Torino, sabato 10 febbraio 2024.
Piazza Rebaudengo Guardo l’ora, le undici passate, è buio e fa un freddo cane. Mi stringo nel giubbotto guardando in strada. Il taxi arriva in pochi minuti. Lo guida una donna. È carina, ha gli occhi azzurri e il rossetto rosso fuoco. Mi fissa per qualche istante dallo specchietto retrovisore. Poi sbotta: «Non è più una bella zona come una volta questa.»
Viviamo nell’epoca dei delitti mediatici, raccontati ed eviscerati in televisione in ogni singolo dettaglio. Ma le indagini, quelle vere, che passano per la raccolta delle testimonianze, ore a visionare immagini delle telecamere (quando ci sono), ad incrociare tabulati, ad analizzare anche le prove raccolte dalla “scientifica”, sono un altra cosa e Maurizio Blini, ex poliziotto, lo sa bene.
A Torino ha ambientato i suoi gialli con protagonisti la coppia di investigatori Vivaldi e Meucci, dirigenti della squadra Mobile torinese.
In questo romanzo sono già diventati ex poliziotti andati in pensione e tornati sotto la Mole dopo una lunga vacanza a Cuba.
Il caso vuole che
proprio Maurizio Vivaldi sia testimone in diretta di un omicidio,
mentre si appresta a varcare il portone di casa.
Un semaforo
rosso, uno stridio di gomme, due killer che si avvicinano ad una
macchina e poi una sequenza di spari. Un’esecuzione in piena
regola, in pieno giorno a Torino.
Sul posto accorrono subito gli ex colleghi di Vivaldi, non solo quelli della Mobile, ma anche gli investigatori della Digos, perché il morto non era uno qualunque:
«Antonino Strangio…» «Quello Strangio ? U Tignusu ?» Ripeto.
«Già…» Cazzo. Se mi hanno visto e riconosciuto sono un uomo morto.
Antonio Strangio, ndranghestista che era stato al vertice di enormi traffici tra cui quello di armi verso paesi africani. Si può dire una vecchia conoscenza di Vivaldi che, assieme a Meucci, era aveva indagato a lungo su di lui fino a farlo arrestare.
Ma poi erano
subentrati i servizi e Strangio era improvvisamente sparito dalla
circolazione, forse una nuova identità in cambio della rivelazione
dei suoi segreti.
E ora, dopo quasi trent’anni, questa morte,
questo “delitto sotto la Mole”: per quale motivo era tornato a
Torino “U Tignusu”? Che traffici stata mettendo in piedi adesso?
Le indagini, coordinare dal pubblico ministero, sollevano subito problemi di rivalità tra la Mobile e la Digos (stava forse recuperando del materiale per un attentato), dentro cui si insinuano pure i cugini dell’Aise, che mettono sul piatto una soffiata che parlava di un container di esplosivo scomparso proprio a Torino.
Ma ci si può fidare dei servizi?
All’improvviso Vivaldi e Meucci si ritrovano nuovamente sul campo, coinvolti loro malgrado in questo caso spinoso: non solo perché Vivaldi è stato testimone del delitto, ma per le loro passate indagini sui traffici criminali del morto.
Da una parte c’è l’istinto di “sbirro”, quello che ti fa scattare crescere l’adrenalina in corpo e la voglia di dare una risposta a tutti i perché del delitto.
Dall’altra però, nei due poliziotti ora pensionati, c’è l’impressione di essersi ritrovati nel mezzo di un gioco più grande, come due pedini che, all’occorrenza potrebbero essere anche sacrificate.
E allora la tentazione di mollare tutto, di scappare da Torino, dal delitto Strangio, da quell’indagine pericolosa e dai contorni sfuggenti, è tanta.
Mi sento dannatamente solo. E se da una parte seguirei Meucci in una fuga strategica, dall’altra sono intimamente curioso di sapere, scoprire la verità. Questa indole bastarda che mi insegue con il fiato sul collo e che mi porterà alla tomba.
Il racconto si sdoppia, alternando i capitoli, tra l’indagine su Strangio e i suoi perché, con la storia di Daniela.
All’improvviso deve fare i conti con la morte della sorella Irene, di dieci anni più giovane, finita sotto le ruote di un tram per un incidente stradale. Tanti anni prima aveva abbandonato la famiglia e Asti in cerca di una sua libertà a Torino, una rottura che in questi anni non si era mai risanata.
Già, sua sorella, questa sconosciuta. In fondo non l’aveva mai capita. Altra generazione, mentalità. Forse non ci aveva nemmeno provato più di tanto. Chissà.
Dopo anni senza
avere sue notizie, Daniela si ritrova nell’appartamento di Irene
alle prese con le tante domande a cui non aveva voluto dare risposta
nel passato.
Perché quella fuga a Torino? Aveva trovato poi una
sua dimensione, una sua vita, nella città della Mole? Degli amici,
un amore..
Fino alla scoperta di un diario.
Il destino ha voluto che sua sorella le parlasse da morta, che le raccontasse delle cose, che la coinvolgesse. Non può essere un caso, no. Quel diario era lì per lei. Per nessun altro. Sono affari di famiglia.
La storia raccontata nel diario personale di Irene porta Daniela a compiere una sua indagine sulla morte della sorella che, all’improvviso, da sconosciuta che era, prende forma e voce. Iniziando a parlarle della sua vita. E dei suoi
Come due rette non parallele, queste due storie, le indagini pericolose di Vivaldi e l’indagine sono destinate ad incrociarsi, una sola volta, in un sorprendente gioco di enigmi e inganni.
Interessante la scelta del doppio binario, non parallelo, con cui si sviluppa il racconto. Bello e realistico il racconto della Torino che sta dietro le due storie: la ex città industriale trasformata in città multietnica dall’immigrazione dai paesi del sud del mondo, crocevia di traffici criminali che sfuggono ad uno sguardo superficiale sulla ciittà.
L’unica nota negativa, il come l’autore racconta i pensieri dei protagonisti, che ho trovato poco realistico.
Buona lettura!
La scheda del libro
sul sito di
Frilli Editore
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