Sventurata la terra che ha bisogno
degli eroi – è una citazione famosa del drammaturgo tedesco
Brecht.
Calza bene al nostro paese, che si
commuove per i suoi eroi, che salvano vite nei momenti più
drammatici, per poi dimenticarsene appena passa la tragedia.
Vale per i Vigili del fuoco eroi nel
terremoto in centro Italia nel 2016. Vale ora per i medici e gli
infermieri italiani, superata l'emergenza iniziale per il Covid.
Mai più eroi è il titolo della
seconda puntata di Presadiretta, dedicata alle 35mila persone morte,
molte delle quali sono morte da sole, nelle loro case, senza alcuna
cura.
Obiettivo del servizio è chiedersi
quali siano stati gli errori fatti, nell'ottica di non ripeterli mai
più nel futuro, in autunno, quando potrebbe arrivare una seconda
ondata.
Come deve cambiare il servizio
sanitario nazionale per non avere più eroi?
Riccardo Iacona lo ha chiesto a
Giuseppe Remuzzi, Direttore dell'Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri IRCCS che ha puntato il dito contro il
sistema dei DRG (Raggruppamenti omogenei di diagnosi):
“la Lombardia per anni si è orientata attorno al DRG, è poi è diventato un sistema per fare del fatturato.La struttura privata chiama il traumatologo di grande fama e gli dice tu mi devi tante protesi dell'anca, o tumori al polmone, arriva l'amministratore delegato della struttura e gli dice, quest'anno ne hai operati 300, l'anno prossimo 350 .. ma dove li trovo io 350? Significa farli venire dalle altre regioni. Vuol dire che abbiamo creato questa industria per creare protesi dell'anca, chirurgia dell'obesità, fissazione delle vertebre, cose che non sono neanche necessarie ..”
Questo modus operandi però coinvolge
anche le strutture ospedaliere pubbliche, la ratio economica di un
ospedale pubblica si basa essa stessa sui DRG – ha chiesto Iacona
al medico:
“è stata questa terribile contaminazione, il DRG è diventato il sistema attraverso cui si fanno le scelte negli ospedali e questo ha messo in crisi di fatto anche l'ospedale pubblico. Il DRG va tolto, bisogna che l'ospedale pubblico sia retribuito in base ai risultati e alle esigenze. Servono 10mila mastectomie nella provincia di Milano? Benissimo, noi facciamo le diecimila mastectomie e paghiamo l'ospedale. Ne può fare solo 7000, allora 3000 le diamo al privato, con cui ci convenzioniamo per quello per cui il pubblico è carente, non per fare quello che vuole. Questo richiede un grande piano sanitario e una visione globale. Deve essere una cosa che parte dalla prevenzione, che è la cosa fondamentale. Tutti questi soldi che sono stati messi sulla sanità privata avrebbero dovuto essere messi sul territorio. La missione è tutelare la salute dei cittadini e il diritto alla salute non alla cura. Noi non ci possiamo permettere che muoia nemmeno una persona per niente, devono morire quelli che è giusto che muoiano, perché programmati per morire ad una certa età, ma non dobbiamo fare come è successo adesso che le persone morivano per niente, gli anziani. La salute non è soltanto cosa che ha che fare con ospedali, farmaci, è qualcosa che ha molto più a che fare col benessere. E quindi torniamo alla prevenzione.”
Le telecamere di
Presadiretta sono tornate in Veneto, per raccontare come siano
stati isolati i cluster nei piccoli paesi, cominciando dall'ospedale
di Schiavonia, tra il 22 e il 23 febbraio. Nei giorni successivi, si
input del presidente Zaia, comincia la tamponatura degli abitanti di
Vo' Euganeo: 3000 persone tamponate nel giro di sette giorni –
racconta la direttrice dell'ULSS6.
Ad inizio di marco
la popolazione di questo paese viene sottoposta ad una seconda
tamponatura, con risultati straordinari: se a fine febbraio erano
risultati positivi al test il 3% della popolazione, con una tasso di
contaminazione che avrebbe portato in pochi giorni la percentuale al
60%, a marzo la % è crollata allo 0,25%, con una manciata di
positivi rimasti in regime di isolamento. Il fattore R0 era stato
abbattuto del 98%: l'epidemia era stata soffocata sul nascere.
Iacona
se lo è fatto raccontare dal dottor Crisanti:
“E’ molto semplice. Se c’è un cluster si chiude tutto, si fa il tampone a tutti, si ritorna dopo 9 giorni, si rifà il tampone a tutti. Si isolano i casi positivi e il cluster è chiuso. A Vo’ non c’è stato più nessun caso di trasmissione endogena. La ricetta ce l’abbiamo, sta sotto gli occhi di tutti, bisogna che ce ne rendiamo conto. Ad ottobre e novembre se abbiamo un nuovo cluster cosa facciamo, tutte le stupidaggini fatte fino ad adesso? Oppure aggrediamo quel cluster come si deve?”
Quali sono le
stupidaggini fatte?
“Discutere dell'utilità dei tamponi, sul fatto che i tamponi debbano essere fatti ai sintomatici, .. non abbiamo ancora una ricetta standardizzata nel caso in cui ad ottobre o novembre c'abbiamo un cluster importante. Che facciamo?”
Dal Veneto
all'Emilia Romagna: a Bologna all'ospedale Sant'Orsola, il più
grande come posti letto, la più grande azienda ospedaliera pubblica.
Durante l'emergenza sanitaria è diventato il punto di riferimento
per i malati Covid della città.
Pierluigi
Viale, direttore del reparto malattie infettive racconta quei giorni:
“il 3 marzo dedicavamo tutti i letti del reparto malattie infettive al Covid. Il 15 marzo avevamo 400 letti Covid attivati, giorno dopo giorno aprivamo nuovi reparti”.
Per tutto il mese di marzo al
Sant'Orsola si sono costruite dal nulla nuove terapie intensive, poi
a fine marzo la regione Emilia Romagna ha impresso una svolta:
“ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti, ma tutta sta gente che arriva con questi sintomi pesantissimi, aveva alle spalle giorni di malattia, otto o nove giorni di febbre a casa. Ma perché dobbiamo lasciar morire a casa, andiamo fuori dall'ospedale e andiamo a prenderli a casa, vediamo se prendendoli prima, riusciamo ad assisterli meglio, facendo la ventilazione non invasiva prima. Li prendiamo quando hai una piccola alterazione della funzione respiratoria e ti mettiamo subito sotto tiro.Da quando abbiamo cominciato ad uscire dall'ospedale, superando il paradigma sto ad aspettarti coi letti in terapia intensiva pronti, al vengo a prenderti a casa, oppure vieni qua che ti valuto prima che cominci ad avere la sensazione di affanno, abbiamo visto sparire i pazienti che arrivavano con le punte dei polmoni. Li abbiamo visti sparire ai primi di aprile. La sensazione è che questo andarli a prendere precocemente, abbia cambiato il nostro ingaggio con la malattia.”
Se il sistema
sanitario nelle prime settimane dell'emergenza ha tenuto è stato
grazie al lavoro di medici e infermieri, soprattutto nelle regioni
dove il virus ha colpito di più, come in Lombardia, nella provincia
di Bergamo.
In
queste zone sono morti 29 camici bianchi e altrettanti infermieri e
operatori sanitari: uno di questi era il dottor
Perego, di Treviolo, morto per l'infezione dal coronavirus il 23
aprile scorso, dopo un mese di ricovero.
Il dottore ha avuto
i primi sintomi a marzo - racconta la moglie Alessandra Lombardo:
mentre infuriava l'epidemia con centinaia dei suoi assistiti che
stavano male, il dottor Perego non aveva mai smesso di occuparsene,
nonostante i pochi e precari dispositivi di sicurezza su cui era
riuscito a mettere le mani.
“Gli erano state date due mascherine di cui una per solidarietà ha dato alla segretaria. Poi si è procurato da un amico, imprenditore edile, delle maschere da cantiere. Però bisognava prevenire questa cosa, c'è stata una dichiarazione di pandemia a fine gennaio sulla gazzetta ufficiale, ci chiediamo che cosa hanno fatto .. non hanno fatto niente. Vorrei una giustizia serena .. più nessuno deve trovarsi in questa situazione di emergenza.”
Fontana ha detto “rifarei le stesse cose”. Questa dichiarazione
l'ha ferita?
“Si molto, anche perché qui la
situazione era di emergenza ed era un emergenza annunciata e questa è
la cosa imperdonabile”
Errore
imperdonabile anche l'abbandono
della medicina sul territorio
(vi ricordate la battuta dell'ex sottosegretario Giorgetti della
Lega, “chi va più dal medico di base?”).
A Bergamo, Riccardo
Iacona ha intervistato Paola Pedrini, medico a Trescore: la
dottoressa ha raccontato al giornalista come pazienti, anche con
parametri critici, sono stati curati a casa per l'impossibilità di
ricoverare tutti. A marzo è successo qualcosa che non era mai
accaduto, da quando esiste il sistema sanitario, cioè che nessuno
prende in carico un paziente bisognoso di cure.
Come medico sul
territorio, la dottoressa ha riportato la condizione di stress con
cui ha dovuto lavorare, senza protezioni a sufficienza col rischio di
contagiare altre persone o addirittura i familiari.
“Avevamo l'angoscia nel non poter trovare un ricovero per pazienti che ne avevano bisogno .. non mi sarei mai immaginato di dover supplicare per un ricovero. Di fronte ad una persona giovane, dire se arriva l'ambulanza devi insistere per un ricovero.”
A
Casalpusterlengo, Iacona ha incontrato un altro medico, Michele
Polini:
“è stato il dramma peggiore, vedere i nostri pazienti , doverli seguire a casa impotenti, perché se si chiama il 112 non ti risponde, perché sovraccarico. Ci si mette due giorni per avere una risposta ma in quei due giorni il paziente mi chiama quattro volte al giorno, mio marito sta male ha la febbre cosa devo fare?”.
Il medico ha
spiegato come a volte il 112 quando arrivava faceva la sua analisi e
suggeriva di chiamare il medico curante, perché non c'erano posti
letto per il ricovero.
“Io mi son sentito dire: dottore
parte la lettiga, lei ha dieci minuti decida, uno dei due rimane a
casa, perché ne possiamo portare via uno solo.”
Chi salvi allora?
Quello di trent'anni o quello di cinquant'anni con figli?
“Mi son sentito dire da una
famiglia, dottore ricoveri mio figlio, a me mi lasci pure morire a
casa perché tanto ..”
I familiari delle
vittime del Covid, in Lombardia, si sono riuniti sulla pagina FB Noi
denunceremo dove sono raccolte le storie, le foto, i
ricordi, delle migliaia di persone morte: “un grande funerale
collettivo, quello che non sono riusciti a fare perché impedito
dalle disposizioni dell'autorità sanitaria”.
Qui troviamo i
commenti delle persone lasciate sole a casa, senza cure, o quelli dei
parenti delle persone morte in ospedale da sole, senza che i parenti
sapessero come e perché.
Non era mai
successo – commenta Iacona – che si interrompessero questi riti
della cura e della morte “che consentono di accompagnare al meglio
chi ci ha dato la vita, i nostri fratelli, sorelle, gli amici più
cari, perché possano sapere quanto li abbiamo amati e non essere
soli nel momento della sofferenza e del dolore”.
Le foto dei nonni,
dei genitori, dei parenti morti, 35mila secondo le cifre ufficiali,
più altre diecimila non conteggiate, ci riportano l'enormità di
quanto successo.
Le persone che
hanno aperto queste pagine hanno oggi un grande bisogno di verità e
giustizia, da qui le denunce presentate alla procura di Bergamo:
perché vogliono che le loro storie non finiscano nel silenzio.
Questa sera ospiti della puntata, in
studio, saranno il ministro della salute Speranza, il presidente
Stefano Bonaccini e il direttore del dipartimento Prevenzione della
Regione Veneto Francesca Russo.
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