Novembre 2019
Il primo giorno
Una pistola. Nera, lucida, scintilla nel buio. Perché è buio. Tutto buio. E vedo solo quella. Mi puntano contro una pistola. Ce l’hanno con me. Che è successo? Che ho fatto stavolta?
Certo, faccio incazzare spesso la gente. Sì, okay, molto spesso, ma è il mio lavoro, mi pagano anche per questo.
Le cronache da Gotham city, ovvero le avventure personali e investigative del cronista di giudiziaria Carlo Alberto Marchi dal palazzo di Giustizia di Firenze, arrivano al quinto capitolo.
Abbiamo imparato a conoscerlo bene, questo giornalista vecchio stile ma con ancora dentro la voglia di raccontare storie ed essere curioso del mondo: un matrimonio alle spalle e una figlia adolescente in casa, Donata. Un lavoro come giornalista della “giudiziaria” da portare avanti per Il Nuovo di Firenze, un mestiere dove è importante avere i contatti giusti per avere andare oltre i comunicati ufficiali della Procura o della Questura, sapere quando la tua storia è pronta per essere raccontata ai lettori o quando invece è ancora acerba o, peggio, se uscisse sui giornali potrebbe danneggiare le indagini in corso.
Non è un mestiere facile: l’arrivo di internet, dei social media, ha reso la vita difficile ai giornalisti, quelli veri: si deve scrivere in fretta, senza controllare, senza approfondire, magari puntando sull’emotività di un titolo o di un argomento piuttosto che non al dovere di cronaca, alla notizia, alla vera informazione.
Significa meno giornalisti sul campo, a consumare le suole, a verificare la notizia sul campo.
Nello scorso romanzo, “Il giorno del sacrificio”, Carlo Marchi si era trovato dentro un’indagine di terrorismo che si era conclusa con un volo da una passerella dentro Gotham: dopo mesi di ospedale lo ritroviamo, in un novembre non ancora troppo invernale reduce da quella caduta che l’ha portato ad un passo dalla morte. Dopo mesi di ospedale, lo ritroviamo ora con una stampella per camminare, un antidolorifico a base di oppiacei per sopportare il dolore e un ronzio in testa, che non si ferma mai.
.. si chiamava Fentanyl, un analgesico oppioide cento volte più forte della morfina. Dava dipendenza, lo sapevo. Ma almeno mi toglieva il dolore. C’era una cosa che non mi toglieva, però. Il fischio.
E poi l’incubo, quel sogno così angosciante: una pistola puntata e il padre che viene a salvarlo, per poi precipitare. Si dice che i sogni siano messaggi con cui i nostri cari ci vogliono dire qualcosa: per Carlo Marchi significherà dover ritornare ad una pagina brutta e tragica della sua vita, la morte del padre durante una rapina nella banca dove era direttore.
L’uomo salì sull’autobus alle 5.52 del mattino, certo che nessuno avrebbe saputo riconoscerlo, ore dopo.
Nel mentre Carlo Marchi rimugina sui suoi problemi, a Firenze viene ucciso un ambulante, Giorgio Mati: col suo furgone vendeva panini e bibite a quella fauna notturna che gira attorno al parco delle Cascine. Un delitto strano: l’uomo, che non aveva precedenti alle spalle, è stato freddato con due colpi di pistola, come se fosse un’esecuzione. L’assassino non ha toccato l’incasso, ha sparato, ha raccolto i bossoli ed è sparito.
A terra solo un bossolo, che avrà un ruolo importante: ma ancor più importante è scoprire che le impronte del morto coincidono con quelle di uno dei rapinatori alla Cassa di Risparmio di Firenze di via Gioberto il 31 dicembre del 1999.
Una rapina rivendicata dalle Nuove Brigate Rosse tramite un comunicato delirante, dove si parlava di lotta di classe, ma dove non si spiegava come mai questa lotta dovesse costare la vita a tre persone, una di cui il padre di Marchi.
Cosa lega questo omicidio con quella rapina? Cosa c’entra il “paninaro” con le nuove brigate rosse?
Se lo chiedono dentro la Procura e anche in Questura, il procuratore Loi e l’aggiunto De Vigny, che le indagini sulle Brigate Rosse vecchie e nuove le aveva seguite di persona. Come se lo chiedono anche il capo della Mobile Settesanti e quello della Digos Nocera.
E se lo chiedono anche dentro Il Nuovo: il capo di Marchi gli chiede se, coi suoi contatti dentro Gotham, può dare una mano all’artista, ovvero a Della Robbia, il collega che segue la nera.
E magari dare una mano anche alla giornalista che lo ha sostituto (e che Marchi teme che gli possa rubare il mestiere, per vedersi relegato a fare gli oroscopi ..).
Non c’è tempo per piangersi addosso per i dolori delle ferite, per quel ronzio: la morte del padre, con cui i rapporti si erano rovinati dopo il matrimonio, è rimasta una pagina nera per Marchi. Sente ora il dovere di sapere, di conoscere chi lo ha ucciso per quella rapina (portandosi via anche sei miliardi di lire mai recuperati). È il suo “diritto del sangue”: il diritto di sapere la verità su suo padre, non per fare giustizia, ma per chiudere per sempre una crepa, quella che si era aperta tanti anni prima.
Non sarà l’unica morte in questa storia: altri omicidi seguiranno e strapperanno sempre più Marchi dalla sua dolorosa convalescenza per riportarlo al lavoro: non ufficialmente questa volta, ma di fatto. Un ritorno al suo mestiere a Gotham, nel suo territorio, mettendosi nuovamente sulle calcagna dei pm e degli altri poliziotti con cui ha stabilito negli anni un rapporto di fiducia. Tornare a raccontare una storia, questa volta non solo come giornalista, ma come figlio: la storia di un gruppo di criminali che volevano cambiare la società, eliminare lo sfruttamento delle persone “colpendo al cuore dello Stato”, colpendo persone che col loro lavoro volevano far progredire le istituzioni (come Massimo D’Antona e Marco Biagi). Pensavano di essere l’avanguardia di una rivoluzione ma erano semplicemente dei criminali comuni.
Tutto il racconto si svolge in pochi giorni, dentro cui il lettore si trova risucchiato nell’indagine delle forze dell’ordine che devono dare un perché a quelle morti e cercare quel filo rosso che le unisce e che riporta, inesorabilmente, a quella rapina dell’ultimo giorno del 1999, il giorno del millennium bug. Un’indagine che viene vista, come sempre nei libri di Gigi Paoli, secondo il duplice sguardo, quello degli investigatori e quello del giornalista che deve inseguire le fonti, cercare di unire i puntini per arrivare ad intuire il disegno che si nasconde dietro. Un lavoro che richiede fatica, per conquistare la fiducia delle persone, per trasformare tutte quegli spezzoni di notizie magari scollegate in una storia.
Una storia da raccontare, come quella dell’uomo con la pistola che incontriamo all’inizio.
Quello che mi piace di più nei gialli di Gigi Paoli è la sua capacità di mettere assieme l’indagine, l’investigazione, con gli aspetti personali del protagonista, che si racconta in prima persona anche nelle parti più personali: il rapporto non facile con la compagna Olga, l’avvocata conosciuta dentro Gotham e poi quello con la figlia, che fa fatica a seguire per il suo lavoro proprio in un momento difficile come l’adolescenza.
Infine c’è Firenze, una città dalle due facce “una nobildonna al sole e una meretrice sotto le stelle”, con i suoi tesori che vanno oltre le stradine del centro, come il “Giardino dell’Orticoltura, una delle meraviglie naturali della città che, essendo fuori dai soliti giri turistici, rendeva quell’angolo di Firenze un vero, piccolo paradiso”.
La scheda del libro sul sito di Giunti
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