25 agosto 2018

Le persiane verdi di Georges Simenon



Incipit

Era strano: il buio che lo circondava non era il buio immobile, immateriale, negativo a cui siamo abituati.Gli ricordava piuttosto il buio quasi palpabile di certi incubi della sua infanzia, un buio minaccioso, che a volte di notte lo assaliva a ondate come a volerlo soffocare.

Maugin, il grande Maugin, attore di teatro e stella del cinema: un bell'uomo, alto, muscoloso, con quel suo ghigno sul volto spigoloso, quasi tagliato con l'accetta, con cui ha conquistato le platee e in special modo le donne.
Giunto alla soglia dei sessant'anni, al culmine di una carriera nel mondo del cinema lo incontriamo in una serata piovosa dentro lo studio medico del dottor Biguet, per una visita al cuore.

Così, mentre fuori la pioggia bagna le strade di Parigi, dentro lo studio del celebre medico (quasi quanto lui, nel suo campo) il grande Emìle Maugin scopre di avere un cuore di uno di settantacinque anni. Certo, a settantacinque anni ci possono essere ancora davanti tanti anni di vita, ma niente eccessi, ridurre gli impegni sul set.

«Mi ha detto che deve fare cinque film. E che ha le repliche dello spettacolo fino al 15 marzo. Che cosa potrebbe modificare del suo stile di vita?»«Niente!»«Da parte mia, l'unica cosa che posso fare è evitarle il dolore o il fastidio degli spasmi».Buttò giù una ricetta su un blocco, strappò il foglio e glielo tese.«Non crede di essersi preso una rivincita sufficiente?»Aveva capito. Anche lui si era dovuto prendere una rivincita, ma probabilmente si era ritenuto soddisfatto il giorno in cui, a ventotto anni, era diventato il più giovane professore di medicina.

Mentre il grande Maugin non si era mai fermato da quando, a quattordici anni, era scappato da casa e dalla miseria, con quei 15 centesimi con cui si faceva pagare dagli amici per toccare la sorella.
Non si era fermato quando era arrivato a casa del fabbro.
Non si era fermato quando era arrivato a Parigi e cercava la fortuna cantando nei locali con un'ortensia finta all'occhiello.
Non si era fermato quando aveva cominciato a lavorare in teatro e dove aveva raggiunto una certa notorietà.
E nemmeno ora, a 59 anni, da 10 anni un attore di fama che poteva permettersi di includere un auto e un'autista nel contratto con le case di produzione.

Ma tutto questo non fermarsi ha lasciato un segno: per esempio quella bottiglia sempre presente nel camerino, per riuscire a tenersi su e che l'accompagna anche fuori, anche nei bar

"Bevve il terzo bicchiere a occhi chiusi. Poi ne bevve un quarto e solo allora si eresse in tutta la sua altezza, spinse il petto in fuori, gonfiò le guance e tornò a essere quello che tutti erano abituati a vedere. Si guardò intorno, osservando le facce che fluttuavano tra le nuvole di fumo, e contrasse le labbra in una smorfia, la sua famosa smorfia, feroce e patetica insieme, che alla fine produsse l'effetto desiderato, li fece ridere, come a teatro faceva ridere la platea, il tipico riso nervoso di chi per un attimo ha avuto paura."

Quel carattere scorbutico nei confronti di tutti, dalla vestiarista Maria, al segretario Jouve, ai colleghi sul set.
E poi c'è il giovane Cadot, un ragazzo che tratta male ma che segretamente aiuta perché figlio non riconosciuto avuto da una donna che lo aveva ospitato nella sua pensione negli anni della fame. Una fame nera che ogni tanto riaffiora nei suoi ricordi.

Tante donne, usate e abbandonate, per le sue voglie. Tre mogli e nessun figlio. La prima, Consuelo, che gli aveva lasciato quel senso del peccato.
Yvonne con la sua storia delle “persiane verdi”, un ricordo che ritornerà nel finale e in cui verrà svelato il suo significato.

Anzi, una figlia c'è, Baba, una bimba riconosciuta come sua ma in realtà frutta di una relazione breve di Alice, l'ultima moglie, con un ragazzo che ritornerà poi nel racconto.
Tutto il mondo sembra ruotare attorno ai suoi desideri, alle sue bizze, ai suoi eccessi, fino a quella rivelazione sul suo cuore.
Che inizia a fargli temere la morte, morire da solo, senza nessuno a fianco.

Perché Maugin è in realtà un uomo in fuga.
Aveva fame e scappava dalla fame. Viveva in mezzo al tanfo degli alberghi malfamati e scappava dal senso di nausea. Era scappato dal letto delle donne che aveva posseduto, perché erano solo donne e niente di più, e quando si trovava di nuovo solo beveva per scappare da sé stesso.Era scappato da tutte le case in cui aveva abitato e in cui si sentiva prigioniero, scappato fino ad Antibes, e poi scappato da Antibes .. Era – scusa, Gidoin – scappato dall'atelier puzzolente di rue du Mont-Cenis.Dio, da quante cose era scappato e come si sentiva sfinito!


Il titolo “Le persiane verdi” è d'altronde eloquente: la casa che Yvonne, la seconda moglie aveva comprato per loro e dove sognava di poter costruire una famiglia, una vera famiglia.
Scontrandosi col suo sguardo diffidente.

A un tratto l'aveva guardato spazientita, forse anche con un ombra di collera. 
«Tu non hai mai sognato una casa con le persiane verdi?» 
«Non mi pare. No». 
«Neanche quando eri piccolo?». 
Lui preferì non rispondere.«Già, ma tu sei del tutto privo di sensibilità. Non hai desiderato nemmeno una donna dolce con cui avere dei figli». 
Lui continuava a tacere, scuro in volto. 
«Forse tu un giorno l'avrai una casa così» sogghignò lei.

Tutto questo tornerà a fargli visita nel finale, che è drammatico surreale allo stesso tempo: il suo passato, le sue donne, compresa quella Juliette Cadot incontrata all'inizio, le sue case, le persone della sua infanzia (il fabbro e la moglie, le sorelle), perfino il suo insegnate che sbatteva la bacchetta sulla cattedra quando lo coglieva con la testa tra le nuvole a sognare.
Il vino, il sesso e le donne, tutto assieme animalescamente.
E la dolce moglie, timida e devota, che guarda con gelosia e a cui riesce a dire solo alla fine che ama.

Nel libro “Le persiane verdi” Simenon ci regala un altro personaggio sorprendente nel suo essere detestabile, nel suo comportarsi da tiranno, che viene raccontato giorno dopo giorno nel suo progressivo estraniarsi alla realtà, fino a vedere la propria vita su due piani, il sogno (e il processo al suo passato) e la realtà (dentro cui non trova pace, nemmeno quando si trasferisce al mare).
Un personaggio così forte non può che essere ispirato a qualcosa di personale e, come racconta Daria Galateria su Robinson, Maugin è ispirato a Simenon stesso e a quei 15 giorni quando gli fu diagnosticato un cuore in rovina ..
Una fase drammatica della sua vita che, anni dopo, nella nuova fase della sua vita in America, ricorderà in questo libro.

La scheda del libro sul sito di Adelphi
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