando un documento nel quale tutto il governo della federazione europea non era assolutamente informato.” Questo il motivo per cui a livello internazionale Barelli ha perso la sua credibilità.
C’è poi un’altra vicenda controversa: il pagamento per la ristrutturazione delle piscine per il foro italico. Nel 2013 la Federnuoto saldò parte di un debito col Coni detraendo le fatture di quei lavori che però erano stati già oggetto di un contributo pubblico, insomma Barelli si fece scontare delle spese che aveva sostenuto lo Stato. Per quella vicenda è stato prosciolto dalla giustizia sportiva e penale ma sanzionato da quella contabile. Una sentenza della Corte dei Conti lo ha condannato a restituire 490 mila euro: il danno erariale è una colpa grave per un uomo delle istituzioni ma anche per questa vicenda la sua carriera non ha avuto problemi, a pagare al suo posto è stata la federnuoto. Tutto è perdonato: Barelli è tornato rafforzato sia nello sport che nella politica, come racconta il giornalista de Il Domani Vittorio Malagutti “gode di un potere enorme nel partito, adesso è capogruppo alla Camera, è uno dei parlamentari più legati al ministro Tajani ”

La scheda del servizio: BARELLI & BINAGHI. I MONARCHI DELLO SPORT ITALIANO

di Carlo Tecce e Lorenzo Vendemiale

Da un quarto di secolo Paolo Barelli è il capo indiscusso della Federazione italiana nuoto. Il suo potere nello sport, però, deriva anche dalla sua carriera politica: parlamentare da cinque legislature, è capogruppo di Forza Italia alla Camera e braccio destro del ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani. Proprio il doppio ruolo gli ha permesso di superare indenni diversi ostacoli. Con documenti e testimonianze esclusive, Report racconta i segreti di Barelli, i suoi conflitti di interessi e ricostruisce gli affari degli ultimi anni che arrivano fino al suo partito. Un altro mister B. dello sport italiano è Angelo Binaghi, presidente della Federtennis che, fra un anno, come Barelli, festeggerà il suo quarto di secolo al comando.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

17 gennaio 2025

L’ombra sul colosso, di Marco Badini

 

La prima indagine del commissario Villata

BRESCIA LA FORTE. BRESCIA LEONESSA D’ITALIA.

Queste parole, scolpite in vigorosi caratteri maiuscoli nella bella pietra rossa di Tolmezzo, campeggiavano sul fronte dell’arengario, perentorie come un’affermazione di Mussolini in persona. Era una notte da lupi, fredda e ventosa, il 16 ottobre del 1932.

In una fredda notte di ottobre, il cadavere di una donna viene scoperto nella piazza dell’Arengario a Brescia: i primi ad accorrere sul luogo sono però dei militi della milizia fascista – siamo nell’autunno del 1932, nei pieni anni ruggenti dell’era fascista – che in un eccesso di solerzia fanno rimuovere il corpo della ragazza per evitare che si radunasse una folla attorno.

Andando a rovinare la scena del crimine e una prima analisi del delitto al commissario Villata e al suo assistente, l’agente Ferri, accorsi sul posto.

D’altronde, come raccontato dalla propaganda del regime, sotto il fascismo non c’è spazio per i delinquenti e dunque meglio nascondere certe cose agli occhi del popolino.

– Dunque, la vittima è una donna, età approssimativa tra i venti e i venticinque anni. Niente documenti. Nessuna traccia di ferite..

Un po’ poco per poter identificare la morta, ma grazie al cielo possono compensare le foto scattate poco prima che il cadavere venisse rimossa dal giornalista Mattia Moro. E poi c’è l’istinto da poliziotto di Villata, quel suo spirito deduttivo che gli permette di raccogliere indizi osservando tutti i particolari degli oggetti presenti su una certa scena come anche le cose assenti.

Lo chiamano “Il mastino”, il commissario Fulvio Villata, per la sua caparbietà nell’andare fino in fondo alle indagini. Tutte doti inutili, perché non essendo iscritto al partito fascista, Villata sa che ogni promozione gli verrà preclusa.

Per Fulvio Villata fare l’investigatore non era solamente un lavoro ma qualcosa di più: una missione, se non addirittura una vocazione.

Tuttavia, lo straordinario acume di cui era dotato non era la sua unica qualità: era anche caparbio e tenace, da qui il soprannome.

Dal tipo di vestiti indossati dalla ragazza – grazie alle foto ottenute del giornalista - Villata intuisce che possa trattarsi di una donna a servizio di una famiglia abbastanza facoltosa: tacco basso come di una persona che deve camminare molto, un cappotto che andava di moda anni prima, dunque un capo che le è stato donato da qualcun altro.

Oltre alla caparbietà, il “Mastino” ha un’altra dote: la grande empatia per le sue vittime, tanto da arrivare a dare del tu a questa ragazza senza nome

Chi eri? Che speranze coltivavi per il tuo futuro? Avevi un innamorato? Il commissario aveva la bislacca abitudine di parlare con le vittime degli omicidi su cui investigava.

Ma tutto questo non serve a nulla, se non si arriva all’assassino e al regime interessa molto chiudere il caso in fretta e senza troppi clamori (come si è detto, non ci sono delinquenti col fascismo, a parte i gerarchi). A breve a Brescia, come in tutta Italia, è previsto un anniversario importante: il decennale della marcia su Roma e, ai primi di novembre, verrà anche inaugurata la nuova piazza della Vittoria, ricostruita dall’architetto Piacentini secondo il nuovo stile razionalista. Lo stile tanto adorato dal duce in persona che verrà proprio qui a presenziare la cerimonia.
Ecco perché tante pressioni sul caso.

Ma chi può aver ucciso quella ragazza? Non un maniaco, non un rapinatore. Quello che è certo è che l’assassino sapeva come uccidere: le ha rotto l’osso del collo con un gesto rapido – il dottor Calligaris è certo di questo, avendo visto tanti cadaveri anche nel corso della grande guerra che ha vissuto in prima persona sul fronte.

- Dunque credete che abbiamo a che fare con qualcuno che sappia bene come uccidere?

Direi proprio di sì. O il vostro uomo ha avuto un dannato colpo di fortuna nel suo insano proposito, oppure non è la prima persona a cui tira il collo.

Villata e il fidato assistente, l’agente Ferri, si ritrovano continuamente tra i piedi questo strano giornalista Moro.

Come tutti i giornali, anche il suo è sottoposto alla censura ma questo non lo scoraggia dal raccogliere e scrivere tutte le storie in cui si imbatte, anche quelle che non possono essere pubblicate sui giornali:

.. gli appunti che scrivo mi servono proprio per non dimenticare le cose accadute. E soprattutto per poterle raccontare, un giorno, quando una nuova stagione in questo paese ristabilirà la libertà di stampa.

Un ingenuo forse, oppure semplicemente un italiano che sapeva che questa lunga notte del fascismo, la privazione delle libertà, il carcere e il confino per i nemici del regime, avrebbe avuto una fine, prima o poi.

Quella povera ragazza morta non sarà l’unica vittima in questa indagine dove il Mastino si troverà a dover muoversi tra borghesi arricchitisi con la guerra e i cantieri aperti a Brescia, la Leonessa d’Italia (in ricordo delle dieci giornate contro gli austriaci nelle guerre di indipendenza). Cantieri che raccoglievano tanti operai, che la sera si ritiravano nelle baracche in riva al Mella, lontano dagli occhi del regime.
Altre morti seguiranno in una scia che porterà il Mastino dritto dentro le trincee della grande guerra.

C’è il Villata investigatore, tenace, buon osservatore, capace di entrare in empatia con le vittime e con i testimoni, pur di catturare tutte le sensazioni delle persone che si trova davanti.

Un poliziotto che sa qual è il suo compito: scoprire i fatti, solo quelli, la nuda verità

Non sta a noi giudicare e punire, noi dobbiamo soltanto stabilire i fatti. Il nostro compito è il più importante, il più delicato.

Ma c’è anche un Fulvio Villata uomo, che un poco alla volta, ci viene raccontato dall’autore: nel suo passato c’è un dolore, per un amore mai dimenticato che gli è stato strappato e una promessa di prendersi comunque cura di sé. Pian piano capiremo il perché di questa sua solitudine e il vivere di ricordi sempre più lontani.

È passato tanto tempo, anche se devo ammettere che è dura farci l’abitudine. Forse però mi fa bene parlarne con qualcuno ogni tanto – disse accendendo un’altra sigaretta. – A volte ne ho talmente bisogno che ne parlo con me stesso, ad alta voce. Il fatto è che ci sono dei giorni in cui mi sembra di aver vissuto solo un sogno, tanto tempo fa. Ho una maledetta paura dello sbiadire dei ricordi, capisci?

Sullo sfondo, questa città, Brescia o Brizia, con dentro tante anime, da quella di epoca romana fino a quella medioevale e poi all’impronta lasciata da Venezia.

Una città che fa da quinta alle mosse di questo commissario che gira sfuggente per le le sue stradine e per i suoi vicoli lasciandosi dietro la scia del fumo delle sue sigarette Giubek.

La scheda del libro sul sito di Todaro

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12 gennaio 2025

Il commissario Maugeri e la ragazza senza capelli di Fulvio Capezzuoli


Giovedì

I quattro poliziotti fissavano la giovane in silenzio, come affascinati da quella straordinaria visione. Era bellissima, ma nessuno dei quattro sembrava interessato alla vista di quel corpo statuario che si offriva agli sguardi nudo, in tutta la sua elegante plasticità.

Il corpo di una giovane donna viene ritrovato vicino all’abbazia di Chiaravalle, fuori Milano: da viva doveva essere molto bella e anche la morte non ne ha rubato del tutto la bellezza. Quella donna ha qualcosa di particolare che attira il commissario Maugeri e i suoi uomini, chiamati da un contadino dopo la scoperta del cadavere: è stata completamente rasata, possibile che l’assassino che l’ha trascinata fin lì (perché la donna non è stata ammazzata in quel posto) si sia preso il disturbo di tagliarle i capelli?

La ragazza senza capelli sarà il primo delitto, di una indagine che coinvolgerà il commissario Maugeri e i suoi uomini portandoli fino a Napoli. Ci troviamo a Milano nella primavera del 1948, una città che porta ancora addosso i segni della guerra, dove ci si muove col tram o con la bicicletta. Poche le auto per strada.

L’uomo uscì da un capannone vuoto, che si trovava alla periferia sud di Milano. Era un uomo alto, robusto, il viso mal rasato e privo di espressione. Indossava un maglione a tinte forti che emergeva dall’impermeabile grigio..

Nei giorni successivi viene trovato il cadavere di un uomo dentro il bagno di una trattoria: aveva appena pagato il pasto srotolando un mucchio di banconote da diecimila lire, ma non aveva l’aria di una persona ricca. In tasca un documento francese: gli uomini di Maugeri lo collegano però ad una rapina avvenuta nei giorni precedenti, ad una filiale del Banco di Roma.
Ferrentino – questo il nome del rapinatore che era evaso dal carcere pochi mesi prima – doveva essere uno degli uomini del colpo.

Una donna senza un nome, uccisa non si sa bene dove né perché. E un ex rapinatore ucciso forse per una rapina, che aveva in tasca molti soldi: inizia da qui, con due morti e pochi elementi in comune, una indagine difficile per Maugeri e i suoi collaboratori, gli ispettori Palumbo e Valenti, che si troveranno a dover inseguire dei killer con armi francesi, legati a quella rapina in banca.

Un’indagine in cui riuscirà finalmente a dare un nome a questa ragazza sfortunata, cresciuta nella miseria della guerra, sfruttata dalla famiglia e uccisa da un balordo.

Una storia di miseria e di avidità che lascerà un amaro in bocca al commissario Maugeri.

Lungo poco più 60 pagine, di fatto un racconto lungo, questo libro dimostra che si può scrivere un bel giallo, ben articolato con dei personaggi ben definiti, senza dover scrivere lunghi tomi.

Fulvio Capezzuoli sa scrivere bene con questi gialli ambientati nella “vecchia” Milano, non ancora metropoli alle prese con le cicatrici lasciate dalla guerra. Non solo per i palazzi distrutti dalle bombe, anche nella vita, amara e dura, delle persone.

La scheda del libro sul sito di Todaro

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