Passato, presente e futuro nei servizi che andranno in onda questa sera nella puntata di Report: il passato riguarderà il terremoto de l’Aquila del 9 aprile 2009, 13 anni fa. Un passato che è ancora presente, come purtroppo lo è anche la guerra in Ucraina che sembra scivolare verso un piano inclinato che potrebbe portare ad una guerra a livello continentale.
Come legati al presente sono i servizi sui teatri chiusi in Italia per mancanza di fondi per i restauri, sulle mascherine ffp2, obbligatorie per gli studenti italiani.
Michele Buono ci porterà nel futuro, invece, con le auto completamente digitali.
Le auto del futuro
Auto da corsa che si sfidano sulla pista di Las Vegas: accelerano, si studiano e quando è momento, si sorpassano l’una con l’altra. Tutto normale? No, perché sono auto senza pilota, auto che vedono, ragionano, tutto da sole: in questa nuova storia del mondo delle auto c’è anche un pezzo dell’Italia.
A rappresentare il nostro paese c’è il politecnico di Milano che ha sfidato i tedeschi dell’università di Monaco sulla pista del circuito, vincendo la gara.
Torniamo in Italia nella provincia di Parma a Varano de Melegali alla Dallara, azienda che produce auto da corsa, da strada e le indie car, quelle della 500 miglia di Indianapolis. Poi alla Dallara hanno rilanciato: e se facessimo correre queste macchine da sole, senza il pilota?
Michele Buono lo ha chiesto all’AD di Dallara, Andrea Pontremoli (che era presente alla sfida a Las Vegas):
“Praticamente voi avete detto a dei ragazzi, o poco più che ragazzi, sareste capaci di far viaggiare delle automobili sulla pista di Indianapolis a 300km/h senza pilota? Noi lo abbiamo chiesto un po’ a tutti, chi ha colto la sfida, sono stati i ragazzi”.
Sono i ragazzi dell’università di Modena e Reggio Emilia, che hanno fatto viaggiare queste auto da corsa a oltre 225km/h senza pilota: la macchina si controlla da sola, vede gli ostacoli in mezzo alla strada, li scansa e poi riprende alla sua velocità., sempre più forte. La vettura è in grado di scalare le marce alle curve, scegliere la traiettoria migliore. Sempre senza pilota.
Queste auto a guida autonoma potrebbero rivoluzionare la mobilità nelle città, liberando le città dal traffico, rendere l’aria meno pensate per le minori emissioni: lo racconta a Report Sergio Savaresi, docente del Politecnico di Milano: tra dieci anni si cambierà di paradigma, dal possesso dell’automobile per muoversi si passerà all’uso di un servizio trasporti, chiamerò l’auto al domicilio e indicherò dove devo andare “questa è la rivoluzione, il completo cambio di modello dal possesso di automobile ad un servizio pubblico”.
A regime di quanto si potrebbe tagliare il parco delle auto vetture? Secondo il docente si potrebbe passare da 40 a 4 milioni di automobili con questo nuovo modello di mobilità.
La scheda del servizio AUTISTI ARTIFICIALI DIGITALI E MECCANICI
di Michele Buono con la collaborazione di Edoardo Garibaldi
Vanno forte, veloci come auto da Formula indy, ma a guidarle non ci sono divi da copertina, non c'è nessuno. Sono le auto senza pilota che si sono sfidate nella prima gara della storia di veicoli a guida autonoma. Negli Stati Uniti, le università di tutto il mondo se la sono vista con il Politecnico di Milano e l'Università di Modena Reggio Emilia che hanno lavorato sulle auto fornite dalla Dallara per renderle più veloci e intelligenti. Non è un mero esercizio di stile, ma un test importante sulla via dell'utilizzo della guida autonoma nel sistema di mobilità. Se, infatti, le auto possono correre, sorpassare a quasi 300 chilometri orari, allora saranno in grado di frenare in tempo per non investire un bambino che insegue un pallone per strada. Così possedere un’auto non sarà più necessario, né tantomeno guidarla. Circoleranno autonomamente per le città e gli abitanti le chiameranno, come si fa con i taxi. Solo che alla guida non ci sarà nessuno. L'inchiesta di Report farà intravedere le potenzialità di questa tecnologia, di come l'Italia sia spesso davanti agli altri nello sviluppo delle nuove frontiere e di come potremmo rischiare, ancora una volta, di non accorgercene. Il tutto raccontando due gare su due dei circuiti automobilistici più famosi degli Usa, Indianapolis e Las Vegas.
Dal fronte della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina fa più paura adesso che non nei primi giorni del conflitto: per il rischio che questo si allarghi al resto dell’Europa, per il timore che si usino armi nucleari tattiche. Ma anche perché giorno dopo giorno si svela il volto vero della guerra che non ha nulla di eroico: le morti civili, i profughi e le persone in fila per aiuti. Il servizio di Luca Bertazzoni racconterà di come ci siano ucraini che sono tornati nella loro patria per aiutare i connazionali, portando loro questi beni di prima necessità: sono tornati per aiutare i loro familiari, le persone anziane che non possono abbandonare le case “l’Europa deve sapere che qui c’è bisogno di un aiuto perché qua c’è la guerra. Sono arrivati i russi nel paese dei miei genitori, hanno rubato le case, vestiti, fanno violenze contro donne e bambini..”
A Mykolaiv, una città del sud dell’Ucraina, la Croce rossa ha organizzato un servizio di consegna casa per casa di medicinali e cibo per chi non può raggiungere il punto di distribuzione dei beni alimentari: anche qui Bertazzoni ha raccolto altre testimonianze dei civili, i bombardamenti contro le case, giorno e notte, gente anziana che senza questi aiuti portati dai volontari non potrebbe sopravvivere.
La scheda del servizio CORRISPONDENZE DALL’UCRAINA: VIAGGIO A MYKOLAIV
Di Luca Bertazzoni – Carlos Dias Collaborazione Giulia Sabella
Gli inviati di Report in Ucraina sono arrivati Mykolaiv, città nel sud del Paese che ha subìto pesanti attacchi dai russi. Qui hanno incontrato gli abitanti del posto: persone che vivono grazie agli aiuti offerti dalla Croce Rossa, italiani che vi si sono trasferiti parecchi anni fa e ucraini che abitavano in Italia ma che sono tornati nella loro terra di origine per accudire i propri cari che non possono scappare. I nostri inviati hanno anche intervistato il sindaco della città, che ha raccontato loro cosa sta accadendo da quando è iniziata la guerra
La guerra cibernetica
La guerra in Ucraina ha anche un fronte cyber, combattuto dai 300mila volontari iscritti dall’IT Army, un canale Telegram creato del governo ucraino. In questa battaglia contro il governo russo sono coinvolte anche due aziende private, la Cyber Unit Tech di Yegor Aushev e, soprattutto, la Hacken di Dyma Budorin che opera nell'ambito del web3: obbiettivo dichiarato è effettuare un attacco DDOS così grande da mandare in tilt tutte le porte dell’accesso all’internet russo contemporaneamente costringendo così la Russia a disconnettersi dalla rete e rimanere isolata.
La scheda del servizio I CYBER LEGIONARI
Di Giuliano Marrucci
Collaborazione Eleonora Zocca
26 febbraio. Sono passati due giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina quando Mykhailo Fedorov, il giovane ministro della trasformazione digitale nonché vice primo ministro del paese aggredito, dal suo account twitter lancia un appello a tutti i talenti digitali del mondo a unirsi alla resistenza cibernetica ucraina. Nel giro di pochi giorni il canale telegram supera i 300 mila iscritti: sono i legionari della prima vera e propria guerra mondiale cibernetica della storia. E sono destinati a cambiare per sempre l'idea che abbiamo di Internet.
La crisi nel mondo dei teatri
La cultura è il nostro petrolio, si sente ripetere: eppure questo paese ama così poco la cultura da investirci meno di quanto servirebbe. Non sono solo i musei senza personale, i sito archeologici gestiti da ricercatori con contratti da operaio specializzato.
Ci sono anche i fondi che mancano per tenere aperti questi centri della cultura: mancano soldi anche per ristrutturare i tanti teatri italiani che oggi sono chiusi in attesa del completamento degli interventi di adeguamento alla sicurezza oppure interventi di restauro.
In assenza di agibilità, rimangono chiuso: è questa la condizione di oltre 400 teatri in Italia, luoghi di aggregazione che devono rimanere chiusi.
Tra questi il teatro Massimo di Palermo, rimasto chiuso tra il 1974 e il 1997: il Massimo è il simbolo di Palermo – spiega a Report l’ex soprintendente Francesco Giambrone – un’intera comunità si riconosce in questo simbolo che è un teatro d’opera: questo teatro fu chiuso per motivi di sicurezza nel 1974, i lavori non vennero mai fatti per anni, gli anni della grande controffensiva della mafia a Palermo: “Mi si rompe la voce, questo gigante nella piazza principale era chiuso, e un’intera comunità è stata complice. Il teatro riapre sulle onde di una grande riscossa civile, dopo le stragi del 92, e parte dai ragazzi, parte dalle scuole. Perché i primi che hanno riaperto quel portone sono stati i bambini delle scuole. Allora quella stessa comunità che aveva girato le spalle alla bellezza si riprendeva il teatro Massimo.”
Non siamo riusciti a salvare nemmeno il teatro Italia a Venezia, un cinema teatro del primo novecento, che oggi è un supermercato Despar, presentato su internet come un trofeo, “il punto vendita più scenografico al mondo.”
A due passi da San Marco una finanziaria dei Benetton ha comprato un intero complesso con alcune parti risalenti all’anno mille: ora dentro ci sono boutique di alta moda e un hotel super lusso. Dentro c’è anche un teatro dell’800, utilizzato fino agli anni 80, ora invece è usato come sala per ricevimenti, anche se ai cittadini veneziani era stato raccontato che all’interno ci sarebbe stato un palcoscenico smontabile, per delle rappresentazioni.
Quel vecchio accordo è finito nel dimenticatoio, proprio come successo ad un altro teatro veneziano, l’Arena Verde, sull’isola di San Giorgio. L’arena con 1500 posti è inutilizzata dal 2013: “la vedo come uno dei tanti elementi di decadenza di Venezia” ammette sconsolato Carlo Montanaro che è stato direttore dell’Accademia delle arti fino al 2010.
Per la Fondazione Cini che ha in concessione l’Arena è colpa dell’acqua alta che renderebbe necessari continui interventi di manutenzione. Manutenzione che non avviene coi soldi dei privati ma nemmeno coi soldi pubblici: la regione Veneto non ha a bilancio fondi per la riapertura dei teatri, per tutto il 2022 ha stanziato 19 ml per tutto il settore culturale, nel 2017 erano 30ml.
Il Veneto è penultimo in Italia per investimenti in cultura con la sua spesa di 3,5 euro per cittadino, la più virtuosa è la Valle d’Aosta con 346 euro: il federalismo regionale colpisce anche la cultura, in Italia. L’Assessore alla cultura si è difeso dicendo che il Veneto è l’unica regione a statuto ordinario che non aggiunge l’addizionale irpef ai propri cittadini, quindi ha delle disponibilità a bilancio inferiori.
“Quando chiudi un teatro non è come quando chiudi la bottega, la serranda” – racconta a Report Andrea Pennacchi- “quando chiudi un teatro chiudi le porte in faccia a ragazzi, a signori e signore, pensionati che avevano roba da fare, chiudi la porta in faccia alla città, ti chiudi tu fuori da una roba preziosa.”
La scheda del servizio GIÙ IL SIPARIO di Giulia Presutti
In Italia sono più di 400 i teatri chiusi, talvolta abbandonati da decenni. Uno su due è di proprietà pubblica e in larga parte si tratta di edifici storici, vincolati dalle sovrintendenze ai Beni Culturali che ne dovrebbero preservare, oltre alla funzione culturale, anche il valore architettonico e artistico. E invece spesso li chiudono per necessità di un restauro che poi, per mancanza di fondi, non viene completato: le città restano così prive del luogo di aggregazione più importante nella storia d'Italia. Report ha fatto un viaggio alla scoperta di questo patrimonio inutilizzato.
Le maschere sui ragazzi
Diversamente da altri paesi europei, l’Italia ha imposto l’obbligo delle mascherine FFP2 ai ragazzi a scuola, dai sei anni in su: ma queste sono mascherine pensate per adulti, non per bambini, nascono come filtrante anti polvere da usare sui luoghi di lavoro.
Report ha sentito l’Ente Europeo di Normazione che ha elaborato la norma per la certificazione di queste mascherine: nessuno dei requisiti che la norma richiede tiene conto dei parametri fisiologici di ragazzini – conferma il direttore dell’ente – perché è non è stata pensata per la scuola.
La scheda del servizio MASCHERE MOZZAFIATO di Antonella Cignarale
I requisiti di una FFP2 non tengono conto dei parametri fisiologici dei bambini. Vale sia per le taglie standard che per le taglie small. Se sulla mascherina è stampato il codice EN149 i parametri di efficienza filtrante, aderenza al volto e resistenza respiratoria sono pensati per la categoria dei lavoratori e i test di prova avvengono solo sulla popolazione adulta. Le FFP2, infatti, come semimaschere filtranti antipolvere, sono progettate per garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nelle scuole italiane gli studenti devono indossarle quando sorgono casi di positività nella propria classe per 10 giorni di fila, anche per 8 ore al giorno. Vale per tutti, dai 6 anni in su. Una disposizione adottata per contrastare il contagio da Sars-Cov2 e per scongiurare la Dad, ma non abbracciata dal resto dei paesi dell’Unione Europea.
Le new town, 13 anni dopo
In Italia si preferisce spendere miliardi dopo le tragedie anziché fare prevenzione, perché il post tragedia, dall’Aquila al Ponte Morandi è sempre occasione per garantire appalti senza controlli, in deroga alle leggi. Perché c’è l’emergenza, perché non c’è tempo.
Passati tutti questi anni, in che condizioni stanno gli alloggi preparati in tempo record (e inaugurato il giorno del compleanno di Berlusconi) dalla protezione civile per ospitare gli aquilani e evitare loro la permanenza nelle tende?
Dei 4400 alloggi, 2900 sono abitati, 4 sono stati affidati a famiglie afgane, 50 posti letto sono stati invece affidati ai profughi ucraini: uno di questi è un atleta della nazionale di ciclismo, arriva da Donetsk e rimarrà in Italia fino alla fine della guerra – racconta alla giornalista.
Tutta la nazionale di ciclismo è in realtà ospite in una delle New Town, quando era iniziato il conflitto erano in Turchia, era impossibile tornare a casa e così molti di loro ora sono in Italia mentre le famiglie sono rimaste in Ucraina. I figli che hanno già compiuto la maggiore età non possono uscire dal paese, perché devono prendere le armi per la guerra.
Ma poi, se anche potessero, il comune dell’Aquila ha detto loro che in queste New Town non c’è posto per i familiari, nonostante 1500 appartamenti siano vuoti solo che, o sono inagibili, o lasciati nell’incuria più totale.
La scheda del servizio LE NEW TOWN DELL’AQUILA 13 ANNI DOPO Di Chiara De Luca
Il 29 settembre 2009, a L’Aquila viene inaugurata la prima new town, del progetto c.a.s.e 19 insediamenti antisismici, Sostenibili e Ecocompatibili costruiti nell’immediato post sisma che colpì l’Abruzzo il 6 aprile 2009. Il progetto, che comprende circa 4400 alloggi arredati e accessoriati, fu completato in soli 100 giorni. A distanza di 13 anni in che stato sono?
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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