C'è sangue.
E terra. E polvere.
E il rumore del silenzio che si
sbrana l'aria.
Poi qualcuno grida.
L'urlo della vita che tenta di
sopravvivere.
Scappando fuori dall'inferno.
Il
tempo infranto, Patrick Fogli
Come Ustica, l'abbattimento di un aereo
civile sui cieli del Tirreno in una azione di guerra, anche per la
strage alla stazione di Bologna siamo arrivati ai quarant'anni. Un
anniversario tondo tondo.
Ma sono sempre troppi anni e il ricordo
della strage, dei morti, del dolore dei parenti, la terra e la
polvere e il rumore anno dopo anno diventano sempre più sbiaditi.
Certo, ci sono i familiari delle
vittime, l'associazione di Paolo Bolognesi, il lavoro incredibile di
storici e giornalisti come Daniele Biacchessi. C'è un nuovo impulso
alle indagini da parte della procura generale che ora sta seguendo
una nuova pista che, dai responsabili (i fascisti dei NAR condannati
nei tre gradi di giudizio, Mambro Fioravanti e Cavallini solo in
primo grado), cerca di salire fino ai mandanti.
Quarant'anni dopo, consola poco leggere
che finalmente è stato trovato quel
documento che inchioda Gelli e la sua Loggia P2 ai fascisti, per
quei cinque milioni di dollari presi dall'Ambrosiano di Calvi per
finanziare l'attentato e garantire la latitanza.
Perché quel documento avrebbe potuto
arrivare ai magistrati sin dall'inizio, se non fosse intervenuto nel
frattempo qualche pezzo dello stato a depistare.
Gelli, assieme ai vertici dei nostri
servizi segreti, Musumeci e Belmonte, è stato già condannato per il
depistaggio, che era cominciato il giorno stesso e che dovevano
allontanare gli inquirenti dalla pista interna per una fantomatica
pista internazionale.
Sorprende l'ostinazione del fronte
negazionista, a Bologna come per Ustica,
ancora dopo 40 anni.
Sorprende, ma forse non più di tanto,
se si pensa allo scenario che si inizia ad intuire dietro la bomba di
Bologna.
Gelli, i servizi, uomini dello stato
come Federico Umberto D'Amato (a capo dell'Ufficio Affari Riservati,
che si era mosso per inquinare l'inchiesta su Piazza Fontana 11 anni
prima) e Mario Tedeschi, personaggi ambigui a metà tra terrorismo,
mafia e servizi come Paolo Bellini (si, lo stesso della trattativa
stato mafia).
Dopo tanti anni vogliamo sapere perché?
Perché quella strage proprio a Bologna, dentro una stazione, per
uccidere (e per alcuni, anche far scomparire il corpo) il maggior
numero di persone.
Senza questa risposta, che porta al
cuore delle istituzioni, quelle della prima repubblica, del paese a
sovranità limitata, avremo solo una mezza verità.
Verità che invece ora vogliamo intera.
La bomba di Bologna doveva nascondere l'altra strage, quella
dell'aereo dell'Itavia abbattuto in cielo il 27 giugno 1980 (come fa
intuire una intercettazione presa dall'ordinovista Carlo Maria
Maggi)?
Doveva chiudere quel rapporto, perché
non più utile, tra pezzi dello stato e neofascismo?
Doveva dare l'ultima spallata al paese,
l'ultimo colpo prima dell'ennesima trasformazione gattopardiana che
dal centrosinistra delle larghe intese ci avrebbe portato
all'italietta degli anni '80, coi ministri e i vertici scelti dalla
P2?
L'Italia è uno strano paese, pensa. Ogni tanto deve fingere di cambiare strada e dare uno scossone. Il dopoguerra e le elezioni del '48. Il '68, le bombe degli anni Settanta. Il tentativo di Borghese, il povero illuso. La strategia della tensione. E poi Bologna. E dopo una dozzina d'anni Tangentopoli, solo uno scrittore poteva inventare un nome così azzeccato. Le stragi di mafia, le bombe che distruggono i monumenti, minacciano gli stadi. Il patto con cosa nostra, l'arresto di Riina e tutto quello che è venuto dopo.Fare piazza pulita, perché tutti torni esattamente com'era sempre stato. Senza che nessuno se ne accorga, però. E ora di nuovo siamo pronti per uno scossone. Solo che non c'è bisogno di rivoluzioni, stavolta. Non c'è bisogno delle bombe, delle minacce e nemmeno degli avvisi di garanzia.
Sta finendo un'epoca, per sempre.In modo molto più sotterraneo, molto più nascosto.Molto più moderno, com'è giusto che sia.
Il tempo infranto, Patrick Fogli pagina 102
“Pretendiamo che ci sia piena
verità e giustizia, è un dovere morale e civile” -
sono le parole di Bolognesi, quest'anno a Bologna - “finché
non ci sarà verità piena non saremo appagati”.
Quando
non ci saranno più persone come Bolognesi, cosa rimarrà della
strage di Bologna?
Chi
racconterà la storia di questo paese dove le istituzioni hanno avuto
almeno due facce: una pubblica, quella delle cerimonie, del dobbiamo
arrivare alla giustizia a tutti i costi.
Sono
le parole che sentiamo ogni anno alle commemorazioni delle stragi di
Falcone e Borsellino, per piazza Fontana, per Ustica e per Bologna.
E poi
c'è l'altro stato: quello della trattativa stato-mafia, quello che
ha negato ai magistrato i nastri radar di quella sera di giugno,
quello che ha inventato la finta pista degli anarchici milanesi per
piazza Fontana, quello che ha costruito il finto pentito Scarantino,
quello che si sedeva a fianco di Gelli e dei suoi sodali massoni.
Alla stazione di Bologna c'è una
lapide, sul muro della sala d'aspetto, coi nomi delle 85 vittime.
Una lapide con una crepa che ricorda a tutti la
crepa dentro lo Stato, la crepa delle istituzioni, che sarà riunita
solo quando metteremo fine a questa ambiguità del doppio stato.
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