In ogni delitto che si rispetti c'è
una vittima, non necessariamente un morto, un investigatore chiamato
a risolvere il caso, un primo sospettato del reato che poi, grazie al
lavoro dell'investigatore, viene scagionato. E poi tutte le persone
attorno alla vittima, e magari anche al principale sospettato, tra
cui magari si nasconde il vero responsabile del delitto.
Tre, tra i più importanti scrittori di
giallo italiani di questo momento, si sono cimentati in un
esperimento letterario molto interessante: raccontare un delitto
attraverso tre diversi punti di vista.
Quello dell'investigatore, il
commissario romano Brandi (dello scrittore Giancarlo De
Cataldo), che deve capire chi ha ucciso Giada Colonna, una giovane e
bella ragazza, trovata morta nel suo appartamento per un colpo alla
testa.
Al centro di una parete spoglia, tinteggiata di un vivido giallo, c'è un grande quadro. Il fondo è di un verte raggrumato, a suggerire l'intenzione di marcio. Sul lato sinistro è raffigurata una bambina che sta per accendere un fiammifero. Indossa una tutina rossa che fa risaltare i corti capelli biondi. [..] All'estremità opposta, sulla destra, una gamba sollevata, come di una figura in movimento. Pantaloni scuri e una scarpa bianca con lacci neri, di foggia antiquata. Incongrua, minacciosa.
Brandi un investigatore in gamba, che sa
separare le intuizioni da ciò che viene fuori dall'analisi della
scena del crimine.
Ma sa anche che i delitti nascono dalle
distorsioni dei sentimenti, “le passioni, dai dolori, dagli
interessi e dalle miserie delle migliaia di esseri umani che le
percorrerono”.
Che distorsione può
aver interrotto la vita di Giada, che nella vita lavorare nel mondo
dell'arte, come si evince dalle opere contenute nel suo appartamento
(come quel quadro inquietante, che Brandi chiama “della piccola
fiammiferaia”)?
Una vita
irreprensibile, dicono le persone che l'hanno conosciuta. Nessuna
relazione, nessun amante.
Una vita che ora,
almeno nelle ultime sue ore, viene vivisezionata dalla squadra di
Brandi: le telefonate, gli spostamenti.
Fino a quelle
immagini di una telecamera, di un locale gestito da un prestanome di
un mezzo mafioso. Che la immortalano vicino ad un signore anziano e
poi andare via assieme ad un ragazzo di colore che si scopre poi
essere uno spacciatore.
Chi era Giada
allora? Brandi inizia a confondere i piani, dell'indagine e della
sfera privata, arrivando a sognare questa ragazza. A desiderarla. Ad
amarla..
Giada, che non era
come veniva descritta.
Ci sono tanti
piccoli misteri, come quel messaggio a MV, di cui non si riesce a
risalire al numero.
MV come Marco
Valerio Guerra, che proprio quel quadro aveva regalato a Giada.
“La stavo
aspettando” - dice a Brandi quando questi si presenta alla sua
Fondazione.
Marco Valerio
Guerra (Maurizio De Giovanni) si presenta in prima persona, sin
da subito:
Voi ci credete al destino?No, non rispondete. È una domanda retorica. Per diversi motivi: il primo, fondamentale, è che quello che credete non importa a niente. Proprio niente.Capirete che, premesso ciò, le altre ragioni per le quali la vostra risposta non mi interessa perdono di significato; e tuttavia, volendo approfondire ancora, vi direi che il livello medio della gente, quindi il vostro livello medio, è così basso e prevedibile che non serve a nulla fare domande di cui si conoscono già le risposte. Io, vedete, sono assai più intelligente del più intelligente di voi.
Simpatico, vero?
Marco Valerio
Guerra si racconta in prima persona: dagli inizi, quando dovette
affrontare la povertà dignitosa della sua famiglia, il cui
patrimonio era stato dissipato dal nonno.
Un cognome
aristocratico e basta: ma a compensare questo una forte ambizione e
una grande volontà di conquistare una posizione di potere,
manipolando le persone, convincendole a fare le cose che tornano più
comode ai suoi interessi.
Per non finire come
suo padre, dimesso e debole, “un vaso di fiori in tempo di guerra”,
bello ma inutile, che però un giorno lo presentò ad un suo ex
compagno di classe per una raccomandazione, Sebastiano Carli di
Bosconero.
Di cui Marco
Valerio Guerra divenne suo collaboratore fidato, nel mondo
dell'edilizia (quello dei palazzinari romani), con un primo
obiettivo. Prenderne un giorno il suo posto, sedersi su quella
poltrona.
In che modo?
Raccogliendo informazioni, trovare la “crepa” negli avversari,
non esporsi se non quanto minimamente necessario, nessun vizio,
nessuna dipendenza da lussi, droghe, sesso.
Per il suo
obiettivo, manca però qualcosa: il capitale con cui poter costruire
il suo impero.
Ed ecco allora
entrare in scena la moglie, Anna Carla, conosciuta ad un ricevimento
di quelli dove si fa dell'ipocrita beneficenza e diventata poi la sua
principale alleata, complice, collaboratrice.
Anna Carla
Santucci (Cristina Cassar Scalia), dal punto di vista familiare,
è completamente complementare a Marco Guerra: figlia di un
imprenditore nel ramo dei sanitari (o re dei cessi, come veniva
chiamato nell'ambiente) Remo Santucci, non aveva titoli, non aveva
discendenza nobili, non era nata nell'ambiente dell'aristocrazia
romana. Ma aveva i soldi del padre.
E con i soldi entri
in tutti i circoli che contano, puoi pagarti i migliori studi (per
non essere più un burino come il padre, il “re dei cessi”).
La incontriamo a
Viterbo, alle terme, in compagnie di alcune sue amiche, che rimugina
su quella telefonata ricevuta dal marito, la notte precedente.
Non avrei dovuto dirgli che sarei rimasta qui. Avrei dovuto cogliere la sua richiesta d'aiuto e tornare a Roma subito, senza esitazioni. Se l'avessi fatto, non saremmo arrivati a tanto.Penso e ripenso a quella telefonata. Scompongo il dialogo, lo ricompongo, immagino come sarebbero andate le cose se avessi risposto in modo diverso. Ma la realtà resta uguale, e adesso sembra non esserci più molto da fare. Nonostante l'assurdità della cosa. Nonostante io sia certa che nulla è andato veramente così.
Di cosa sta
parlando, Anna Carla?
La notte precedente
il marito, Marco Valerio Guerra, l'aveva chiamata confessando la fine
della relazione con Giada e chiedendole di ritornare a Roma.
Evento incredibile:
Anna Carla era a conoscenza delle sue relazioni extra, sapendo che
erano tutte destinate a chiudersi senza lasciare traccia.
Perché Guerra e il
suo impero, su cui in tanti hanno cercato di indagare (giornalisti,
magistrati, nemici nel mondo della finanza), non ha crepe.
O forse no.
Il delitto di Giada
Colonna viene raccontato da tre voci diverse, dei tre protagonisti
della storia: l'investigatore che sa che quel delitto è un'arma da
maneggiare con cura, perché coinvolge un nome importante della
finanza e non sono permessi errori o passi falsi.
L'amante della
vittima, Marco Valerio, che nella sua autoconfessione di fronte al
lettore non ci nasconde nulla e nulla nasconde di sé.
Infine Anna Carla,
fredda, per nulla sorpresa della scoperta di quella relazione extra
coniugale del marito.
L'investigatore che
deve cercare la verità, una verità che non crei problemi alla
procura, ai suoi superiori.
L'uomo abituato a
manipolare la verità e le persone, a far sì che questa segua un
percorso più congeniale per i propri interessi.
Infine la donna
abituata a nasconderla, la verità.
Ciascuno di loro
racconta la sua verità, non quella reale, solo un tassello per
consentire al lettore di capire cosa è successo, quella notte, a
Giada Colonna.
Nel complesso,
l'operazione letteraria è riuscita a metà: le tre storie che
compongono il racconto non sembrano amalgamarsi bene, una a fianco
all'altro. Un po' leggerina la parte di De Cataldo, che apre e chiude
il romanzo: il “passo” meglio riuscito è quello di De Giovanni,
che da voce al cinico finanziere, quello che cercava le crepe nei
suoi avversari, prima di scoprire di averne una dentro di lui
Se volete potete chiamarla fragilità, crepa, fessura, lesione: a voi la scelta.
Ma sono crepe profonde, che hanno il potere di far implodere, di ridurre in una nuvola di polvere e detriti un edificio maestoso costruito con cura per una vita intera.
La scheda del libro
sul sito di Einaudi
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