30 dicembre 2025

Il cuore della foresta, di Amity Gaige


 

Incipit (preso da il mestiere di leggere)

Cara mamma,

una volta mi chiamavi Sparrow.

Perché Sparrow? Perché i boschi sono pieni di passeri e tu andavi pazza per tutto ciò che sta all’aperto. Gli uccelli, i fiori di campo, il vento. Sapevi leggere il tempo come una poesia.

Ma perché ti ricordavo un passero e non un altro uccello canoro? Non mi è mai venuto in mente di chiedertelo. Con quelle guance bianche e le parti basse sporche, i passeri comuni sono dappertutto. Mendicano ai tavolini all’aperto e saltellano sulle panchine in città. Fanno il nido nei comignoli e sulle travi, e perfino nei tubi di scappamento. I passeri non sono un granché belli, ma sono svegli. Abili. Minuscole asce di guerra con le piume.

I passeri sopravvivono.

Mi piace pensare che intendessi questo.

Il sentiero degli Appalachi, 3000 chilometri da percorrere a piedi seguendo la catena montuosa lungo la costa orientale degli Stati Uniti, dalla Georgia al Maine.

Perché una persona dovrebbe affrontare le fatiche di questo sentiero, le rocce da scalare, i boschi fitti da attraversare?

Per ritrovare sé stesso – direbbero i protagonisti di questo romanzo corale, dove l’autrice (lo racconta a fine libro) prende spunto da un vero fatto di cronaca, per raccontarci la storia, anzi, più storie di persone che perse e poi ritrovate.

La protagonista, che conosceremo quasi solo attraverso le pagine del diario scritto nel fitto dei boschi del Maine, si chiama Valerie Gillis, è un’infermiera che a quarantadue anni che ha preso la decisione di avventurarsi lungo questo percorso, assieme a tanti altri sconosciuti, col soprannome di Sparrow, come la chiamava la madre.

Tutti hanno un motivo per fare il sentiero.

E non è mai perché sono amati e in pace.

Il mio qual era?

Be’, immagino che fosse guarire.

La sua scomparsa, denunciata dal marito che la seguiva, nei punti di incontro in prossimità dei rifugi lungo il sentiero, fa partire le ricerche da parte del corpo di polizia Forestale del Maine, coordinate dal tenente Beverly Miller.

Beverly, una delle prime donne ad entrare in questo corpo (e che per questo ha dovuto superare le diffidenze dei colleghi maschi) sa che sono i primi giorni quelli più importanti, dove la percentuale di trovare un escursionista smarrito su quelle montagne, sono più alte.

È difficile capire che boschi sono questi finché non li vedi. Non sono boschi normali con dolci pendenze piene di luce che filtra tra i rami e grandi alberi che creano un sottobosco ordinato. Sono boschi fitti, boschi da strega, scuri di muschio, dove gli alberi lottano per la luce dalle radici alla chioma, tutto si tende verso l’alto, perfino le pianticelle che spuntano dall’humus di foglie. Questi boschi sono un caos di roccia, terra, rovi e radici. Hanno un odore pungente, quasi di sangue. Più che camminare i cercatori strisciano, districano, si fanno strada a fatica.

Ma le cose non si mettono bene: nel racconto si alternano le pagine del diario di Valerie che lascia come un messaggio dentro la bottiglia, come testimonianza del suo essere ancora viva. In queste pagine viviamo fisicamente assieme a lei la paura del buio, dell’essersi perso, della fame, dell’assenza di qualunque contatto con altre persone, con i capitoli dove Beverly deve affrontare la stessa fatica per setacciare quei boschi senza potersi fermare. Perché ci sono dei genitori che aspettano la figlia, perché c’è il timore nel non farcela (il 97% dei casi risolti significa un 3% di scomparsi non ritrovati).

Accanto alle voci delle due donne, se ne affiancano altre: quella di “Santo”, il ragazzo di colore, sovrappeso, che aveva conosciuto Valerie proprio su questo sentiero che però aveva dovuto lasciare per un problema familiare.

Poi la voce di Lena, una scienziata che vive in una casa di riposo, su una sedia a rotelle. Che da questa storia, l’infermiera scomparsa nel buio della foresta, rimane ossessionata perché le ricorda la sua di storia.

Il motivo per cui Lena non va mai in sala mensa è che non vuole sentire domande sulla “storia della sua vita”. Come fai a raccontare la storia della tua vita a comando? Quanto dev’essere lunga? Cosa devi lasciar fuori per buona educazione? E che succede se le parti della tua vita che più interessano a te sono quelle che meno interessano agli altri?

Sembra di essere dentro un thriller per la tensione che si accumula capitolo dopo capitolo: assistiamo al decadimento fisico di Valerie, che si trova a familiarizzare coi ciocchi del bosco, con la radura, col ruscello, pur di non perdere la ragione. E dall’altra parte, la frustrazione di Beverly, quando i giorni passano e tutte le piste, le battute per le ricerche, si rivelano infruttuose.

Ma al centro del libro, nel suo “cuore” c’è il tema delle relazioni personali tra le voci del racconto, in particolare le relazioni madre figlio e padre figlio.

Le lettere, in forma di diario, che Valerie scrive alla madre, come testimonianza solida dell’amore che le lega. Nonostante tutto.

C’è la relazione, interrotta, tra Beverly e la madre, che sta morendo in un ospedale: Beverly che si è sempre accusata di essere una persona poco “comunicativa”, lei che pranzava sempre da sola in un tavolo da due. Lei che si era dovuta allontanare da quella madre così “normale” che non riusciva a comprendere le sue scelte, come quella di entrare in un corpo maschile come la Forestale del Maine.

Ma c’è anche il rapporto – anche questo interrotto – tra Lena, la scienziata, appassionata di piante, abituata ad osservare anche la vita degli altri attraverso un microscopio, e la figlia a cui non è mai stata capace di comunicare il suo affetto.

Ha trascorso gran parte della sua vita adulta guardando in un microscopio. Gradualmente, questa azione aveva affossato la sua capacità di individuare minime differenze in quasi tutte le categorie. Analisi della scrittura, biologia, micologia, canto degli uccelli. Aveva osservato sua figlia con la stessa attenzione. aveva visto Christine. E poi si era sentita dire che non aveva visto. Che non aveva amato.

Lo stesso “Santo”, il compagno di viaggio di Valerie, ha scelto il sentiero degli Appalachi, per dare una risposta ai giudizi impietosi e duri del padre.

Si parla di affetto, di amore, di relazioni e anche di perdono. Della difficoltà nel dire “scusami”. Il viaggio nel cuore della foresta, diventa anche un viaggio alla ricerca del proprio “cuore”, inteso come senso più profondo della nostra esistenza, il chi siamo, quel significato alla nostra esistenza che tutti cerchiamo, non solo queste fragili-forti-emozionanti voci femminili.

La scheda del libro sul sito di NN Editore

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