20 agosto 2020

I supertiti del Télémaque, di Georges Simenon






Non so come funzioni per gli altri scrittori. A me, la voglia di scrivere un romanzo gravido di sole è sempre venuta in Olanda o in Norvegia, o addirittura più a nord, in una piccola isola del Mar Glaciale Artico, quando avevo fame di luce calda, satura del canto delle cicale.
Analogamente, questo inverno, trovandomi in Tirolo, molto al di sopra delle nubi che incombevano sulla valle, davanti a un'abbagliante distesa di campi innevati a perdita d'occhio, mi è venuta la nostalgia di altri inverni, indissociabili per me dall'odore di acquavite e aringhe alla griglia.
Avrei voluto sbarcare a Fécamp, respirare sin dall'arrivo in stazione l'odore pungente del pesce salato, sguazzare nella fanghiglia costellata di scaglie, sfiorare, nei piccoli caffè del porto, i pescatori irrigiditi nelle cerate e, un bel mattino, infilarmi gli stivali di gomma e ripartire per una battuta di pesca nel Mare del Nord.
Con questo paradosso, Simenon ci spiega la genesi di questo romanzo scritto mentre si trovava in vacanza sulle Alpi, con davanti un cielo sgombro da nuvoli e una distesa bianca di neve.
Tutta questa luce, questa nitidezza, portava la sua mente lontano, in uno di quei porti di una delle tante cittadine che si affacciano sul Mare del Nord, in Normandia.
Quelle piccole cittadine dove ci si conosce tutti, dove molte famiglie vivono con la pesca in mare, dove la sera i pescatori e gli altri avventori si riuniscono nelle osterie, come il Café de l'Amiral del romanzo, a raccontare le loro storie, la difficile vita a bordo dei pescherecci, cercando di riscaldarsi e di togliersi di dosso l'umido con un bicchiere di acquavite.
Tra queste storie, anche quelle di naufragi, di barche affondate in mezzo alle onde, le traversie dei sopravvissuti.
Tutto questo è il contesto di questo romanzo, I superstiti di Télémaque, ambientato negli anni 30 nel piccolo paesino di Fécamp in Normandia.
A cause uguali corrispondono uguali effetti e l'arrivo di una nave in porto è sempre preceduto da un viavai metodico e immutabile, anche quando, come nel nostro caso, la nave era solo un peschereccio di Fécamp armato per la pesca alle aringhe.
Non varrebbe dunque la pena parlarne, se non fosse che stavolta c'era un particolare diverso dal solito.
Di diverso, quella mattina, sono i quattro signori venuti da fuori che aspettano l'attracco del Centaure: si scopre poi che si tratta di poliziotti venuti dal capoluogo, Rouen, per arrestare il capitano del peschereccio, Pierre Canut.
Un arresto che suscita una forte reazione in paese, sotto il comune, dove viene condotto l'arrestato, si raduna una folla di persone. Perché tutti conoscono Pierre Canut, anzi i fratelli Pierre e Charles Canut, fratelli gemelli, rimasti orfani da piccoli a seguito della morte del padre, marinaio anche lui.
I Canut erano fratelli gemelli. Avevano cominciato entrambi ad andare per mare, ma poi Charles, che era debole di petto, era stato costretto a ripiegare su un mestiere meno faticoso.
L'accusa che ha portato all'arresto di Pierre riguarda proprio questa storia, una delle tante tragedie del mare: il padre era tra i superstiti su una scialuppa del Télémaque, dove però morì in circostanze mai chiarite del tutto.
Si parlò, nell'inchiesta che seguì, anche di episodi di cannibalismo, tra i sopravvissuti sulla scialuppa. L'ultimo dei quali, l'anziano capitano Février, è stato trovato sgozzato nella sua casa, la Villa dei Gabbiani, poco distante dal paese.
Era tornato dopo anni all'estero a Fécamp: il suo ritorno aveva distrutto del tutto la sanità mentale della vedova Canut, la madre di Pierre e Charles, che accusava Février in pubblico di essere il responsabile della morte del marito.
Di questo è convinto il giudice istruttore, anche per la reazione di Pierre, che pensa sia sufficiente spiegare le cose per uscire da quella situazione.

Tocca così al fratello Charles, che ora entra in scena per rimanervi fino alla fine, darsi da fare per dimostrare l'innocenza di Pierre.
C'è un rapporto particolare tra i due gemelli (e su questo Simenon, si sofferma lungamente): tanto Pierre è uomo di fatica, di azione, tanto Charles è timido, riflessivo, quasi incapace di prendersi una sua iniziativa.
Insomma, tra i due quello intelligente era Charles, con la sua garbata caparbietà, la sua puntigliosità, lo sguardo sempre un po' malinconico. Tanto che quando Pierre aveva preparato l'esame per diventare capopesca e poi capitano di cabotaggio Charles si era dovuto studiare lui tutte le materie per istruire il fratello.
Pierre era il capitano stimato dai suoi uomini in paese, le sue parole erano tenute in considerazione. Charles, invece, era solo l'altro fratello, un incarico nelle ferrovie: entrambi cresciuti da una madre, giovane vedova, alle prese coi suoi deliri contro Fevrier, il morto
Nessuno di loro aveva la più pallida idea di che cosa significava essere nati com'erano loro, venire cullati da una madre che piangeva per ore o parlava da sola con voce straziante.
Qualcosa scatta dentro Charles: si trova all'improvviso dentro un mondo, quello della giustizia, dei tribunali e degli avvocati, con la loro indifferenza nei confronti delle persone, con la fredda burocrazia della persona ricondotta a solo un nome e cognome.
Un nome e un cognome per il giudice, e anche per l'avvocato scelto per la difesa (non avendone uno proprio), a cui Charles vorrebbe perfino revocare l'incarico, per l'istintiva diffidenza che suscita.
.. era come quando, certe sere, la nebbia cala piano piano e finisce per sommergere la città, insinuandosi fin nei minimi recessi.
Avevano in mano Pierre! E credevano di avere in mano lui!
[..]
Basta! Era finita, una volta per tutte! Era deciso a sbarazzarsi da sé stesso, di quel Canut timido e dimesso che era sempre stato.
Per dimostrare a tutti cosa sia capace di fare, Charles porta avanti la sua indagine, facendo domande, seguendo piste, scoprendo quel mondo di segreti nel paese che non conosceva, lui che non si era mai sforzato di comprendere le esistenze altrui.
Non sarà più l'altro fratello, quello senza una vita propria, voleva essere anche lui come Pierre, sorridente e pieno di vita. La vita non potrà più essere come prima, pensa Charles: quelle serate in osteria, le poche parole scambiate con Babette la fidanzata, il rapporto con la madre..
Ma tutti i suoi sforzi, le sue fatiche, saranno però in parte vani. Ancora una volta Simenon mette in scena personaggi costretti a non poter fuggire dal loro destino, dal loro mondo.
Era così e basta! Non si poteva cambiare niente, perché era quello l'ordine naturale delle cose. Quale ordine? Gli sarebbe stato difficile spiegarlo, sapeva che era così, ecco tutto. Pierre doveva continuare a essere Pierre. E perché così fosse, Charles..
La scheda del libro sul sito di Adelphi
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