Ma la sanità pubblica è ancora un diritto?
A vedere quello che succede nel paese sembrerebbe che questo diritto non sia più garantito in modo universale: quando è successo e come mai non ce ne siamo accorti?
È accaduto tutto
piano piano, anno dopo anno, governo dopo governo, in un processo che
ha portato alla chiusura di ospedali, pronto soccorso, ambulatori,
fino ai medici di base.
La sciagurata riforma del titolo V,
quella che ha delegato poteri in materia sanitaria ha accelerato il
percorso: oggi la sanità da servizio pubblico è diventata una merce
da mercato, alla pari di un qualunque altro prodotto. Hai i soldi?
Puoi permetterti un servizio sanitario, altrimenti niente.
Presa diretta coi suoi giornalisti ha raccolto le testimonianze, partendo da quella che è la situazione nelle regioni del sud (quelle che tra l’altro saranno maggiormente penalizzate dalla riforma Calderoli, la secessione delle regioni ricche del nord): per una colonscopia ci vogliono 9 mesi, mammografia ci vogliono due anni, “ormai si va verso un privato spinto” raccontano le persone a Riccardo Iacona, “tanta gente non può permetterselo, di andare a spendere 170 180 euro per una visita privata ..”.
Come mai non siamo scesi in piazza per protestare contro questo? Forse perché lo smantellamento del servizio pubblico è accaduto piano piano, come si è detto, forse anche la rassegnazione. Nemmeno il covid, che pure avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, ha cambiato le scelte politiche. Eh sì, perché la fine della sanità pubblica è una precisa volontà politica, vale al sud ma vale anche qui al nord, statene certi. In provincia di Como una ecografia non si riesce a prenotare prima di un anno, se si passa per il centro di prenotazione regionale.
La presunta eccellenza lombarda è un’enorme presa in giro: certo ci sono poli di eccellenza, ma nelle grandi città e spesso sono privati convenzionati. In Lombardia, prima delle elezioni regionali che hanno portato alla conferma del presidente Fontana, si era a lungo discusso di come abbattere i tempi delle liste di attesa
Infinite promesse elettorali che s’infrangono su due numeri: 1300 giorni d’attesa (col servizio sanitario nazionale), zero (pagando 7.500 euro). Giorni e soldi che separano la signora Aurelia da un intervento di colecistectomia al San Raffaele di Milano, l’ospedale forse più famoso della Lombardia, fiore all’occhiello del Gruppo San Donato, il più grande della sanità privata italiana. Sembrava un errore, un attesa oltre ogni immaginazione quel dato emerso da una telefonata in diretta a “37e2”, la trasmissione di Vittorio Agnoletto su Radio Popolare. Viene poi confermato dalla struttura sanitaria. Il racconto somiglia ad altri, a parte il computo dei giorni che polverizza i record precedente. “Ad agosto 2020 – racconta l’ascoltatrice – ho avuto il primo episodio di coliche biliari e sono andata al Pronto Soccorso del San Raffaele, ma per via della pandemia ad ottobre vengo messa in lista d’attesa, senza però una data precisa, per l’intervento di colecistectomia. I miei calcoli, di oltre un cm, non si possono sciogliere in nessun modo. Da allora ogni 6 mesi mi sottopongo a controlli, ma ancora nessuna data è prevista per l’intervento. Io continuo a stare male, continue fitte, dolori, nausee, vomito, nonostante il cambiamento di regime alimentare. Fino a quando a gennaio 2023 ho detto basta, non ce la faccio più: ho chiamato il San Raffaele e ho chiesto a che punto era la lista d’attesa, e mi hanno detto che c’era da aspettare ancora tantissimo tempo. Allora ho chiesto quanto era l’attesa per un intervento a pagamento: mi è stato risposto oralmente che i tempi di attesa a pagamento non ce ne sono e che il costo era di 7.500 euro! A quel punto mi sono fermata perché non è giusto che un cittadino onesto, che paga le tasse non abbia diritto a un servizio sanitario pubblico che funzioni”.Paghi e ottieni il servizio. Questo è quello che succede tutti i giorni ed è una precisa scelta politica delle giunte regionali, legate al privato convenzionato.
In Francia la
gente scende in piazza contro la riforma delle pensioni di Macron con
cartelloni dove è scritto “non faremo la fine dell’Italia”
(leggetevi l’intervista dello scrittore Carrère a Repubblica):
ci tengono, oltralpe, al loro sistema di Welfare, ai sussidi per chi
è in difficoltà, all’età pensionabile a 62 anni, ai diritti sul
lavoro. Tutte questioni che giorno dopo giorno vengono messe in
discussione dai governi, in Francia come in Italia, con la scusa che
non ce le possiamo permettere.
Non ci possiamo permettere i
presidi ospedalieri, la possibilità di prenotare delle cure in tempi
ragionevoli (perché il cancro non aspetta), la possibilità di avere
assistenza per gli anziani, per i disabili.
Oggi tutto questo
non è più garantito, chi non ha i mezzi può solo sperare di
trovare aiuti da associazioni di volontari, come quella di Mirna
Mastronardi “Agata volontari contro il cancro”, attiva da sei
anni: coi volontari ha aiutato tante persone che non potevano
muoversi nei grandi centri oncologici, che non avevano mezzi per un
secondo parere (stiamo
parlando del “turismo sanitario”, quello delle migliaia di
cittadini che devono spostarsi di regione per curarsi): “noi diamo
per scontato che il servizio sanitario sia universale e gratuito ma
in realtà se vuoi saltare le liste di attesa devi spendere soldi”
– il commento di Iacona.
Il punto è che
quando uno ha un tumore deve correre contro il tempo e non puoi
aspettare i tempi di attesa lunghissimi.
Presadiretta è
andata a Bologna all’ospedale Sant’Orsola: il budget complessivo
dell’ospedale è di 800ml euro l’anno ma a causa dell’aumento
dei costi questi non bastano più e il policlinico per la prima volta
quest’anno è andato in deficit per più di 70 ml. Per costi legati
al covid, per quasi la metà di questo importo sono costi energetici
e costi del personale – racconta Chiara Gibertoni DG del
Sant’Orsola – “quindi abbiamo dovuto cercare di rientrare
attraverso delle poste straordinarie che ha messo a disposizione la
regione”. Le poste di cui parla la direttrice sono i 50 ml di euro
che hanno in parte coperto le spese per covid e l’aumento delle
spese energetiche: “però non sono stati sufficienti a coprire
l’incremento ..”.
I fondi che sono arrivati alla struttura
nel corso del tempo sono diminuiti: "Sono stati 10 anni di
tagli lineari alla sanità, che significa sostanzialmente per
una azienda di produzione come questa non avere un adeguamento delle
tariffe, dei ricoveri, delle prestazioni ambulatoriali che è
coerente con l’incremento che si ha coi costi. Questa logica porta
ad una dinamica di controllo dei costi e sappiamo che questo
significa non avere margini di sviluppo in termini di offerta di
eccellenza e di qualità. Vuol dire che le nuove terapie non hanno
possibilità di avere un sistema di finanziamento."
Così
vanno fatte delle scelte, questo lo facciamo, questa terapia no.
È
a rischio il sistema sanitario?
“Il rischio è reale, concreto e imminente: io credo che ci sia da fare una riflessione davvero se vogliamo mantenere questo che a mio parere è un elemento imprescindibile di una democrazia, io ho parlato ai ragazzi del primo anno di medicina e ho detto loro ‘rendetevi conto della fortuna che avete di studiare in un ospedale in cui nessuno chiede al paziente come intende pagare quel ricovero. Troverete delle eccellenze che in altri paesi sono offerte soltanto ad una parte della popolazione.’”
La scheda del servizio
I medici e gli infermieri sono pochi e i loro stipendi troppo bassi. Mancate prestazioni specialistiche, mancate diagnosi, mancati screening, mancata assistenza territoriale. Sempre più spesso gli italiani devono pagare le cure di tasca loro. E chi non ha i soldi per farlo, ormai non si cura più. La salute è ancora un diritto nel nostro Paese? “PresaDiretta” – il programma di Riccardo Iacona e di Cristina De Ritis con la collaborazione di Sabrina Carreras, Lisa Iotti, Alessandro Macina, Raffaella Pusceddu, Elena Stramentinoli, in onda luned 27 marzo alle 21.20 su Rai 3 – propone un viaggio drammatico nella lenta agonia del Servizio Sanitario Nazionale. In studio, ospite di Riccardo Iacona per approfondire con gli ultimi dati la crisi del nostro sistema sanitario, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
“PresaDiretta” ha attraversato l’Italia, da sud a nord, per parlare col personale sanitario e con i pazienti, è entrata negli ospedali pubblici, negli ambulatori e nelle cliniche private. A cominciare dalla Calabria e la Basilicata, dove i servizi sanitari sono svuotati e moltissime famiglie ormai hanno rinunciato a curarsi.
Ma la crisi della sanità pubblica ormai è diffusa in tutto il Paese: negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 37mila posti letto, si sono dilatati a dismisura i tempi di attesa per tac, mammografie, interventi e visite specialistiche, è aumentato il rischio per i pazienti con le patologie più gravi, come gli oncologici.
“PresaDiretta” ha raccolto anche l’allarme di medici e infermieri. Mancano 150mila medici e 300mila infermieri rispetto alle medie dei Paesi europei dove la sanità pubblica è più sviluppata, che andrebbero assunti nei prossimi 10 anni per riempire i buchi in organico e i pensionamenti. I turni sono massacranti e gli stipendi troppo bassi, tanto che da un sondaggio condotto dal principale sindacato dei medici ospedalieri è emerso che 1 medico su 3 se potesse, lascerebbe la sanità pubblica. Poi c’è l’emergenza nell’emergenza, quella dei medici dei Pronto Soccorso italiani, se ne perdono circa 100 ogni mese: lasciano “la linea del fronte”, semplicemente non ce la fanno più.
E tra i pazienti chi può, paga. Nel 2021 la spesa privata dei cittadini italiani che hanno messo mano al portafoglio pagando di tasca propria le cure, è stata di 37 miliardi di euro. Ed è in forte crescita anche la spesa sanitaria erogata attraverso fondi integrativi e assicurazioni private, come per esempio quelle stipulate dai datori di lavoro per i propri dipendenti. La sanità privata e quella in convenzione diventano sempre più forti e quella pubblica si impoverisce.
“PresaDiretta”, infine, è andata a vedere come funziona e quanto costa mandare avanti un grande polo ospedaliero pubblico, il Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Qui si effettuano ogni anno 49mila ricoveri e più di 3milioni e 300mila prestazioni specialistiche, un ospedale pubblico con più di 1500 posti letto, dove il cittadino paga solo il costo del ticket e riceve cure di altissimo livello. Un esempio di sanità pubblica d’eccellenza. Anche da qui arriva un grido di allarme: i soldi non bastano più. Ma la tutela della salute non era un diritto sancito dalla nostra Costituzione?
“Salviamo la sanita” pubblica è un racconto di Riccardo Iacona, con Chiara Avesani, Elisabetta Camilleri, Pablo Castellani, Elena Stramentinoli, Cesarina Trillini, Fabio Colazzo, Matteo Delbò, Alessandro Marcelli, Massimiliano Torchia.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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