11 aprile 2022

Anteprima inchieste Report – storie di gas, di guerre e di streaming tv

Come anticipato la scorsa settimana dal conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, la guerra in Ucraina ha in parte stravolto la pianificazione delle puntate di questa stagione: ogni lunedì i servizi di Report si occuperanno della guerra, con degli aggiornamenti dal fronte. Ci saranno anche dei servizi a temi collegati alla guerra, come la dipendenza dal gas russo, come si è arrivati ai rincari del gas per finire con la poca trasparenza dei contratti che abbiamo stipulato con Gazprom.

La dipendenza dal gas russo

Ci siamo accorti colpevolmente troppo tardi del costo della dipendenza dal gas russo, la minaccia di un boicottaggio al gas e al petrolio che Putin vende ai paesi europei al momento è poco più di un bluff. Smettere di comprare gas dalla Russia metterebbe in crisi la nostra industria e la vita di milioni di italiani.

Dobbiamo anche stare attenti da non passare da una dipendenza dal gas russo alla dipendenza allo shale gas americano, più costoso e meno rispettoso dell’ambiente.

Il servizio di Giorgio Mottola racconterà di quanto sia antico il rapporto commerciale con la Russia: il primo gasdotto che attraversa l’Ucraina per arrivare in Europa ha un nome russo che vuol dire “fratellanza”, era il 1967 e c’era ancora l’Unione Sovietica.

Dal gasdotto ucraino, il gas russo arriva in Italia a Tarvisio, in una galleria che ospita i tre metanodotti gestiti da Snam che sono vitali per la sussistenza energetica italiana: senza il gas russo si bloccherebbe l’elettricità, il riscaldamento e il funzionamento delle industrie. Nel 2021 dalla Russia è arrivato il 40% del gas importato ma ora dopo l’invasione dell’Ucraina per l’Unione Europea e per il governo italiano la supremazia commerciale del metano russo non è più considerata accettabile.

“L’Italia è al lavoro per ridurre in tempi rapidi la dipendenza dal gas russo” ha spiegato in Europa il presidente Draghi: oggi è così partita la ricerca di fornitori alternativi alla Russia per diversificare le fonti, il primo nome sulla lista del governo è l’Algeria, da cui lo scorso anno abbiamo importato il 31% del gas. Il ministro degli esteri Di Maio annunciava a fine marzo che questa quota (da un “fornitore affidabile”) sarebbe aumentata.

Attraverso il gasdotto Gasmed che arriva in Sicilia potrebbero arrivare dai 2 ai 10 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno che potrebbero rimpiazzare tra il 10 e il 30% del gas russo.

Ma puntare sull’Algeria presenta diversi rischi: lo spiega Marco Giuli, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, “l’upstream algerino è sottoposto a quelle che sono le valutazioni politiche del governo algerino, anche lì parliamo di una forte integrazione tra priorità politiche e commerciali, quindi un ambiente difficile sugli investimenti”.

A questo si deve aggiungere il fatto che l’Algeria ha relazioni storiche con la Russia da cui riceve armi e formazione per i propri servizi segreti, al punto che quando all’Onu si è votato per la condanna per l’invasione dell’Ucraina gli algerini hanno deciso di astenersi.

Non c’è da stare allegri nemmeno dagli altri potenziali fornitori: il governo italiano punta infatti anche sulla Libia dove la riesplosione di una guerra civile è sempre imminente. E poi c’è il TAP, il gasdotto che collega l’Azerbaijan all’Italia.



Racconta Nicola Armaroli dell’Accademia delle Scienze di come questo gasdotto, attraversando l’Anatolia, paga la servitù di passaggio con la Turchia di Erdogan “ora io mi ricordo che fino a due mesi fa il presidente turco era il più cattivo del mondo, adesso ce ne siamo dimenticati, forse la nostra idea di cattivi cambia un po’ troppo in fretta.”

Infine gli esportatori statunitensi che, essendo aziende private, hanno interesse solo al loro profitto.

Non c’è da stare allegri dunque e non possiamo farci illusioni: questo gas “diversificato” lo pagheremo caro.

Qual è il punto di vista del ministro Cingolani? “Ovviamente nessuno di questi paesi è noto per la loro stabilità, c’è da dire che sono comunque paesi più piccoli della Russia, il rapporto con un paese avanzato e grande come l’Italia è più gestibile rispetto ad un rapporto Italia Russia.”

I rapporti di forza economica sarebbe a nostro vantaggio, in ogni caso – continua il ministro, stiamo parlando di una transizione: “tutte queste operazioni che stiamo facendo sulla scala della storia durano un decennio.”

L’Ucraina è la porta di ingresso del gas russo in Europa e anche in Italia per i gasdotti che attraversano il suo territorio: per questo incassa quasi 2 miliardi di dollari dalla Russia per il transito del gas, circa il 2% del PIL nazionale, come racconta Yuirj Vitrenko, capo di Naftogas.

Dopo l’inizio della guerra i russi continuano a pagare queste royalties all’Ucraina , da una parte bombardano le città dall’altro pagano per il trasporto del gas, il cui costo è aumentato in questi ultimi mesi, a cominciare dal gennaio 2021.

Da 19 euro KW/ora di gennaio si è arrivati al record di 180 euro il 21 dicembre scorso, un rincaro del 847%. Questo aumento non ha nulla a che fare con la crisi in Ucraina – racconterà il servizio di Report: nel 2021 sono avvenute più concause che hanno portato a questa situazione, la siccità in Brasile (riducendo la loro capacità di produzione di energia dall’idroelettrico); nel mare del nord le pale giravano poco. La Cina ha comprato grandi quantità di gas alla fine del periodo critico del Covid.

Tra le prime aziende che lo scorso anno hanno festeggiato per l’aumento del gas ci sono state le prime aziende intermediarie delle materie prime: Vidol colosso olandese che passa da 140 miliardi di dollari di fatturato nel 2020 a 279 miliardi nel 2021 (+99%); Trafigura multinazionale basata a Singapore che passa da 147 miliardi di $ a 231 miliardi (+57%); infine Glencore da 145 miliardi di $ a 207 miliardi (+42%). Ma anche in Italia c’è chi è riuscito a portare a casa affari d’oro: Mauro Meggiolaro analista finanziario di Finanza Etica ha spiegato a Report che Eni quest’anno chiuderà con un profitto di 4,7 miliardi di euro, che è il miglior risultato dal 2012, “Eni nell’ultimo trimestre del 2021 ha aumentato i suoi profitti di oltre il 600% rispetto all’ultimo trimestre del 2020”.

Oltre a questi intermediari, sull’aumento del costo del gas ci hanno speculato sopra anche le grandi società finanziarie di Wall Street come Morgan Stanley e Goldman Sachs.

Ma il mercato non poteva essere regolamentato dalle istituzioni sovranazionali, come l’Unione Europea? Le grandi aziende del petrolio come Exxon, Shell, BP ed Eni hanno speso negli ultimi cinque anni oltre 90 milioni di euro per attività di lobby a Bruxelles sulla Commissione e sull’Europarlamento, allo scopo di avere politiche favorevoli al gas, ottenendo miliardi di fondi pubblici e vincolando l’Europa ai gasdotti russi.

Ci libereremo dal ricatto russo ma potremmo trovarci di fronte nuovi costosissimi ricatti – è il commento di Ranucci.

La scheda del servizio: GAS, UNA STORIA D’AMORE E DI GUERRA di Giorgio Mottola con la collaborazione Norma Ferrara

La storia d’amore dell’Italia e dell’Europa con il gas inizia molti anni fa, quando c’era ancora l’Unione Sovietica e vennero costruiti i primi gasdotti. È una storia d’amore che si è rinfocolata una decina di anni fa nel momento in cui, dovendo ridurre drasticamente le emissioni di CO2, le lobby del petrolio hanno iniziato a fare pressione sulla Commissione Europea per trasformare l’Europa nel continente del gas. E così la relazione è diventata così stretta e soffocante che nonostante l'esplosione della guerra in Ucraina, le forniture di gas russo all’Europa non si sono mai interrotte, ma risultano persino aumentate. È la conseguenza di un’interdipendenza difficile da risolvere nel breve e nel medio termine: l’Europa dipende dal gas russo, ma anche Putin ha bisogno delle entrate garantite dal Vecchio Continente per finanziare il conflitto. «In queste settimane i russi non hanno mai smesso di pagarci le royalties per il passaggio del metano», rivela in un’intervista esclusiva a Report Yuriy Vitrenko, capo di Naftogaz, la società di stato ucraina che gestisce la rete dei gasdotti sul territorio del Paese. L’Italia e gli altri Paesi europei stanno provando a rimpiazzare la Russia con altri fornitori, tuttavia le alternative sono altrettanto rischiose da un punto di vista geopolitico e soprattutto si profilano molto più costose. Report racconterà chi ci ha davvero guadagnato con l’ascesa vertiginosa dei prezzi del gas e il ruolo avuto dalle grandi multinazionali delle commodities e dai fondi d’investimento americani.

La poca trasparenza del mercato del gas

Ci aveva già provato a fare chiarezza nel 2007 Report (qui il pdf della puntata)con un servizio che era andato fino in Siberia sulla via del gas. Sotto la tundra siberiana è nascosta la riserva di gas più grande del mondo, un terzo della ricchezza della Gazprom arriva da Urengoj : attraverso questa società che controlla direttamente, il Cremlino ha cercato di ridare il volto di potenzia mondiale alla Russia.

Fino agli anni 70 le pianure siberiane erano abitate dagli allevatori di renne, poi sono arrivati i pozzi, i tubi, i camini con lo sfogo dei gas. A Urengoj convive la vecchia Russia della nomenclatura confusa con l’oligarchia dei nuovi ricchi: la polizia ha sequestrato il passaporto ai giornalisti di Report appena arrivati in città, qui ci si entra solo con l’intervento dei funzionari della Gazprom e i servizi segreti hanno seguito i loro spostamenti in ogni momento.

Il servizio raccontava di quanto fosse difficile tracciare il confine tra interessi dell’Eni e quelli di Gazprom, di come ci siamo portati il gigante russo in casa per precisa volontà politica dei governi italiani.

La scheda del servizio: LA MEMORIA STORICA DI REPORT LA VIA DEL GAS di Giorgio Fornoni

"Gas. Un mercato impossibile da spiegare, e un affare sotterraneo, dove la parola trasparenza non ha senso. E quindi faremo quel che si può". Una storia sulla quale gli inviati di Report avevano provato a vederci chiaro, andando fino in Siberia già nel 2007. Tuttavia, erano emerse delle grandi anomalie.

Dal fronte della guerra

Luca Bertazzoni continua il suo racconto dal fronte ucraino che, purtroppo, è un fronte interno perché questa guerra sta colpendo città, case, ospedali e, purtroppo, uccidendo tanti civili. A Kharkiv le bombe dei russi non hanno risparmiato niente e nessuno, è stato completamente distrutto il mercato più grande della città, sono stati colpiti negozi e supermercati, tutti obiettivi civili.

I russi hanno occupato una scuola che è stata trasformata in un teatro di uno scontro a fuoco durato giorni. Il centro storico è pieno di macerie: Kharkiv è oggi una città da ricostruire completamente, non si è salvato nemmeno il palazzo del governo.

La scheda del servizio: CORRISPONDENZE DALL’UCRAINA Di Luca Bertazzoni – Carlos Dias

con la collaborazione Giulia Sabella

Gli inviati di Report in Ucraina sono arrivati a Kharkiv, la seconda città del paese. Ad appena 40 km dal confine, le bombe dei russi non hanno risparmiato niente e nessuno. Il mercato più grande della città è stato distrutto, così come molti altri obiettivi civili. Le telecamere di Report sono entrate nell'ospedale dove vengono curati i feriti di questa guerra. I nostri inviati hanno poi raggiunto la prima linea di combattimento, raccogliendo un video esclusivo che documenta lo scambio di artiglieria tra i militari ucraini e le batterie russe.

Le tasse di Netflix

I ricavi di Netflix sono destinati ad aumentare con la crescita degli abbonamenti il cui prezzo è aumentato fino al 12% da ottobre scorso. Dove paga le tasse il colosso dello streaming Netflix? Come tutti i big di internet, anche questo le paga dove più le conviene: gli analisti di Tax Watch UK hanno analizzato la struttura della società hanno scoperto dove Netflix sposta i ricavi.

Tommaso Faccio – docente di diritto tributario racconta che, come tutte le aziende americane, “hanno sviluppato la proprietà intellettuale in America e poi l’hanno data in concessione a paradisi fiscali in cui hanno fatturato le proprie vendite ai consumatori italiani ed europei. Questo permette loro di evitare la stabile organizzazione per cui dovrebbero pagare le tasse anche in Italia. ”

Nonostante Netflix abbia sedi in tanti paesi europei, le vendite sono fatturate in una società offshore con sede in Olanda che acquista servizi ad un margine basso così i profitti si riducono e le tasse da pagare sono minime. Nel 2019 Netflix ha pagato 4000 euro di imposte.

La scheda del servizio: LA CASA DI CARTA? Di Lucina Paternesi Meloni

Sono più di 24 milioni gli italiani che si collegano a internet e utilizzano applicazioni on demand, quasi il 50% in più rispetto a un anno fa. Maratone televisive, film, serie tv da divorare tutte d’un fiato:l’obiettivo è non spegnere mai la televisione. L'algoritmo conosce i nostri gusti e sa sempre cosa proporci, è questo il segreto di Netflix. Oggi la piattaforma californiana sforna un successo dietro l'altro: prima di diventare il leader della resistenza contro i carri armati russi, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens’kyj era stato consacrato proprio da una serie trasmessa da Netflix, interpretando un insegnante che si ritrova inaspettatamente a guidare la nazione. Crescono gli utenti e aumentano gli incassi, ma dove vanno a finire i soldi degli abbonati italiani?


Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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