02 agosto 2020

Bologna, l'Italia delle stragi, l'Italia di oggi



C'è sangue.
E terra. E polvere.
E il rumore del silenzio che si sbrana l'aria.
Poi qualcuno grida.
L'urlo della vita che tenta di sopravvivere.
Scappando fuori dall'inferno.
Il tempo infranto, Patrick Fogli

Come Ustica, l'abbattimento di un aereo civile sui cieli del Tirreno in una azione di guerra, anche per la strage alla stazione di Bologna siamo arrivati ai quarant'anni. Un anniversario tondo tondo.
Ma sono sempre troppi anni e il ricordo della strage, dei morti, del dolore dei parenti, la terra e la polvere e il rumore anno dopo anno diventano sempre più sbiaditi.
Certo, ci sono i familiari delle vittime, l'associazione di Paolo Bolognesi, il lavoro incredibile di storici e giornalisti come Daniele Biacchessi. C'è un nuovo impulso alle indagini da parte della procura generale che ora sta seguendo una nuova pista che, dai responsabili (i fascisti dei NAR condannati nei tre gradi di giudizio, Mambro Fioravanti e Cavallini solo in primo grado), cerca di salire fino ai mandanti.

Quarant'anni dopo, consola poco leggere che finalmente è stato trovato quel documento che inchioda Gelli e la sua Loggia P2 ai fascisti, per quei cinque milioni di dollari presi dall'Ambrosiano di Calvi per finanziare l'attentato e garantire la latitanza.
Perché quel documento avrebbe potuto arrivare ai magistrati sin dall'inizio, se non fosse intervenuto nel frattempo qualche pezzo dello stato a depistare.
Gelli, assieme ai vertici dei nostri servizi segreti, Musumeci e Belmonte, è stato già condannato per il depistaggio, che era cominciato il giorno stesso e che dovevano allontanare gli inquirenti dalla pista interna per una fantomatica pista internazionale.

Sorprende l'ostinazione del fronte negazionista, a Bologna come per Ustica, ancora dopo 40 anni.
Sorprende, ma forse non più di tanto, se si pensa allo scenario che si inizia ad intuire dietro la bomba di Bologna.
Gelli, i servizi, uomini dello stato come Federico Umberto D'Amato (a capo dell'Ufficio Affari Riservati, che si era mosso per inquinare l'inchiesta su Piazza Fontana 11 anni prima) e Mario Tedeschi, personaggi ambigui a metà tra terrorismo, mafia e servizi come Paolo Bellini (si, lo stesso della trattativa stato mafia).

Dopo tanti anni vogliamo sapere perché? Perché quella strage proprio a Bologna, dentro una stazione, per uccidere (e per alcuni, anche far scomparire il corpo) il maggior numero di persone.
Senza questa risposta, che porta al cuore delle istituzioni, quelle della prima repubblica, del paese a sovranità limitata, avremo solo una mezza verità.

Verità che invece ora vogliamo intera. La bomba di Bologna doveva nascondere l'altra strage, quella dell'aereo dell'Itavia abbattuto in cielo il 27 giugno 1980 (come fa intuire una intercettazione presa dall'ordinovista Carlo Maria Maggi)?
Doveva chiudere quel rapporto, perché non più utile, tra pezzi dello stato e neofascismo?
Doveva dare l'ultima spallata al paese, l'ultimo colpo prima dell'ennesima trasformazione gattopardiana che dal centrosinistra delle larghe intese ci avrebbe portato all'italietta degli anni '80, coi ministri e i vertici scelti dalla P2?
L'Italia è uno strano paese, pensa. Ogni tanto deve fingere di cambiare strada e dare uno scossone. Il dopoguerra e le elezioni del '48. Il '68, le bombe degli anni Settanta. Il tentativo di Borghese, il povero illuso. La strategia della tensione. E poi Bologna. E dopo una dozzina d'anni Tangentopoli, solo uno scrittore poteva inventare un nome così azzeccato. Le stragi di mafia, le bombe che distruggono i monumenti, minacciano gli stadi. Il patto con cosa nostra, l'arresto di Riina e tutto quello che è venuto dopo.Fare piazza pulita, perché tutti torni esattamente com'era sempre stato. Senza che nessuno se ne accorga, però. E ora di nuovo siamo pronti per uno scossone. Solo che non c'è bisogno di rivoluzioni, stavolta. Non c'è bisogno delle bombe, delle minacce e nemmeno degli avvisi di garanzia. 
Sta finendo un'epoca, per sempre.In modo molto più sotterraneo, molto più nascosto.Molto più moderno, com'è giusto che sia.
Il tempo infranto, Patrick Fogli pagina 102

Pretendiamo che ci sia piena verità e giustizia, è un dovere morale e civile” - sono le parole di Bolognesi, quest'anno a Bologna - “finché non ci sarà verità piena non saremo appagati”.
Quando non ci saranno più persone come Bolognesi, cosa rimarrà della strage di Bologna?
Chi racconterà la storia di questo paese dove le istituzioni hanno avuto almeno due facce: una pubblica, quella delle cerimonie, del dobbiamo arrivare alla giustizia a tutti i costi.
Sono le parole che sentiamo ogni anno alle commemorazioni delle stragi di Falcone e Borsellino, per piazza Fontana, per Ustica e per Bologna.

E poi c'è l'altro stato: quello della trattativa stato-mafia, quello che ha negato ai magistrato i nastri radar di quella sera di giugno, quello che ha inventato la finta pista degli anarchici milanesi per piazza Fontana, quello che ha costruito il finto pentito Scarantino, quello che si sedeva a fianco di Gelli e dei suoi sodali massoni.

Alla stazione di Bologna c'è una lapide, sul muro della sala d'aspetto, coi nomi delle 85 vittime.
Una lapide con una crepa che ricorda a tutti la crepa dentro lo Stato, la crepa delle istituzioni, che sarà riunita solo quando metteremo fine a questa ambiguità del doppio stato.

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