31 agosto 2016

Lumen, di Ben Pastor

Incipit
Cracovia, Polonia. Venerdì, 13 ottobre 1939La scritta in polacco dipinta sul cartello esortava: Fate bene attenzione, e i caratteri ebraici, poco più sotto, ribadivano verosimilmente lo stesso concetto. Sul muro tutto intorno erano affisse illustrazioni a colori dell'alfabeto. Per la lettera L, la figura rappresentava una bambina intenta a spingere una carrozzina di bambola.
D'un tratto l'odore di carne straziata si fece pungente, crudo. Gli salì alle narici senza alcun preavviso, e Bora si allontanò di scatto dalla parete per spostarsi al centro della stanza, verso un infermiere militare in guanti e mascherina chirurgica. Alle sue spalle, dalle tre finestre spalancate che inondavano di luce l'aula scolastica, entravano il sole calante e una tiepida brezza pomeridiana. Avevano accostato sei banchi dalla parte del lato corto, a due a due, e i corpi in uniforme vi erano adagiati sopra, su dei teli cerati.
Il sangue gocciava dai bordi dei banchi, dalle fessure fra i margini dei teli. Le pozze più larghe stavano già coagulando, e la loro superficie rifletteva la luce delle finestre. Bora rimase a fissare quel baluginio prima di avvicinarsi con un cenno d'assenso all'infermiere.
A uno a uno osservò i corpi, e per ciascuno pronunciò un nome a bassa voce: una voce calma, controllata, repressa con rigore.
L'infermiere aveva in mano un taccuino, e ce li scrisse sopra. Quando Bora sollevò lo sguardo dal terzo cadavere, i suoi occhi incrociarono la stampa vivida della bimba con la carrozzina sulla parete di fronte. Lale. Dorotka ma lale, c'era scritto.- Pensavamo che lei fosse la persona più indicata per identificarli, capitano, visto che era nella macchina dietro di loro...

A più di due anni dalla guerra civile in Spagna e dall'inchiesta sulla morte del poeta Garcia Lorca (“La canzone del cavaliere”) e a pochi mesi dall'inchiesta sulla spia americana tra gli invitati giapponesi (“Il signore delle cento ossa”), in questo romanzo ritroviamo Martin Bora (il personaggio seriale creato dalla scrittrice Ben Pastor), qui col grado di capitano e con un incarico nei servizi a seguito dell'esercito tedesco. Siamo a Cracovia nei mesi successivi la guerra lampo contro l'esercito polacco.

Come negli altri romanzi, la guerra è lontana, ci troviamo ben distanti dai campi di battaglia e dal fronte. Eppure le cicatrici della guerra sono ben evidenti: per le scene di devastazione nella città, ora occupata dalle truppe tedesche e dove le SS proseguono la loro opera di caccia ai nemici del Reich. Per esempio ebrei, ma anche gli intellettuali, i professori ..
La guerra è lontana ma si continua a sparare: nelle città e nelle campagne, per le rappresaglie che colpiscono i civili, colpevoli solo di aver aiutato dei soldati sbandati.
L'eco degli spari arriva fino alle orecchie dell'Abwher presso cui Martin Bora presta servizio: è anche questa la guerra? La guerra che non distingue tra soldati e civili, dove si uccide nelle fosse comuni, dove si bruciano villaggi e case, come dei barbari incivili?
Questa guerra le offrirà il frutto proibito, capitano. – Mi aspetto che lo faccia, signor colonnello. Ma penso di avere ancora libertà di scelta... – Oh, la morderà, quella mela, eccome se la morderà

Si formano le prime crepe dentro il suo animo, di ufficiale che ha prestato giuramento nelle mani di Hitler, ma anche di uomo che ha alle spalle studi di filosofia e un'educazione cattolica.
In un mondo di omicidi di massa, Bora però si trova coinvolto nell'omicidio di Madre Kazimierza, badessa del Convento di Nostra Signora delle Sette Pene, considerata una santa dai suoi concittadini per le stigmate sulle mani, per le sue visioni.
Il suo motto era Lumen Christi Adiuva Nos (ovvero Luce di Cristo aiutaci) e un fascicolo su di lei è presente negli archivi delle SS, chiamato appunto “Lumen”.
Lei stessa aveva detto, come una premonizione, che attraverso il suo nome sarebbe morta ..

Martin Bora è incaricato del caso: è stato anche uno dei primi ad accorrere nel chiostro, richiamato dal suo superiore Hofer, che andava dalla badessa nella speranza di un miracolo per suo figlio.
Ma l'inchiesta si presenta complicata: per la reticenza delle suore nel voler collaborare con un ufficiale di un esercito occupante. Stesse difficoltà che arrivano poi dalle SS stesse, restie a condividere alcunché con la Wehrmacht.

L'unica persona con cui riesce ad instaurare un rapporto di fiducia, per le indagini, è padre Malecki, un sacerdote americano mandato dalla Santa Sede per indagare sui presunti miracoli di Madre Kazimierza.
Matka Kazimierza... Matka Kazimierza è un’istituzione a sé. Qui in Polonia la chiamano la «Badessa Santa». Tutti parlano delle sue visioni di eventi a venire, e la si dice dotata di poteri mistici,..

Chi ha sparato alla madre? Cosa ci facevano quelle armi polacche poi ritrovate nel convento?
Aveva forse dei contatti con la resistenza polacca? E se fossero stati i tedeschi stessi ad ucciderla …

Martin Bora si trova invischiato anche in una storia personale che coinvolge il suo compagno di alloggio, e la sua amante, una cantante lirica.

Che senso ha indagare su un singolo omicidio, in un mondo dove si continua ad uccidere?
Ci sono le persone fucilate dalle SS per la strada, le prime deportazioni nei ghetti degli ebrei, spogliati di tutto (Bora incontra qui un suo insegnante di piano “ci portano a un campo, domani; un posto migliore, dicono ..”). Le razzie dei tedeschi, la pulizia delle SS, di tutto ciò che suona come antitedesco.
Nel libro viene citato, quasi di sfuggita, l'episodio del Massacro di Katyn”, l'eccidio degli ufficiali polacchi da parte dei servizi russi.
Capitano, quell’ufficiale polacco lancia un’accusa molto pesante. Che prove abbiamo? – Il prigioniero mi ha dato una lista di nomi che potrebbero essere comunicati alle autorità russe per mezzo della Croce Rossa. I gradi gerarchici delle vittime vanno da capitano in su...

Sono morti che pesano sull'alleanza, molto traballante, tra russi e tedeschi, il patto Molotov Ribbentrop con cui Hitler e Stalin si erano spartiti la Polonia.
Ma ci sono anche le fosse comuni delle tante morti per la “barbarie” germanica: crimini di guerra che Bora prende nota e che riferisce ai suoi superiori, per sentirsi rispondere “Indurisca il suo cuore; è il consiglio che hanno dato a noi tutti all’inizio della campagna, ed è un buon consiglio. Le farà bene nella vita. Lei è solo un giovane ufficiale pieno di scrupoli”.

Nel romanzo ritroviamo un personaggio realmente esistito, il generale Blaskowitz, comandante in campo delle armate tedesche: veramente il generale raccolse le prove dei crimini di guerra e delle atrocità delle SS, riportandole fino a ad Hitler, che lo destituì dal comando. Bora stesso, per il suo zelo, per il voler denunciare quanto visto, si mette in cattiva luce nei confronti dei superiori e delle SS.
Come si può conciliare le fosse comuni, gli omicidi indiscriminati, con la sua fede, con i suoi valori di uomo e non solo di soldato?
Il suo stesso patrigno, il generale Sickingen, lo mette in guardia: non potrà continuare a prestare fede al giuramento ad Hitler e al suo onore:
Adesso hai giurato fedeltà a quell’uomo – non al Paese, ma a quell’uomo – e sei vincolato dalla tua parola. Che Dio ti protegga quando arriverà il momento di scegliere fra il tuo onore e qualunque altra cosa venga oggi chiamata così in Germania.

Il romanzo finisce con la separazione tra Bora e padre Malecki, ciascuno per la sua strada: il giovane ufficiale verso una promozione, ora che ha visto coi suoi occhi la crudeltà del mondo e questa l'ha profondamente amareggiato nell'anima. Ancora vivo, ma con le prime ferite nell'animo.
E il prete americano, anche lui allontanano dalla curia di Cracovia, per non incattivire troppo i rapporti coi tedeschi.
Altre storie, altre battaglie, altri dolori attendono il giovane ufficiale Martin Bora: tedesco di Lipsia ma con sangue inglese nelle vene e con un'educazione che l'ha portato anche in Italia. Altre storie di guerra, in un mondo dove tutto è confuso e dove è sempre più difficile essere soldato e uomo.

Il prossimo racconto, in uscita per Sellerio, si intitola “I piccoli fuochi” e sarà ambientato in Francia nel 1940. Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

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Come è unita questa Europa

L'Europa viene tirata in ballo per ogni dove, dall'emergenza profughi all'emergenza terremoto all'emergenza terrorismo.
Serve una soluzione europea per l'accoglienza dei profughi, si diceva. Sono passati mesi e ancora la stiamo aspettando, una soluzione accettata da tutti i paesi.
E, nell'atteggiamento da tenere nei confronti di Turchia, Libia, Siria, ogni paese fa storia a sé. 
La Libia (o meglio il governo provvisorio di Serraj) può ricattarci (chiedendo soldi) usando l'arma dei profughi e del petrolio.
Lo stesso fa la Turchia di Erdogoan facendo leva sul rapporto privilegiato con la Germania.
Per l'Egitto, è bastato seguire l'inchiesta di Presa diretta sul caso Regeni per capire come stiano le cose.

L'Europa serve come scudo per nascondere le ipocrisie dei singoli stati, dove contano più i rapporti economici che le questioni su diritti civili.
L'intelligence europea? Lo scambio di informazioni? La divisione dei flussi dei migranti?

Ma l'Europa val bene quando si tratta di trovare una scusa su bilanci e conti.
Renzi avverte l'UE - titolava ieri l'Unità : "Quel che serve lo prendiamo".
Servono i 2 miliardi l'anno per il piano Italia, senza mettere altre tasse o fare altro debito.

Certo, se i precedenti governi ci avessero pensato per tempo alla messa in sicurezza del territorio, avremmo poi potuto risparmiare quei miliardi impiegati per la gestione dell'emergenza. E ora non dovremmo chiedere altra flessibilità.
E lo stesso vale per l'emergenza per gli sfollati, per la ricostruzione (non sempre fatta rispettando le regole), per i profughi, per i centri di accoglienza ..

Così, mentre l'Europa rimane al suo posto, scopriamo (per usare un eufemismo) che un paese membro come l'Irlanda è stata multata dall'Europa stessa per la tassazione favorevole concessa alla Apple.
Apple ha tirato fuori la minaccia dei posti di lavoro (forse lo spot "stay hungry", significava questo, affamare i paesi) e Turchia e Gran Bretagna si sono già fatti avanti per prendere il posto dell'Irlanda.
Ma come è unita questa Europa ..

30 agosto 2016

I pugnalatori di Leonardo Sciascia

«Fino a tutto il 1860 io fui avvocato patrocinante in Ivrea. Con Regio Decreto 17 dicembre 1860, fui nominato sostituto avvocato dei poveri a Modena coll'annuo stipendio di lire 3000. Con decreto 25 maggio 1862, fui nominato Sostituto Procuratore Generale del Re presso la corte d'Appello di Palermo collo stipendio di lire 5000».

Il breve saggio di Leonardo Sciascia ripercorre l'inchiesta del Sostituto Procuratore Generale Guido Giacosa sul “fatto criminale” 1 ottobre 1862 : 13 persone in 13 diversi punti della città accoltellate da sicari vestiti nella stessa maniera (così li descrissero le vittime nei primi resoconti).
Alla stessa ora, in diversi punti della città tra loro quasi equidistanti, una stella a tredici punte sulla pianta di Palermo, tredici persone venivano gravemente ferite di coltello, quasi tutte al basso ventre. «I feriti dànno tutti gli stessi contrassegni dei feritori, i quali vestivano a un solo modo, erano di pari statura, sicché vi fu un momento che si poté credere fosse un solo. Fortunatamente ...»”

La contemporaneità degli eventi e la descrizione degli assalitori portarono subito gli inquirenti ad ipotizzare una congiura, un delitto organizzato per tempo, un “attentato contro l'attuale forma di governo”.
Quale lo scopo? Gettare nel caos la città, creare discredito nell'amministrazione della città? Eravamo nei primi anni dell'Unità d'Italia e già succedevano storie di delitti politici, che poi avremmo rivisto negli anni della strategia della tensione.
Il libro, infatti, racconta attraverso le lettere, gli atti, le relazioni del procuratore Guido Giacosa, dell'inchiesta sui pugnalatori. Di come si fosse arrivato quasi da subito ad arrestare i responsabili degli accoltellamenti.
Di come uno di questi arrestati, Angelo D'Angelo, in cella, avesse confessato ai magistrati i nomi dei tre reclutatori, Castelli, Masotto e Calì.
E, infine, anche della persona che in alto loco, aveva pagato i “tarì” per compiere i delitti: il senatore (per censo, perché ancora non valeva il suffragio universale) Sant'Elia.
Principe di Sant'Elia, senatore per censo: aveva cariche dal governo borbonico, col ritorno dei Borboni sull'isola nel 1849, allontanato dalle cariche, fu esule per pochi mesi nel 1860.«Costretto dalla polizia borbonica ad esulare nell'aprile del 1860», non sappiamo dove, si ritrovò in Sicilia nel maggio: e la tempestività e il poco prezzo con cui si conquistò il titolo di esule, che molto poi gli valse, può anch'essere casuale; ma noi crediamo s'appartengano alla peculiare disposizione della sua classe – in lui magari più pronta e affinata – a mutar tutto, e anche se stessa, per non mutar nulla, e tanto meno se stessa: e rimandiamo a I vicerè di Federico De Roberto e a Il gattopardo di Giuseppe Tomasi.

Borbonico prima e poi uomo della rivoluzione coi Savoia e con Garibaldi, che aveva salutato l'unità nazionale e per questa investito parte dei suoi averi. Politico, dunque, capace di sentire dove soffia il vento e di mettere le vele nel verso giusto.
Lo scrupolo del Giacosa nel compiere le indagini, che sono complesse anche per i depistaggi della polizia, perché coinvolgono un esponente del Senato che aveva avuto cariche dal governo, emerge dai suoi scritti. Le accuse di D'Angelo sono vere oppure è solo una calunnia? E perché il Sant'Elia avrebbe organizzato questo “crimine contro il governo”?
“.. perché il principe di Sant'Elia si metteva a cospirare contro un governo che non gli era avaro di cariche e onori? E la risposta che si erano dati, che Castelli si dava parlando col Mattania, non era diversa di quella che se ne dava il procuratore Giacosa. Era una risposta, diciamo, di specie storica e, si direbbe oggi, sociologica. «Quelli che sanno leggere e scrivere ed hanno denaro» diceva Castelli «non sono mai contenti, cospirano sempre per guadagnare da tutti; e noi che siamo poveri esponiamo la vita e dobbiamo soccombere, ché non li accuseranno mai, non siamo infami come D'Angelo ..»”

Ma questa è solo una risposta generale, sullo spirito gattopardesco della classe politica siciliana (di ieri, e anche di oggi?).
Ma, spiega Sciascia, c'erano anche altre questioni, legate al malcontento del governo sabaudo in Sicilia:
C'erano altre ragioni d'ordine generale e che ci avvicinano a capire quelle particolari, personali del Sant'Elia. Per queste ragioni, a dispiegarle, il richiamo di Castelli al 1848 è assolutamente pertinente: e si vedano le ritrattazioni, le giustificazioni, le richieste di perdono, le profferte di eterna devozione alla dinastia dei Borboni che quasi tutti i nobili siciliani indirizzarono a quel re Ferdinando di cui nel parlamento «rivoluzionario» - da pari, da deputati – avevano entusiasticamente proclamato la decadenza.[..]Leggendoli è facile immaginare come la stessa classe, le stesse persone, fossero dopo quattordici anni disponibili a risalutare la restaurazione borbonica, a chieder perdono a Francesco II dei loro brevi errori [..] garibaldini e savoiardi.In quel 1862 le condizioni della Sicilia dovevano apparire del tutto eguali a quelle del 1849: tali cioè che sarebbe bastato lo sbarco di qualche reggimento borbonico in un qualsiasi punto della costa a far sì che tutta la Sicilia violentemente insorgesse contro i piemontesi.[..]La delusione per i Savoia era enorme: le tasse, la leva obbligatoria, la predazione della borghesia fondiaria e infine il problema dell'ordine pubblico”.

Giacosa e Mari (procuratore e giudice istruttore) procedono con gli arresti e le perquisizioni delle persone coinvolte, sia il Sant'Elia che altri preti dell'arcivescovado palermitano.
Arrivano anche a reclutare un “undercover”, Orazio Mattania, un criminale uscito dalla galera, che viene fatto avvicinare in carcere ai tre reclutatori e successivamente infiltrato dentro la struttura, per acquisire altre prove di colpevolezza contro i mandanti di alto livello.

Ma le prove dell'accusa, le confessioni di Angelo D'Angelo, sufficienti a portare alla ghigliottina i tre reclutatori e a decine d'anni di lavori forzati i pugnalatori, non sono sufficienti per arrivare così in alto.
Troppo in alto.
I due giudici avevano in mano solo indizi e mancavano loro le prove per chiudere l'inchiesta e per procedere contro il Senatore che, nel frattempo, veniva difeso dai suoi colleghi in commissione e veniva pure visto sfilare, in processione alla Cappella Palatina, in rappresentanza del re, il venerdì santo.
Continua Sciascia, su Giacosa e Mari 
“.. chiedevano di poter trattare il principe come qualsiasi altro cittadino indiziato di un così grave reato; come quegli altri che erano già in carcere. «Scindere questo processo» scrive Guido Giacosa «non si può. Conservar ciò che si riferisce agli altri, eliminare ciò che si riferisce al Sant'Elia, è impossibile. Accusare, giudicare, forse condannare gli uni, mentre l'altro, confuso nelle stesse prove, menzionato negli stessi documenti, oppresso dagli stessi argomenti, se ne va libero, onorato, potente, sarebbe tale un fatto che pregiudicherebbe in modo troppo pernicioso ogni sentimento di giustizia e screditerebbe la magistratura e le patrie istituzioni»”.

Nella relazione al Guardasigilli scritta da Giacosa (prima del suo ritorno in Piemonte) traspare tutta la sua delusione, lui uomo di legge chiamato ad amministrare la giustizia, di una legge da applicare in ugual modo per tutti. E dove invece si è trovato di fronte a depistaggi dall'interno della stessa "amministrazione":
«.. che alla prima cospirazione tendente a gettare il paese nell'anarchia, ora si è sostituita una seconda che ha per iscopo di eliminare ad ogni costo tutto ciò che potrebbe condurre allo scoprimento della prima; e la sparizione del primo rapporto da me compilato, sparizione che non si può credere casuale, ne è la prova luminosa».

L'autore che, evidentemente parteggia per il lavoro scrupoloso del procuratore:
Credeva di dovere la sua sconfitta, la sconfitta della legge, la sconfitta della giustizia, alla Sicilia: alle «abitudini, le tradizioni, l'indole, lo spirito di questo disgraziato paese, assai più ammalato di quanto si presuma». La doveva invece all'Italia.

Come in molti altri saggi di Sciascia, il finale lascia un amaro in bocca, con la sensazione che il nostro paese non sia mai stato innocente, nemmeno nei primi anni dell'Unità:
Ad un certo punto del suo intervento sull'interpellanza La Porta, Francesco Crispi aveva detto: «Penso che il mistero continuerà e che giammai conosceremo le cose come veramente sono avvenute».Si preparava così a governare l'Italia.

La scheda del libro sul sito di Adelphi.

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Grazie Gene!


- Dr. Frankenstein: Che lavoro schifoso!
- Igor: Potrebbe esser peggio.
- Dr. Frankenstein: E come?
- Igor: Potrebbe piovere!

dal film "Frankenstein Junior" (qui lo spezzone con questa scena) di Mel Brooks, con Gene Wilder e Marty Feldman.

Si vede che lassù avevano voglia di farsi due risate: 
"presto dategli un SE...!, un SE..?, UN SE-DA...! Un seda...no? un SE-DA-DA..! Un sedada...vo?..."

Il caso Regeni a Presa diretta

La prima puntata della nuova stagione di Presa diretta è cominciata col terremoto in centro Italia: il viaggio verso i luoghi del terremoto è stato un deja vu: come Onna, le case di Amatrice erano con un tetto sproporzionato per il peso.
Da anni si parla di prevenzione, ora Renzi ha lanciato il “Piano Italia”, vedremo se manterrà le attese.

Ma al centro della puntata l'inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni: morto per le torture, dice l'autopsia. I genitori hanno raccontato della fatica dei suoi studi, all'estero. “Per la nostra generazione studiare era il massimo”: questo era il ragazzo, felice e appassionato nel suo lavoro, morto a Il Cairo a fine gennaio.
Doveva tornare a Cambridge il 23 marzo. Ora a volere la verità sulla morte di Giulio Regeni ci sono i genitori in prima fila, ostinati a non volere che questa storia finisca nel dimenticatoio.

L'inchiesta ha permesso di scoprire che ci sono altri casi Regeni in Egitto: sono 1600 i ragazzi spariti in questi anni, dicono le associazioni non governative.
Allora le domande da farsi sono queste: perché è stato torturato e poi ucciso? Che cosa faceva paura del suo lavoro?
Un'inchiesta difficile, perché dire Regeni in Egitto è pericoloso.
Inchiesta difficile per il ruolo che Al Sisi e l'Egitto hanno verso l'Italia, per la lotta al terrorismo e per le questioni commerciali. Un paese sotto dittatura dove i diritti umani non sono rispettati.

Il terremoto del 24 agosto.
Noi non impariamo mai niente, nemmeno dal terremoto dell'Aquila del 2009.
Questa la prima lezione appresa da Riccardo Iacona, nel suo viaggio sui luoghi del terremoto: in proporzione ha fatto più morti de l'Aquila, ha ucciso di più, perché?
Amatrice come Onna: i muri non hanno retto il peso del tetto in cemento armato. Muri senza malta, in ciotoli: in queste case non ci tiri fuori nessuno – raccontava il professor Moretti, venuti qui a studiare il terremoto.
Il terreno è saltato in aria durante le scosse, continua il professore spiegando come fosse importante studiare i terreni, le sollecitazioni cui le case sarebbero sottoposte.
Se ci fosse stato questo studio avremmo potuto salvare delle vite.

Da Amatrice, ad Accumoli ad Arquata, nelle Marche: paesi abbarbicati sulle colline sulla linea della scossa.
Pescara sul Tronto è un borgo del 400: è crollato su se stesso, perché anche qui i tetti, rimasti integri, erano in cemento armato e hanno sepolto le case. E le persone.
Un crollo che non ha lasciato scampo alle persone.

A Norcia, in prov. di Perugia i palazzi non sono crollati: molti si sono lesionati ma non ci sono stati morti e la città è rimasta viva.
La scossa è stata forte: ma qui le case erano sicure, case ristrutturate con criteri anti sismici, sia le case private che quelle pubbliche. Dopo il terremoto di fine anni '90 si è deciso di mettere la città in sicurezza.
Sono interventi che costano un 30-40% in più delle ristrutturazioni normali, ma sempre meno dei costi della ricostruzione, oltre i costi in vite umane.

Iacona è tornato anche a L'Aquila: nel centro della città c'è un silenzio che fa paura. Solo 80 case sono abitabili, ma mancano i servizi come l'acqua. Per far entrare le case mancano ancora altri fondi, circa un miliardo.
Questa città è stata abbandonata dai suoi abitanti: la gente è scappata e anche le attività commerciali. Il decreto Barca destinava fondi importanti per la ripresa economica, ma ancora devono arrivare parte dei soldi del 2012.

Questo è quello che si rischia a Amatrice e negli altri paesi.
Ma quello cui puntare, oltre a ricostruire in fretta, è ricostruire secondo i principi della prevenzione.
Eppure noi italiani siamo all'avanguardia in queste tecniche: speriamo che siano incluse nel progetto voluto dal governo, il “Piano Italia”, alle parole devono seguire i fatti.

Verità per Giulio Regeni.
Il racconto sulla morte di Giulio è partito dall'intervista ai genitori: “tutti i nostri sostenitori ci chiedono di andare avanti nella nostra lotta”.
L'Italia ha fatto tutto il possibile per salvare Giulio? “Noi speriamo di sì”, la risposta della madre.

Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio ed è stato ritrovato ad inizio gennaio: in quei giorni una delegazione italiana era in Egitto. Il ministro Guidi aveva chiesto notizie ad Al Sisi.
La missione viene poi annullata, il 3 febbraio, dopo una telefonata di un funzionario del ministero degli esteri egiziano, comunicato all'ambasciatore Massari.

Proprio Massari fu il primo a riconoscere il corpo: i genitori lo videro dopo qualche giorno a Roma. Un corpo martoriato: “sul viso ho visto il male del mondo, che si è riversato su di lui”.
Regeni non aveva documenti con se: come facevano gli egiziani a conoscere la sua identità, ancor prima che qualcuno ne effettuasse il riconoscimento?
Prima anomalia.

Il corpo è stato torturato, a lungo: Giulio stava facendo una ricerca sui sindacati indipendenti a Il Cairo per l'università di Cambridge.
Aveva un appuntamento con un amico, professore universitario. Un altro amico, ricercatore, ha rilasciato l'intervista, senza mostrare il volto per non essere riconosciuto per strada.
Si sono scambiati un messaggio poi nulla: ha cercato di ricontattarlo ed era preoccupato perché il 25 gennaio era l'anniversario della rivoluzione. Era pericoloso girare per le strade e per le piazze.
Nel 2014, un ragazzo italiano che cercava di riprendere le immagini degli scontri, fu rapito e messo in carcere. È vivo perché è stato visto da colleghi italiani che hanno avvisato il consolato.
Un caso Regeni mancato.

A pochi giorni dal rapimento, la polizia egiziana era più interessata a depistare le indagini: lo racconta l'amico egiziano di Giulio. Domande sull'orientamento sessuale.
Le prime ipotesi della polizia parlano di delitto sessuale, poi incidente ..

Alessandro Accorsi è un giornalista free lance: era in Egitto ma ora si è trasferito a Londra, perché troppo pericoloso. A lui, amici comuni, hanno raccontato di come i servizi segreti si fossero interessati a Giulio ben prima del rapimento.
Perché Giulio era controllato dai servizi? Un altro episodio lo conferma: fu fotografato da un donna durante una riunione sindacale avvenuta a dicembre.

La polizia egiziana montò poi la pista dei rapitori, uccisi dalla polizia: la sorella di uno dei ragazzi uccisi ha smontato la tesi, con molto coraggio. I documenti di Giulio furono portati nell'appartamento di uno dei rapitori uccisi dalla polizia stessa.

Depistaggi e disinformazione sono montate da polizia e istituzioni governative: i media egiziani, legati agli apparati di sicurezza in buona parte, portano avanti queste ricostruzioni, che identificano Giulio come una spia.

A Washington Giulia Bosetti  ha incontraro l'ex colonnello Afifi, della polizia egiziana. Ora è in esilio in America: le sue fonti in Egitto gli hanno raccontato del rapimento il 25 gennaio, del primo pestaggio e poi il trasferimento in una sede dei servizi.
Il ministro degli Interni e i consulenti per la sicurezza di Al Sisi sapevano del rapimento e delle torture: queste servivano a carpire le sue fonti, come spia, i suoi contatti, i suoi obiettivi.

Le fonti di Afifi hanno raccontato come, dopo la morte di Giulio, gli apparati del governo hanno preparato il depistaggio e fatto scoprire il cadavere.
Certo, anche quello che dice l'ex colonnello può essere un depistaggio.
Se fosse vero, però, significa che dentro i servizi egiziani ci sono persone che conoscono la verità.

Bosetti è andata così in Turchia, dove sono scappati diversi esponenti dell'ex governo dei fratelli musulmani. Uno di questi, Amd Arrag, ha raccontato dello scontro tra i servizi civili con i servizi militari. Che vedevano nel ricercatore Regeni come una spia pericolosa, perché lavorava sui sindacati, a contatto con le masse dei lavoratori.

Carlo Bonini, il giornalista di Repubblica, ha scritto un articolo sulla faida dei servizi: in base alle sue di fonti, racconta di come Regeni fosse entrato nel mirino dei servizi nel settembre del 2015.
Era stato aperto un fascicolo, poi passato ai servizi militari.
Dopo la morte, i servizi militari consegnano il corpo ai servizi civili affinché se ne sbarazzino. E questi, per lasciare un segnale preciso, lasciano una coperta militare vicino al corpo.

Dopo sette mesi nessuna verità è arrivata dalle autorità: che fare allora?
I depistaggi servono per far passare il tempo e far cadere l'attenzione sul caso. Tutti quelli che si sono avvicinati al caso, a Il Cairo, hanno fatto una brutta fine: non è facile tirare le fila dell'indagine.

La giornalista è riuscita lo stesso a raccogliere le testimonianze di persone che sono passate per le celle dei servizi militari: in queste sono passate migliaia di desaparecidos, torturati e poi uccisi.
Per aver partecipato a delle manifestazioni o per aver scritto post su Facebook contro il governo.

Le manifestazioni contro Al Sisi sono soffocate col sangue: a venir picchiati e imprigionati sono studenti e lavoratori.
Ci sono altri casi Regeni in Egitto: ragazzi scomparsi, detenuti senza un'imputazione, senza un processo.
Un paese che ricorda il Cile di Pinochet, l'Argentina di Videla: un regime ancora più brutale di quello di Mubarak e dove Al Sisi è preoccupato dal rischio di una rivolta popolare e risponde con la repressione.

Il lavoro di Regeni riguardava i sindacati degli ambulanti, una fetta di lavoratori tra i più poveri.
Giulio ha conosciuto anche il capo di questo sindacato, Abdallah: aveva anche fatto un prestito al sindacato, affinché potesse affittare una sede.
Invece questa persona ha dichiarato che Giulio volesse comprare dagli ambulanti delle informazioni sul regime. Ambulanti che sono sospettati di essere degli informatori dei servizi.
Un giornalista egiziano che si è occupato del caso solleva il sospetto che sia stato proprio questo Abdallah ad aver denunciato Giulio ai servizi.

È stata proprio la disorganizzazione dei sindacati indipendenti ad aver portato al fallimento della Primavera araba: organizzazioni che controllano milioni di lavoratori e che ora, perché si stanno organizzando come strutture, preoccupano il regime.

“E' doloroso pensare che Giulio avesse messo il dito in questa piaga” - racconta la madre.
In che gioco si era infilato, inconsapevolmente, Giulio? Lui era in Egitto per fare solo una ricerca. E l'istituto per cui Regeni lavorava si è rifiutata di collaborare con le nostre autorità.

A Cambridge Giulia Bosetti ha cercato la tutor di Giulio: lei con gli investigatori italiani è stata reticente, si è rifiutato di parlare con la nostra polizia.
Nessuna intervista nemmeno con la Bosetti, per non mettersi in cattiva luce col regime.
Giulio era in Inghilterra da 10 anni: nemmeno il governo inglese ha avuto una forte reazione dopo la sua morte.

L'Italia è il terzo partner commerciale con l'Egitto, ma questo paese è anche importante per gli equilibri internazionali: lo stesso Renzi, in una intervista su Al Jazeera ha definito Al Sisi un grande leader.
Dopo tante crisi, tensioni, l'Egitto sta investendo nel suo futuro: questo diceva Renzi.
Poi è arrivato il rapimento di Regeni: tre fattori influenzano i rapporti con l'Egitto, la questione emigranti, i rapporti geo politici, i rapporti economici.
Questo dicono gli analisti: questi fattori influenzano quello che l'Italia può fare contro l'Egitto. Non possiamo permetterci di rompere del tutto i rapporti con Al Sisi.
Il regime egiziano ha i soldi degli americani, si è avvicinato alla Russia, ha contatti coi paesi europei: Al Sisi può giocare su più tavoli, dunque.

Bosetti ha sentito anche il senatore Barani: in un'intervista aveva dichiarato che la morte di Regeni era voluto da qualcuno che intendeva rovinare i rapporti tra Italia e l'Egitto. Un complotto, per sostituire l'Italia, per esempio nell'estrazione del gas dal Mediterraneo.
C'è dietro la mani dei servizi inglesi? Ci sono interessi dei francesi?

E i diritti civili? Migliaia di posti di lavoro sono legati alle relazioni con l'Egitto, ci spiega Barani.
E la nomina del nuovo ambasciatore è visto, dal ministro degli esteri egiziano, come un segnale di distensione.
A questo punto la domanda da farsi è se il governo italiano abbia fatto tutto il possibile.
Secondo i genitori non dobbiamo dare nessuna immagine distensiva: ci aspettiamo tante risposte dall'Egitto.
Per l'Egitto passano tante cose – continua la madre: rapporti economici e politici. Chi sono i veri interlocutori del governo? Renzi e Gentiloni oppure Barani?

Vogliamo una verità vera e abbiamo bisogno di una politica vera, per raggiungerla – l'appello finale della madre.




29 agosto 2016

Presa diretta - Chi ha ucciso Giulio Regeni?

Chi ha ucciso Giulio Regeni?
Chi aveva paura del suo lavoro da dottorando in Egitto? Nell'Egitto del dittatore Al Sisi, che è anche un partner commerciale importante per la politica energetica (leggetevi il libro sull'Eni, Lo stato parallelo) del nostro paese.
Queste le domande che l'inchiesta di Presa diretta si farà nel corso del servizio di questa sera.

Se fosse un giallo, sarebbe una storia che piacerebbe poco ai lettori.
Un morto. Un responsabile facilmente individuabile. Una prima versione dei fatti imbarazzante e poco credibile.
Gli investigatori che, almeno inizialmente, si muovono con cautela.
E poi quando iniziano a chiedere agli investigatori ufficiali dati e informazioni, incalzati dall'indignazione delle persone che chiedono giustizia e verità, vengono subito stoppati.

Chi leggerebbe un libro con una storia del genere, senza nessun finale, dove ogni tentativo di avvicinarsi ai responsabili si infrange contro un muro di gomma?
Già, il muro di gomma, come la metafora inventata per il caso Ustica, uno dei misteri d'Italia, o forse sarebbe meglio dire dei segreti d'Italia.
E il caso Regeni, nonostante le ripetute rassicurazioni del governo italiano, rischia di diventare questo. Un altro segreto italiano.
Una storia che deve finire nell'oblio, perché non interessa a nessuno andare avanti a scavare.
Nell'oblio la morte di un ragazzo italiano che stava compiendo degli studi in Egitto, l'oblio sui depistaggi del governo egiziano e della polizia egiziana, l'oblio sul rifiuto di collaborazione da parte dell'università inglese per cui Giulio lavorava. L'oblio sulle torture. L'oblio sulle menzogne.



Questa sera in esclusiva Presa diretta manderà in onda l'intervista al colonnello Afifi (oggi in esilio) di Giulia Bosetti, una delle persone che sostiene di conoscere la verità sulla morte di Giulio: "Regeni è stato arrestato e torturato da poliziotti in borghese e da uomini dei servizi segreti perché sospettavano che fosse una spia straniera che stava svolgendo attività di spionaggio in Egitto".

I giornalisti hanno raccolto diversi dubbi sulla deposizione del leader del sindacato degli ambulanti a Il Cairo: a parlare è il giornalista egiziano Ahmed Ragab "Mohammad quando l'ho intervistato, ha parlato male di Giulio, dicendo che sospettava che fosse una spia straniera e che per questo i loro rapporti si erano deteriorati. Questo è una bugia, perché è stato Giulio Regeni invece ad allontanarsi da lui, dopo che Mohammad Abdallah gli aveva chiesto del denaro. Ho saputo che Mohammad Abdallah chiedeva continuamente a Gulio Regeni soldi, cellulari, viaggi, regali. Io penso che sia stato Muhammad Abdallah a denunciare Giulio".

Infine, l'intervista ai genitori di Giulio: “tutti ci chiedono di andare avanti” hanno raccontato di fronte a Riccardo Iacona.
Un'inchiesta importate, a cui Giulia Bosetti ha lavorato per cinque mesi. Come spiega lo stesso Iacona nella presentazione del servizio sul Fatto Quotidiano: 
".. le nostre sono sempre inchieste-evento perché bisogna legare insieme tutto ciò che non capiamo e ci getta nel panico, la cronaca e la crisi economica e le guerre, ora anche il terremoto. Le cose vanno capite in profondità, non possiamo rimanere schiacciati da un racconto di superficie che fomenta le paure della gente e riempie, anche di voti, i serbatoi degli xenofobi".


TERREMOTO ZERO PREVENZIONE. 
Nel corso della puntata si parlerà anche d'altro: un'intera pagina sarà dedicato al terribile terremoto del 24 agosto in centro Italia. Presa diretta si era occupata di terremoti, di ricostruzione e delle norme antisismiche (non sempre rispettate) nelle precedenti puntate dedicate al terremoto del 2009 a L'Aquila.
Iacona e i giornalisti della trasmissione sono andati ad Amatrice e negli altri luoghi colpiti dalle scosse: in questi piccoli comuni ci sono state quasi le stesse vittime del terremoto dell'Aquila (che furono 309). Come è possibile tutto ciò? Come si è costruito in questi comuni? Ci sono state morti che potevano essere evitate?
Perché in Italia si parla di prevenzione solo DOPO che avvengono le tragedie?
Si può parlare di una tragedia annunciata?

LA RESISTENZA VERDE.
Infine, una storia positiva: il successo dell'impresa di Daniela Ducato, nel Sulcis che in pochi anni è passato dalle miniere alla miseria.
Con la sua impresa di bio edilizia, trasforma le eccedenze delle lavorazioni agricole, in materiali per l'edilizia.
Il servizio è di Danilo Procaccianti e sul sito dell'Unione Sarda trovate un'anteprima:
Sarà Daniela Ducato, la protagonista della storia positiva della prima puntata della nuova stagione di Presa Diretta, la trasmissione di inchiesta in onda domani su Raitre.A incontrare l'imprenditrice è stato il giornalista Danilo Procaccianti, autore del servizio "La resistenza verde" che verrà trasmesso domani in chiusura del programma di Riccardo Iacona.Daniela Ducato ha avuto una grande intuizione: trasformare le eccedenze delle lavorazioni agricole in materiali per l’edilizia. Qualche esempio?Dalle eccedenze del latte si ottengono collanti per le pareti; dalla lana delle pecore isolante termico; dalla sottolavorazione dell’olio d’oliva un prodotto che va a dare fortificazione alla malta.La storia nasce nel Sulcis, uno dei territori più poveri d’Europa con più di 30.000 disoccupati su 135.000 abitanti.Abituata alla cultura della “resistenza e non dell’assistenza” Daniela ha fondato l’associazione Casa Verde CO2.0, una rete di decine di aziende – in Sardegna ma anche nel resto d’Italia – unite dai valori della bioedilizia. Una filiera che sta producendo centinaia di nuovi posti di lavoro e prodotti richiesti in tutto il mondo.L’ultimo nato è il disinquinante Salvamare Geolana SeaCleanup, un ‘mangia petrolio’ in pura lana nato grazie alla collaborazione con l’Università degli Studi di Cagliari, in particolare con i dipartimenti Scienze Biomediche e di Ingegneria Sanitaria.

La scheda:
Riparte PRESADIRETTA di Riccardo Iacona, dal 29 agosto ogni lunedì in prima serata. Nella prima puntata ci sarà una pagina straordinaria, dedicata alla tragedia che ha colpito il centro Italia: TERREMOTO ZERO PREVENZIONE. Riccardo Iacona è stato ad Amatrice e negli altri comuni colpiti a raccontare la cronaca delle scosse che continuano, la cronaca di una tragedia annunciata. Perché ancora una volta si torna a parlare di prevenzione solo dopo la tragedia? Nei piccoli comuni colpiti il numero dei morti ha quasi raggiunto quello causato nel 2009 dal terremoto dell’Aquila, all’epoca un Comune di quasi 80mila abitanti, dove i morti furono 309.  Perché tante vittime anche oggi nonostante il sisma abbia colpito piccoli e piccolissimi centri? Quanti morti potevano essere evitati?Un nuovo ciclo di PRESADIRETTA, 5 puntate con diverse inchieste ogni settimana, che toccheranno i temi più caldi dell’attualità e alcune tra le tematiche care a PresaDiretta. Una nuova stagione ancora più ricca e combattiva.Si comincia con un’importante inchiesta,  CHI HA UCCISO GIULIO REGENI?  e con un’ESCLUSIVA: l’intervista di Riccardo Iacona a PAOLA e CLAUDIO REGENI, genitori di Giulio il giovane ricercatore italiano di 28 anni sequestrato e ucciso in circostanze ancora misteriose al Cairo. E’ la prima volta che parlano con un giornalista e la loro è un’intervista importante, perché quella di Giulio è una morte ancora senza colpevoli. “Abbiamo bisogno della politica italiana. Noi dobbiamo arrivare alla verità diretta, vera, non finta” (Paola Regeni).Con l’inchiesta CHI HA UCCISO GIULIO REGENI?  PresaDiretta  dunque, prova a raccontare la personalità  del ricercatore italiano barbaramente ucciso e a ricostruire cosa è accaduto davvero in Egitto. A chi può aver dato fastidio il lavoro di Giulio Regeni? Chi ha voluto che fosse catturato e torturato? Quanto conta per l’Occidente l’Egitto, come ago della bilancia nel tormentato scacchiere mediorientale?  Quali speranze abbiamo di ottenere la verità?PRESADIRETTA ha lavorato mesi per ricostruire i fili di questa storia, per gettare luce su un terribile omicidio sul quale dalle autorità egiziane, a sette mesi dal ritrovamento del corpo, non e’ arrivata alcuna verità, semmai tanti depistaggi. L’inchiesta e’ stata girata tra l’Italia, gli Stati Uniti, la Turchia, la Gran Bretagna  ed e’ ricca di testimonianze, documenti e interviste in esclusiva. PRESADIRETTA è andata in Egitto, al Cairo, per raccogliere la testimonianza degli amici di Giulio Regeni e ha ricostruito nel dettaglio il lavoro di ricerca svolto dal giovane  italiano. Un lavoro molto duro e pericoloso in un contesto, come quello egiziano,  dove la libertà di stampa è limitata e dove la violazione dei diritti civili e umani è costante e quotidiana.E per chiudere una storia positiva, una storia bellissima. L’abbiamo chiamata RESISTENZA VERDE , perché la protagonista, la signora  Daniela Ducato Cavaliere della Repubblica per meriti ambientali,  con le sue idee “verdi”  sta dando da lavorare a centinaia di persone. E questo accade  in Sardegna, nel Sulcis, dove la disoccupazione ha numeri record, uno dei territori più poveri d’Europa. Una storia che insegna a resistere.“CHI HA UCCISO GIULIO REGENI?”, “TERREMOTO ZERO PREVENZIONE” e “RESISTENZA VERDE” sono  un racconto di Riccardo Iacona con Giulia Bosetti,  Fabrizio Lazzaretti, Danilo Procaccianti, Raffaella Pusceddu, Andrea Vignali, con la collaborazione di Elena Marzano, Raffaella Notariale.  

Il gatto di Georges Simenon

Aveva lasciato andare il giornale, che prima gli si era aperto sulle ginocchia e poi era scivolato lentamente fino al parquet lucido di cera. Non fosse stato per la sottile fessura che di tanto gli si disegnava fra le palpebre, si sarebbe detto che dormiva.Chissà se la moglie ci era cascata ..
Si osservavano a vicenda. Non avevano bisogno di guardarsi. Da anni si osservavano in quel modo, di soppiatto, aggiungendo di continuo al loro gioco nuove sottigliezze.

Emile e Marguerite vivono da anni assieme nella casa in fondo al vicolo cieco di square Sebastien-Doise. Vivono assieme ma non si parlano, solo pochi guardi di soppiatto, spiando ciascuno i movimenti e le reazioni dell'altro.
Perché Emile e Marguerite si parlano solo attraverso dei bigliettini pieni di allusioni e di cattiverie. Quando Simenon ci fa entrare nella loro casa, sono ormai diversi anni che la loro vita va avanti così: bigliettini che lui le lancia col pollice in grembo e che lei fa finta di non vedere.
Bigliettini che lei strappa da un giornale e che vengono lasciati sul pianoforte dell'ex marito, affinché lui li legga.
Gesti ripetuti in modo quasi rituale, in giornate il cui scorrere del tempo è scandito dall'avanzare delle lancette.
Lui che spacca la legna. Lei che si prepara la colazione leggera.
Lui che si prepara la carne, solo per se e che, sempre da solo, si lava la sua padella.
Lei che sferruzza a maglia.
La cena solitaria.
L'andare a far la spesa, seguendo gli stessi negozi, come se nemmeno si conoscessero.
Non una parola.
Solo i bigliettini: “Il gatto” .. “Occhio al burro” ..

Con un meccanismo di flash back, usando la memoria di Emile, il lettore scopre come si è arrivati a tutto questo. A quando, anni prima, mentre era ammalato, scoprì il suo gatto, Joseph, morto in cantina. E il sospetto che fosse stato ucciso dalla moglie che non ne poteva del suo russare, quel modo di osservarla.
Marguerite e Emile si sono risposati dopo la morte dei rispettivi consorti: lei che proviene da una facoltosa famiglia caduta poi in disgrazia, proprietaria delle case del vicolo che porta pure il suo nome. Sposata con un violinista, Frederic, le cui foto, assieme a quelle dei genitori, riempiono le pareti di casa. “Era considerata un'aristocratica dal quartiere, una che vive in un mondo a sé..”.

Lui, di tutt'altra estrazione: muratore e poi ispettore dei lavori pubblici, una vita nei cantieri e poi, nel tempo libero, assieme alla prima moglie Angéle: “per tutta la vita aveva compiuto gli stessi gesti alle stesse ore”.

Il gioco: 
“ci sono bambini che, per un determinato periodo di tempo, ripetono ogni giorno, a un'ora fissa, lo stesso gioco, apparentemente con immutata convinzione. Fanno «come se».La differenza era che Emile Boin aveva settantatré anni Marguerite settantun. Inoltre, il loro gioco durava da ben quattro anni, ed essi non davano segno di stancarsene.

Torniamo così indietro nel tempo, attraverso i ricordi di Emile, al giorno della scoperta della morte del gatto, della sua furia, del sospetto rivolto a lei, che non aveva mai accettato quel gatto e forse non aveva mai accettato nemmeno lui del tutto.
L'essersi sfogato contro Coco, il pappagallo di lei, l'altro animale della casa, strappandogli le penne.
Il gatto e il pappagallo. Simboli della personalità dei protagonisti di questo racconto: il gatto, randagio e indipendente era di Emile. Il pappagallo di bella presenza ma con le ali tarpate e tenuto sul classico trespolo era di Marguerite.

Sempre attraverso i ricordi, scopriamo come i due si erano conosciuti, vedovi, un giorno in cui lei aveva avuto bisogno di un uomo in casa, per un problema ad un tubo. Quei pomeriggi in cucina e poi in sala da pranzo a prendere un caffè.
E infine il matrimonio.
Non ce l'aveva con lei. Ce l'aveva con se stesso, per averla sposata, perché non era l'uomo adatto a renderla felice.Come gli era potuta venire quell'idea? Ci aveva pensato spesso, dopo. Chi dei due aveva fatto il primo passo?

Ecco, a quel primo passo, il non rivolgersi più la parola, si era arrivati dopo tanti piccoli passi precedenti: il non sopportare certi piccoli gesti di lui, come il pulirsi i denti con un fiammifero, l'odore pestilenziale del sigaro.
Il non sopportare quella certa leziosità nei gesti di lei, il sentirsi estraneo nella casa, da parte di lui.
I suoi modo grossolani.
La prima notte passata assieme, dove lui aveva cercato di fare l'amore e lei si era irrigidita, lui allora le aveva chiesto scusa.
«Perché?»«Perché ti chiedo scusa?»«Perché non continui e non ti soddisfi? Ti ho sposato, ed è mio dovere subire anche questo».

Anche questo. Quanti significati poteva avere quell'anche?
Fino al giorno del gatto. E del pappagallo. Che lei fa impagliare per averlo ancora accanto a se. Eterno e immobile come gli altri oggetti nella casa.
E quel biglietto, il primo di lei, in cui gli spiegava come nulla la obbligasse a rivolgergli la parola e che pure lui si astenesse a sua volta.

Un gioco, ma anche un modo di comportarsi crudele e perfino puerile. Due persone che non si parlano ma che convivono sotto lo stesso tetto e che passano la giornata a spiarsi, a seguire i rumori l'uno dell'altro, per cercare di intuirne i pensieri e le mosse.
Compiacendosi delle piccole crudeltà di quei bigliettini.
“Fra loro due, ora, c'era una vera guerra vera, ancora più appassionante”.

E se ora lei volesse avvelenare anche lui? Emile prova a scappare di casa, andando a vivere da un'ostessa, Nelly. Ma quella vacanza era durata solo 11 giorni.
Per poi tornare a casa.
Parecchie volte, in quel periodo, Emile era stato sul punto di parlarle, di dirle una cosa qualunque, parole che le fossero di conforto. Ma sapeva che che ormai era tardi, che non potevano più tornare indietro.Certe mattine, dopo una notte in bianco, Marguerite tornava ad essere aggressiva. Un giorno Buoin, ansioso di assistere al procedere dei lavori del vicolo, che ormai seguiva con interesse, non si era fatto la doccia. Più tardi, nella giornata, aveva trovato un messaggio sul pianoforte:FARESTI MEGLIO A LAVARTIPUZZI

Nessuno dei due poteva deporre le armi. Era diventato la loro vita. Mandarsi biglietti velenosi era per loro naturale e necessario, esattamente come per altri scambiarsi baci o gentilezze.

Ancora una volta Simenon imbastisce per noi una storia tanto assurda da sembrarci reale, con un romanzo basato principalmente sui pensieri e sui comportamenti di Emile, osservati e descritti da un narratore esterno

“Il gatto” è la storia di una coppia che si ritrova prigioniera di se stessi, incapaci di sfuggire ai loro silenzi e di sfuggire l'uno con l'altro. Una storia di debolezze e di crudeltà. Di persone che nel loro gioco hanno trovato l'unico modo di sfuggire alla morte.
E ancora una volta ci troviamo, come lettori, di fronte a due personaggi straordinari nella loro pazzia, nella loro quotidiana violenza psicologica, nel loro vivere nel mondo ma isolati dal mondo.
Prigionieri del loro odio e della loro paura della solitudine, fino alla fine.

La scheda del libro sul sito di Adelphi

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

28 agosto 2016

In assenza di vere notizie (le polemiche d'estate)


Prima della scossa di terremoto del 24 agosto, in assenza di notizie vere o, più verosimilmente, nel non volerne vedere, quest'estate abbiamo assistito a polemiche pretestuose, superficiali, da bar di paese.

La questione del burkini.
La vignetta sulla Boschi.
E poi, le solite promesse sulle tasse da abbassare.
Le sventure previste per l'Italia se non passasse la riforma costituzionale voluta dal governo.

Partiamo dal burkini: non pensavo fosse possibile che tante persone che ritenevo di sinistra, difendessero "il diritto di indossare un abito".
Come se le donne musulmane fossero veramente libere nel vestirsi come vogliono, come se il burka o il burkini in spiaggia fosse una libera scelta come quella delle suore, come ha voluto far intendere l'imam di Firenze col suo post su FB.

Dimenticantosi che le suore sono spose a Dio, mentre le donne musulmane sono spose al limite ad un uomo e basta.
Come se dietro non ci fosse una questione a monte più importante: perché solo le donne devono nascondere il proprio corpo?
Perché in questa religione è amessa la poligamia e non il contrario, una donna con molti mariti?

La nostra Costituzione non ammette che ci siano discriminazioni per credo politico, per religione o sesso.
Quello che i sostenitori del burkini (e dei matrimoni combinati, e delle donne recluse in casa, e del velo integrale) richiedono non è allora contro la nostra Costituzione?

I difensori del velo e costume integrale sostengono che non si può imporre un divieto (come successo in Francia con una legge poi sospesa) alle donne sul modo di vestirsi. Che non si può imporre loro di scoprire le gambe.
Mentre invece si può accettare che una religione lo imponga.

Cosa direbbero queste persone, che magari si ritengono liberali e democratici, trovandosi di fronte una persona col passamontagna, vestita di nero, in metropolitana, alla stazione del treni, dentro un locale pubblico?


Sempre sul corpo delle donne, la polemica (sui social) la polemica per la vignetta di Mannelli, protagonista il ministro Boschi con la scritta "lo stato delle cosce". L'immagine era tratta da una foto vera del ministro, la battuta, forse non riuscita, intendeva dire che dietro la riforma, solo la bella immagine. E le tante gaffe del ministro, a cominciare da quella sui partigiani veri che votano sì al referendum.
Un po' come la caratterizzazione che ne aveva fatto due anni fa Virginia Raffaele, col suo "shaba". Anche allora polemiche, accuse.
Quell'imitazione non ebbe seguito da parte della Raffaele, che però può prendersi beffe di Belen (e di Donatella Versace), senza che questo susciti troppe polemiche.


Il metodo della fenice: La terza indagine del commissario Casabona, Antonio Fusco

Incipit
Il colpevole era nudo. Giaceva privo di sensi sul pavimento della stanza. Il narcotico gli aveva fatto perdere conoscenza e non si era ancora ripreso. Il piccolo ambiente dalle pareti bianche era illuminato solo da una lampada d’emergenza. Non c’erano aperture che lasciassero filtrare la luce naturale, ...

Un uomo rinchiusa in una stanza della tortura con tante domande e senza più voce per aver gridato invano al suo carceriere.
Un corpo semi carbonizzato ritrovato in una discarica.
Un delitto che sembra risolversi in fretta, forse troppo in fretta …
Ma dietro la soluzione, facile, si apre uno spiraglio che porta dritto ad una comunità che si occupa di adolescenti senza famiglia e dentro cui è difficile avvicinarsi.

Questi tutti gli ingredienti del terzo noir del criminologo Antonio Fusco, con protagonista il commissario Casabona e i suoi colleghi della squadra Mobile della Questura di Valdenza, nome inventato di una cittadina di provincia, vicino Firenza.
Siamo nella bella e romantica provincia Toscana, regione che sa anche nascondere storie delittuose piene di sangue e violenza.
Il caso da cui parte tutta la storia è il ritrovamento, a seguito di una telefonata anonima, del cadavere di una giovane donna, strangolata con un sacchetto di plastica e semi carbonizzata.
Accanto al corpo, un peluche colorato.
Il corpo della donna aveva assunto una posizione plastica. Dava le spalle alla strada ed era girato su un lato, completamente nudo, sopra un cumulo di calcinacci lasciati da qualcuno che aveva voluto liberarsene in modo sbrigativo ed economico”.

Casabona è il primo ad accorrere sul posto, prima che arrivino i suoi collaboratori, l'ispettore Proietti e il sovrintendente Bini: da giorni, a seguito della separazione dalla moglie, vive in un alloggio dentro la Questura.
Non è uno di quei funzionari di polizia di primo pelo, alle spalle ha tanti, forse troppi anni alla Mobile: seguiamo i suoi pensieri da sbirro..
La scena del crimine è come la pellicola di un film i cui fotogrammi siano stati tagliati e buttati via in modo casuale. Sparsi tutto intorno senza una logica precisa. È compito degli investigatori ritrovarli uno per uno e rimetterli insieme nell’ordine corretto..”

… e di uomo: nonostante tutte le morti morti cui ha assistito, nessuna lo lascia insensibile e nella testa iniziano a girare le prima domande. Chi era la ragazza morta, come un manichino bruciato? Cosa c'è stato all'origine del delitto? Su quali altre persone si riverserà il contagio del male ..?
Se fosse possibile, basterebbe non amare per bloccare le conseguenze del male. Diventare insensibili al dolore altrui. Se fosse possibile…”.

Il caso sembra uno di quelli destinati a risolversi in fretta: grazie alla testimonianza di un esponente di una comunità che vive nei boschi, si riesce a risalire alla macchina che ha scaricato il corpo della ragazza e al suo proprietario. La pista porta subito ad un probabile sospettato, un porno attore noto nella zona, Luca Simoni:
uno a cui piace fare la bella vita e spassarsela con le donne. Fa l’attore porno per una casa di produzione amatoriale”.

Incrociando i tabulati telefonici e le amicizie del ragazzo, si riesce a risalire anche all'identità della ragazza: Tania Orlosky, una ragazza ucraina di ventiquattro anni, ufficialmente ballerina nei locali, in realtà una entraineuse come tante altre ragazze dell'est.

Ma Luca Simoni è morto, finito in fondo ad un lago, affogato. Un suicidio forse.
Caso chiuso, allora?
Non per Casabona, secondo cui “le soluzioni troppo rapide e precise mi lasciano sempre un’ombra di dubbio”.

Perché nel frattempo, ai dubbi di Casabona (l'assenza di un movente per esempio) si aggiungono altre cose che non tornano: il DNA del presunto assassino viene ritrovato dentro un fascicolo di un “cold case”, passato all'Unità delitti insoluti, presso la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Come quello di Loretta Magnani, uccisa dentro una cascina nel 1970.
Come è possibile?
Chi ha scritto la lettera anonima che ha fatto riaprire il caso è stato riaperto dopo tanto tempo?

La squadra di Casabona inizia a fare delle domande sul passato di Simoni, che da piccolo era finito in una comunità che accoglie bambini senza genitori in attesa di essere adottati, la comunità “La siepe”. Anche qui recentemente è avvenuto un fatto di sangue: il direttore della struttura ha trovato la figlia morta, in casa, e per il dolore è finito in una struttura psichiatrica.
La giovane, che si chiamava Laura, si era scambiata parecchi SMS negli ultimi mesi con Simoni.
Ma si è veramente suicidata, come ha stabilito l'inchiesta? Oppure anche questo è un delitto mascherato? Il padre, dopo giorni di mutismo, di fronte alla dottoressa che l'ha in cura, se ne è uscito con una frase che riapre il caso:
«Renzo, potresti ripetere, per cortesia?». «Mia figlia non si è suicidata. È stata uccisa. Ne sono certo.»

Ma alle prime domande, ai primi tentativi di avvicinarsi alla comunità, Casabona viene stoppato malamente. “La siepe” è una comunità su cui è difficile perfino fare domande, figuriamoci entrare.
Una comunità florida, frequentata da politici, magistrati, giornalisti.

Così, per trovare il filo che unisce le morti di Tania Orlosky, Laura Chellini e Loretta Magnani, si dovranno muovere con molta cautela, sfruttando i propri contatti in modo non ufficiale. Perché l'intrigo, la matassa, man mano che si cerca di ricomporre i pezzi, diventa sempre più complicato e vasto:
«Proviamo a ragionare un attimo. Abbiamo due donne trovate morte, a più di trent’anni di distanza, nella stessa zona. Tralasciando, per il momento, la figlia di Renzo Chellini.[..]
Poi abbiamo due uomini, la cui morte è riconducibile a un eccesso di alcol, che sono i perfetti candidati per essere considerati i loro assassini.

Non aspettatevi un lieto fine alla fine del racconto: Casabona e i suoi uomini riusciranno ad impedire alla “Fenice” che da il titolo al libro di risorgere dalle sue ceneri, ma i veri responsabili dietro rimarranno intoccabili.
Ma questa volta è il turno di Casabona stesso, di risorgere ad una nuova vita, rimettendo nell'ordine giusto le priorità della sua vita. Per cercare di risistemare i suoi problemi familiari con la moglie. Mettendo da parte tutto l'orrore che gli anni di lavoro hanno lasciato dentro:
Questo lavoro mi è entrato dentro al punto da condizionare il mio modo di vedere il mondo. I miei occhi sono diventati come una lente deformata, piegata dal male con cui abbiamo a che fare tutti i giorni[..] Questa indagine mi ha lasciato dentro una sola cosa positiva: mi ha insegnato che è sempre possibile ricominciare da capo”.

Il metodo della Fenice è un noir ben scritto che porta il lettore dentro il lavoro di investigazione: nella storia ritroviamo tutta l'esperienza dell'autore, Antonio Fusco funzionario di polizia, che è stato bravo nel raccontare, in modo preciso, il lavoro di squadra, le regole, le routine, i rapporti con la stampa e coi superiori, con la loro ansia di arrivare a risultati in tempi brevi (e bravi nell'evitare rogne se l'inchiesta tocca persone importanti) ..
Molto reale e credibile il protagonista delle storie di Fusco, il commissario Tommaso Casabona qui alla terza indagine (Ogni giorno ha il suo male e La pietà dell'acqua i precedenti romanzi), e di cui siamo curiosi di conoscere il futuro, sia dal punto di vista professionale, come poliziotto. Sia dal punto di vista personale.

La scheda del libro sul sito di Giunti editore (da cui potete leggere un estratto)

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