03 agosto 2020

2 agosto quarant'anni dopo - da Il tempo infranto

Per il 40 esimo anniversario della strage alla stazione di Bologna, lo scrittore Patrick Fogli ci regala un pezzo del suo romanzo "Il tempo infranto": il pdf lo trovate qui al link
Sto dormendo, pensa la ragazza.
Sto dormendo in una casa di sabbia che si sbriciola a ogni respiro. Grani sottili e pesanti che mi cadono sul viso, che si mescolano all’aria e al respiro.
Sto soffocando, pensa la ragazza.
Sto soffocando un po’ di più per ogni respiro con cui cerco di vivere. Inalo la realtà spezzata in frammenti, in briciole, in polvere, finché i polmoni non saranno pieni.
«Devo svegliarmi» dice la ragazza. Palpebre incollate al viso e una strana pesantezza alle gambe e a un braccio. Sapore salato sulle labbra e in bocca. Qualcosa di caldo che le sfiora una guancia.
Ticchetta, come un lavandino di notte.
E per ogni rintocco qualcosa si muove.
Tic.
Un brusio, lontano. Come quello dei frigoriferi di notte.
Tac.
Una fitta di dolore che le attraversa una coscia. Improvvisa come una risata, dura come un crampo.
Tic.
Qualcuno che piange. O forse non piange, cerca di parlare, cerca di dire qualcosa. Ma non ci sono parole, non in quel suono.
Tac.
Una vampata di luce, attraverso il soffitto. Qualcosa che si muove, che si sposta in un rumore di ferraglia. Un treno che esce dai binari, forse.
Tic.
Un treno.
Tac.
Ero su un treno.
Tic.
No, dovevo prendere un treno.
Tac.
A Bologna.
Tic.
Oggi è sabato.
Tac.
E c’era mia figlia.
Tic.
Mia figlia.
Tac.
Mia figlia!
Tic.
Dove sei?
Tac.
«Una barella!» urla qualcuno. E la ragazza capisce di essere sveglia.
E non c’è soffitto. Non c’è rumore.
Non c’è nessuno che parla perché è lei che parla.
Non c’è nessuno che chiede aiuto, perché quando apre bocca non riesce a parlare.
Non c’è soffitto, ma solo lamiera. Lamiera sopra e lamiera sotto. E blocchi di cemento che ti premono sul corpo, che ti schiacciano le gambe e un braccio. E non c’è nessun rubinetto che ti gocciola sul viso, ma lunghe e spesse e vive gocce di un liquido denso che potrebbe essere sangue.
Non c’è più niente. Solo macerie. E anche lei è diventata maceria.
Sono come un sasso, pensa, sepolta sotto il crollo della sala d’aspetto di seconda classe.
E vorrebbe gridare, ma non ha polmoni, né parole, né suoni, né lacrime per piangere.
Solo dolore. E sangue e fiato mescolati alla polvere.
«È ancora viva» dice qualcuno.
E la ragazza sviene prima di capire se sta davvero parlando di lei.

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