Si dice che la storia, alla fine, la scrivano i vincitori.
Per questo motivo oggi, se chiedi a qualcuno della strage di Portella, della bomba alla stazione di Bologna, si ottengono solo risposte vaghe.
Hanno vinto loro: quelli che le bombe le hanno messe, quelli che hanno compiuto gli attentati, quelli che hanno organizzato, quelli che hanno depistato. Quanti, a livello politico, hanno goduto della destabilizzazione, della strategia della tensione, che ha bloccato il progresso di questo paese e la crescita delle sinistre (o quanto meno una alternanza politica).
Persone che hanno avuto tutto l'interesse affinché la storia nera della nostra democrazia, cresciuta tra compromessi, il tradimento di chi aveva lottato per essa, rimanesse nascosta.
I cittadini non dovevano sapere della pista nera dietro Piazza Fontana che dalle formazioni neo fasciste portavano su su fino a pezzi dei servizi, delle istituzioni, alle coperture politiche fino agli interessi oltre oceano (negli anni 50 l'ambasciatrice USA a Roma chiedeva di mettere fuori legge il PCI).
Ecco perché, anno dopo anno, da parte delle istituzioni le celebrazioni per questi accadimenti si sono via via più svuotate di contenuti: la strage di Milano nel dicembre 1969? Opera di pochi terroristi (a fatica si dice fascisti).
E cosa è successo quella mattina del 16 marzo 1978 a Roma?
Qualcuno, i più informati, risponderà dicendo che quella mattina un commando delle Brigate Rosse rapì il presidente della DC, uccidendo gli uomini della scorta: il vicebrigadiere di pubblica sicurezza Francesco Zizzi, alle guardie di pubblica sicurezza Raffaele Iozzino e Giulio Rivera, al maresciallo maggiore dei carabinieri Oreste Leonardi e all’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci.
Molti nemmeno se lo ricordano più, quel giorno, chi fosse Aldo Moro, chi fossero le Brigate Rosse. Cosa stava succedendo quel giorno: il primo governo della Repubblica nato col supporto esterno del PCI, il più forte partito comunista nell'Europa occidentale, quella che doveva rimanere saldamente nell'orbita atlantica.
Sono passati così tanti anni da quel giorno, l'unica verità che circola e che purtroppo è diventata l'unica verità è quella che si basa sulle dichiarazioni dei brigatisti (non pentiti) Morucci e Moretti.
Perché di fatto la "verità" delle BR faceva comodo ai brigatisti (unici responsabili del rapimento e della morta senza alcuna etero direzione) ma faceva comodo anche al partito della fermezza, quello per cui con le BR non si tratta.
Peccato che questo sia stato vero per Aldo Moro e basta, perché per Ciro Cirillo lo Stato ha trattato con la camorra.
La verità di comodo che si è consolidata assolve tutti dai loro peccati, la DC, le istituzioni.
Ma rimane una verità che fa acqua da tutte le parte: se volete fare un approfondimento esistono dei libri sul "caso Moro", a cominciare dal saggio di Stefania Limiti (Complici - ed Chiarelettere). Ieri sera nella sua trasmissione Atlantide, Andrea Purgatori assieme al magistrato Donadio (che ha fatto parte della commissione Moro) ne hanno discusso lungamente: il mistero della moto apparsa in via Fani dopo la strage, la notizia passata su Radio Città Futura, il mistero della Mini Morris accanto al luogo dell'agguato (di proprietà di società dentro cui troviamo esponenti del mondo dei servizi). Il mistero del covi, di via Gradoli, del finto comunicato numero 7, il ruolo del falsario Cucchiarelli, il ruolo della P2. Fino alla morte di Aldo Moro: nella versione ufficiale le BR avrebbero attraversato Roma per lasciare il cadavere nel centro della città.
Che paese sarebbe stato se Moro non fosse stato ucciso? Se quel rapimento fosse stato sventato? Forse un paese diverso, non possiamo saperlo.
Sappiamo quello che Moro ha lasciato: lo spiegava sempre ieri sera l'attore Fabrizio Gifuni, chiedendosi come mai le lettere di Moro (e l'analisi che ha fatto della storia politica di questo paese a partire dal dopoguerra) non siano costante oggetto di studio (come quello fatto da Miguel Gotor per Einaudi).
Sono un ritratto di quella classe politica poi presente alla cerimonia funebre senza la bara del morto, come Moro stesso aveva chiesto, nessun rappresentante delle istituzioni al mio funerale.
Quella cerimonia funebre era il funerale della prima repubblica, che iniziò a morire nel 1978 per spegnersi poi con Tangentopoli e il crollo del muro di Berlino.
Hanno vinto loro, non la democrazia, non il paese, non la classe politica nel senso alto del termine.
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