17 febbraio 2021

Nella luce di un'alba più fredda di Hans Tuzzi

 


Prologo

Due fili si intrecciano “Una parte di me è morta e mi attende altrove, sul fianco d’un monte che guarda il mare profondo, a giorni azzurro a giorni viola. È là, sotto terra, e mi aspetta”.

Studiò i campi, i sempreverdi, le croci. Autunno di fanghiglia, pensò: autunno che le fosse bisogna scavarle con la ruspa. Poche donne anziane a indugiare nei viali. Soltanto i vecchi visitano i loro cari defunti.

Già da questo incipit, una sorta di litania di un uomo che sta morendo ai margini di una strada, si capisce quanto diverso sia lo stile di scrittura di Hans Tuzzi, giallista milanese che ha ambientato i suoi racconti col commissario Norberto Melis nella Milano degli anni '80.

Uno stile colto, raffinato, pieno di citazioni letterarie, artistiche, storiche, con cui arricchisce le sue trame, dove compare il delitto, l'assassino, a volte anche per futili motivi. Delitto su cui si interroga il suo investigatore, Melis, commissario alla Mobile, che dietro ogni morte ricerca i perché, la storia, la causa del male.

Con questo romanzo, che chiude tutta la serie con Melis, ci troviamo in un grigio autunno nel 1990: sono gli ultimi scampoli della Milano da bere, il muro di Berlino è crollato e il PCI ha già cambiato nome.

Le indagini di Mani pulite devono ancora arrivare come anche le bombe eversive fatte scoppiare dalla mafia (coi suoi complici ancora col volto coperto): l'Italia si sta godendo questi ultimi scampoli di felicità prima della catastrofe.

Ma i sintomi di quello che sta arrivando ci sono tutti: li intuisce Melis, con la sua compagna Fiorenza, l'imbarbarimento, la sgrammaticatura sui giornali e nella parlata quotidiana, i giovani idealisti di ieri che oggi sono alle prese coi rendimenti dei BOT e i cui figli girano con le “Timba”.

Le telecamere pronte a riprendere la nostra vita per darci l'illusione della sicurezza..

Non è snobismo, quello di Melis, un ritirarsi dalla vita sociale per rinchiudersi nel suo mondo, anzi. Se potesse, Melis tornerebbe a girare per la sua Milano e a seguire in prima persona le indagini, vedere le facce sentire le voci, conoscere i luoghi.

Non c’era neve, a Milano. E quello fu l’ultimo pensiero di Calamatta Loris, ragioniere.

Come quella per la morte del ragioniere, Loris Calamatta, trovato morto ai margini di una strada, avvelenato con del glicole etilico. Strano modo di uccidere, lungo e doloroso.

E poi, nei giorni successivi, altre due morti: due donne anziane, che vivevano da sole, stordite da qualcuno venuto da fuori, e poi avvelenate.

Uno squillo alla porta ruppe l’incanto di quella melodia che parlava di una giovinezza lontana. Oh, signùr, si disse la Rosa. [..]la Rosa andò ad aprire. L’ultimo gesto compiuto in vita.

Tre casi che sembrano proprio scollegati, ma che vengono assegnati all'assistente di Melis, il commissario Iurilli, che in quei giorni è alle prese con la depressione della moglie.

Del primo morto, di cui all'inizio non si conosce nemmeno il nome, si scopre che era aveva piccoli precedenti per truffe, le sue impronte digitali erano in archivio.

E' stato ucciso da qualcuno che ha truffato nel passato?

«.. una volta mi han detto che il Loris era uno specialista del Cabriolè». «Di cosa?» «Del Cabriolè, l’assegno scoperto: così se ciama in milanese, Cabriolè».

Iurilli e i due “dioscuri”, gli agenti Ferrini e Giovannini provano a seguire questa pista senza troppa fortuna.

Nella casa delle due anziane gli investigatori fanno una scoperta importante: dei soldi in contanti, tanti soldi, tenuti nascosti in nascondigli di fortuna.

Trovò un lungo cucchiaio di legno e menò un colpo su un lato del tappo, che saltò via facilmente. Lo tolse, e sotto, arrotolati come tappeti antichi e stipati l’uno accanto all’altro, fasci di banconote tenuti con l’elastico.

Che ci facevano con questi soldi? Erano risparmi, oppure la placida vita di queste due signore anziane nascondeva qualcosa?

Melis è coinvolto, anzi, sarebbe meglio dire, si lascia coinvolgere, da una altro delitto: la morte dell'avvocato Galeotti, ucciso nel suo studio assieme ad una sua amica da un assassino che ha infierito con un bastone sui due corpi.

Ennesimo delitto che rovina le statistiche del nuovo Questore, preoccupato di aver superato quota cento:

«Ma no, si chiama Galeotti, l’avvocato si chiama Galeotti, Ario Galeotti». “Ario. Che minchia di nome” pensò il questore Rocco Platanìa.

Anche dietro questo delitto si nasconde una storia che parla del male: avidità, miseria, meschinità. Un'eredità di un vecchio politico morto anni prima su cui l'avvocato stava lavorando.

Il crepuscolo di Melis, che coi suoi uomini riuscirà almeno a risolvere questi delitti e dare al mondo una parvenza di equilibrio, sarà anche il crepuscolo di un'epoca.

Perché ormai, a Milano, poteva capitare di tutto, con tutta questa criminalità in giro. Aveva ragione il Bossi: troppi terroni in Lombardia. Sì, d’accordo, lui era di Taranto, ma che vuol dire?

L'epoca della Lega di Bossi e di Roma ladrona, dell'odio verso i “teroni” di oggi che, tra qualche anno, si sarebbe riversato nell'odio verso le persone di colore, venute dal nordafrica o da qualche altro paese nel mondo più sfortunato di noi.

..adesso che i meridionali si sono integrati, aspetta soltanto di incontrare per strada più di cinque negri al giorno e vedrai quanto son poco razzisti gli italiani.

Una nuova epoca in cui la borghesia illuminata di Milano avrebbe lasciato il passo ad una borghesia sempre più decadente e arroccata su sé stessa.

Nemmeno la neve sarebbe stata più la stessa, a Milano.

Anche la neve era diversa. Era sporca, pensò, come in quel cupo romanzo di Simenon. L’Europa in guerra, un paese occupato dal nemico, l’omicidio come atto gratuito. Ma i suoi omicidi, si disse, non erano atti gratuiti.

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