La questione di Taiwan riguarda i cinesi – sono le parole del presidente cinese Xi che, secondo il capo della Cia, starebbe organizzando un’invasione di Taiwan.
Attorno a Taiwan si
stanno scaldando i motori di una nuova guerra: la visita dell’ex
portavoce Nancy Pelosi hanno alzato la tensione tra i due paesi, i
cinesi l’hanno considerata una provocazione dando vita ad una
risposta diplomatica e ad una azione militare davanti l’isola.
Il
presidente Biden, in risposta a queste azioni ha detto che il suo
paese è disposto a difendere Taiwan: l’isola oggi vive in uno
stato di sospensione perché pochi paesi al mondo la riconoscono come
stato autonomo, per paura delle rappresaglie della Cina.
Taiwan
ha un parlamento, elezioni libere, ministeri: nell’università di
Taipei i muri sono pieni di immagini di Hong Kong, qui temono di fare
la stessa fine, racconta il professore Lev Nachmann.
Il
conflitto nasce da lontano: su quest’isola si sono rifugiati i
soldati sconfitti da Mao, che non hanno riconosciuto la vittoria di
Mao e si sono considerati stato a sé.
Presadiretta ha ascoltato
il Taiwan New Foundation, il partito che si sta battendo per
l’indipendenza dell’isola e per il suo riconoscimento come stato
riconosciuto: Xi Jin Ping ha già pronti i piani per l’invasione,
ma il vero obiettivo è dare scacco matto all’America nel
Pacifico.
Mentre la Cina mette
in mostra tutta la sua forza militare con le grandi manovre navali,
Taiwan è sotto attacco cibernetico: Presadiretta è andata a
visitare il Cyberlab, un edificio governativo di recente apertura
dove ci si addestra a combattere gli attacchi informatici, con tanto
di esercitazioni per essere pronti ad eventuali attacchi. Su un
enorme monitor montato su una parete è proiettata una mappa con
tutti i principali attacchi al paese, che arrivano ogni giorno, ogni
minuto, la maggior parte dei quali parte dalla Cina. A volte –
racconta uno dei responsabili al giornalista – questi attacchi
cercano di installare dei malware, programmi che possono controllare
i tuoi sistemi, come ad esempio i treni ad alta velocità. Cosa
potrebbero cercare di fare, una volta preso il controllo? Potrebbero
farli scontrare, distruggere la rete elettrica, sarebbe peggio di un
attacco missilistico.
Dopo la visita di Nancy Pelosi, l’ex
speaker della Camera degli Stati Uniti e con l’inizio delle
esercitazioni cinesi, in un solo giorno abbiamo ricevuto 2,6 ml di
attacchi.
Taiwan riceve aiuti militari dagli Stati Uniti, missili, sistemi di sorveglianza, componenti per caccia F16: ma l’esercito potrebbe resistere di fronte a quello cinese? L’analista della difesa taiwanese parla di strategia del porcospino, facendo uso della difesa missilistica contro navi e aerei, con missili in numero sufficiente per scoraggiare attacchi via nave. Oltre a scorte di cibo e di petrolio che li rendano indipendenti per anni.
La popolazione si
sta addestrando alla guerra: ci sono campi militari frequentati da
civili che si stanno preparando per le emergenze, il conflitto in
Ucraina ha cambiato la percezione della guerra dando loro la forza e
la consapevolezza di resistere.
Ci sono poi radioamatori che
organizzano corsi nelle scuole per poter garantire le comunicazioni
in caso di guerra, ci sono organizzazioni che preparano i civili
nelle cure da ferite da fuoco, usando lo slogan “sii pronto”:
queste persone sono consapevoli di dover rispondere ad una minaccia
di un governo come quello cinese capace di tutto.
A Taiwan
Presadiretta ha incontrato Wang Dan, uno degli studenti che era in
piazza Tien An Men: per combattere il partito comunista cinese oggi è
venuto su quest’isola contro l’imperatore Xi Jin Ping,
quest’ultimo non può accettare un paese vicino ai suoi confini
dove vige una democrazia.
La guerra dei chip
LA Cina ha interrotto l’importazione dei prodotti taiwanesi, mettendo in crisi gli agricoltori e i pescatori dell’isola: la Cina usa le sanzioni contro la frutta ma non contro i chip, perché altrimenti la sua industria si fermerebbe. Ben il 65 % dei chip è fabbricato qui: questo è l’oro di Taiwan che tutti vogliono.
Il destino di Taiwan
e del mondo intero dipende dai chip: la loro produzione è la più
efficiente al mondo con costi più bassi, hanno ricavi tali da
garantire anche forti investimenti.
Il governo si è impegnato
su questo fronte, investendo nella ricerca e nella formazione:
formano più di cento ingegneri l’anno che poi andranno a lavorare
nel processo dei semiconduttori, processo che bisogno di un luogo di
lavoro “pulito”, una clean room.
Al dipartimento di
nanotecnologie gli studenti lavorano a stretto contatto con le
aziende, in modo da essere preparati poi per il lavoro: si parte dal
wafer per arrivare, con una struttura a strati, al semiconduttore.
Per arrivare a chip sempre più miniaturizzati, sempre più
all’avanguardia: il mondo ancora non ha capito l’importanza dei
semiconduttori, senza i quali non ci sarebbe l’intelligenza
artificiale dentro le auto, dentro gli smartphone.
La tecnologia
dei semiconduttori può influenza la geopolitica nel mondo: Nancy
Pelosi nella sua visita ha voluto proprio visitare la PSMC, la
maggiore industria del settore a Taiwan.
Quella dei microchip è
una catena di produzione che tocca tutto il mondo che ha però un
anello importante a Taiwan: senza chip, niente Apple, prodotti in
Cina.
Taiwan si prepara ad esportare la sua tecnologia in
America: si tratta della fabbrica in Arizona che nel giro di pochi
anni sarà in grado di produrre i semiconduttori più avanzati anche
negli Stati Uniti: questo paese ha capito che i microchip sono un
punto focale nella guerra contro Cina, che ha un ritardo di circa
sette anni dal punto di vista tecnologico.
Un vantaggio che
vale anche nella guerra coi chip dual use: ce ne siamo accorti anche
nella stessa guerra in Ucraina, dove i chip sono montati sui droni e
l’Ucraina sta vincendo perché è riuscita ad avere i chip
migliori.
È quello che si chiama lo scudo di silicio di
Taiwan: l’impatto economico di una invasione dell’isola da parte
dell’esercito cinese sarebbe devastante, il mondo se ne era accorto
già con la pandemia quando le aziende dell’auto aveva dovuto
aspettare mesi per i chip, bloccati sull’isola.
Taiwan teme
che la Cina possa bloccare le catene di approvvigionamento per i
chip, così gli Stati Uniti hanno deciso di importare la tecnologia
all’interno, come backup: ma se gli USA diventassero indipendenti
da Taiwan, poi vorrebbero difenderla dalla Cina?
Ma ci sono
anche esponenti politici favorevoli agli accordi con la Cina: siamo
nel mezzo di un equilibrio di rapporti tra Cina, Taiwan e Stati
Uniti.
Gli interessi dell’isola potrebbero essere diversi da
quelli di Biden e di Zi Jin Ping: senza lo scudo di silicio, cosa ne
sarà del futuro di Taiwan?
Al momento la guerra
è solo commerciale: Biden ha firmato il chips and science act, una
legge per rilanciare il settore del microchip con un investimento da
200miliardi di dollari.
Gli USA vogliono guidare il mondo nella
produzione di questi microchip avanzati, America is back – dice
Biden con un tono che ricorda Trump.
I chip sono dappertutto,
sono dispositivi essenziali anche nel reparto bellico, perché sono
capaci di raccogliere e analizzare informazioni per indirizzare droni
e missili.
Chris Miller insegna storia: il suo libro Chips War
ha vinto un premio, a Presadiretta racconta di come i chip oggi siano
essenziali nella vita moderna, una interruzione nella loro fornitura
porterebbe ad una crisi dell’industria manifatturiera.
Cina,
dopo il chips act, ha risposto in modo drastico: l’hanno vissuta
come una misura protezionistica, perché sono sussidi con cui il
governo USA convincerà nel tornare a casa dopo la delocalizzazione
in Cina. Oggi in casa non si producono chip avanzati, gli USA
dipendono dall’Asia centrale per questi: gli Stati Uniti vogliono
tagliare le dipendenze dalla Cina, per i chip e anche per le batterie
per le auto elettriche (Presadiretta se ne era occupata settimana
scorsa).
Nessun paese al mondo sarà mai autonomo per la
produzione dei chip, in realtà: obiettivo per Biden è bloccare il
progresso tecnologico dell’esercito cinese, su cui il presidente
Ping sta investendo miliardi.
Pechino è in ritardo nella
produzione di chip avanzati, dipende dai suoi concorrenti come Taiwan
e Seul: la storia ha dimostrato di saper raggiungere i suoi
obiettivi, come l’atomica o come i satelliti fino al 5g.
Questa
guerra, che dietro ha interessi di sicurezza nazionale, si combatte
andando a soffocare la tecnologia dell’avversario: sono le sanzioni
imposte dall’America nei confronti della Cina.
Ma secondo l’ex
sottosegretario Geraci (ai tempi del governo Conte aveva firmato gli
accordi sulla via della seta) la pensa in modo diverso: tra cinque
anni la Cina sorpasserà l’occidente e noi rischieremo di finire
nelle economie stagnanti, noi non abbiamo piani industriali, noi non
produciamo nulla. Loro sono statalisti, non sono democrazie,
crescono, mentre noi no.
Che impatto avranno le sanzioni sulla
Cina? Fermeranno gli sviluppi, come quelli sull’intelligenza
artificiale: Nick Bostrom è uno degli esperti di questo settore, il
primo a lanciare un allarme sull’uso non controllato dell’AI.
Biden
ha bisogno che i suoi alleati seguano la sua battaglia senza offrire
nulla: di diversa opinione Chris Miller secondo cui l’Europa per
anni ha potuto sviluppare la sua economia (e resistere nella guerra
in Ucraina) grazie agli investimenti fatti dagli USA nel settore dei
microchip.
Chi vincerà questa guerra dei chip? Si scaldano i
motori della guerra, aumentano le spese militari da ambo i fronti..
In studio la
sinologa Giada Messetti ha commentato questa guerra: la Cina è
l’unico paese che può mettere in discussione l’egemonia
economica degli Stati Uniti.
La Cina oggi teme la politica
americana che tende a contenere la sua espansione economica e
militare, perfino nell’area del Pacifico.
La Cina che in
questi mesi non ha condannato la guerra in Ucraina: è una scelta per
tenere gli americani lontani dall’indo pacifico, ma dall’altro è
meno contenta di questa guerra che le crea problemi economici. La sua
posizione ambigua sulla guerra è ideologica e politica, non può
mollare la Russa perché non accetta più un mondo sotto il controllo
della sola America.
William Reinsch
consigliere del SCIS spiega il perché del protezionismo tecnologico
voluto da Biden: è uno sgambetto per fermare la Cina, impedirle di
crescere e mettere le mani su tecnologie che non vorremmo dare
loro.
Presadiretta è entrata nella sede di Nvidia: qui hanno
realizzato un chip che è l’oggetto più tecnologicamente avanzato
al mondo, si chiama H100 ed è il fulcro di tutti i programmi di
intelligenza artificiale. Dalla traduzione multilingua fino alla
simulazione dentro le città di come si muovono le persone,
l’illuminazione..
Dentro Nvidia lavorano anche per l’auto a
guida autonoma: le aziende che non useranno l’intelligenza
artificiale rimarranno tagliati fuori dal mondo, spiegano a
Presadiretta.
Ci sono poi le applicazioni per uso militare: per
questo motivo il governo americano ha proibito la vendita di H100
alla Cina, ma ci sono anche altre aziende nella Silicon Valley che
senza il mercato cinese rischiano il fallimento, come la
Synaptic.
La lobby dei semiconduttori – SIA - è
preoccupata per questa ondata di protezionismo e per il distacco
dalla Cina: senza la Cina l’innovazione sarebbe troppo costosa,
vorrebbero che il mercato cinese rimanesse aperto, sia per i chip per
uso civile sia per i ricercatori e ingegneri dalla Cina.
Con
Trump è iniziata una caccia alle streghe contro i cinesi, con la
legge “China initiative”: Biden ha cancellato questa legge, ma il
clima di sospetto rimane ancora.
All’MIT lavora il professor
Chen: è stato arrestato nel 2018 con l’accusa di essere una spia
di Pechino, poi è stato rilasciato dopo un anno ma la sua carriera
come ricercatore è stata bloccata.
Oggi non vuole più lavorare
coi semiconduttori, che considera un ambito troppo sensibile, per le
scelte politiche del governo americano, decidendo così di spostare
le sue ricerche sull’acqua.
Ma a preoccupare dovrebbe essere
il fatto che tutto sta diventando sensibile: la scienza deve rimanere
libera, i ricercatori non dovrebbero avere paura per la propria vita,
di dover essere accusati di essere spie.
L’America rischia di
perdere molti talenti, se molti ingegneri, ricercatori asiatici
dovessero abbandonare il paese: non è solo la tecnologia che serve,
servono anche i cervelli, come i moltissimi cinesi che vivono e
lavorano in America.
La guerra dei chip e le tensioni tra
America e Cina hanno generato una guerra nella scienza, tra cervelli:
un mondo diviso in blocchi, con questi due paesi egemoni nella loro
zona di influenza, non porterà la pace nel mondo anzi, sta bloccando
la crescita economica soprattutto in Cina.
Racconta Giada
Messetti che la Cina oggi ha grandi problemi interni: il nazionalismo
è un’arma che Pechino potrebbe usare per nascondere questi
problemi.
Le industrie europee consumano il 20% dei chip
ma ne producono solo il 9%: dipendiamo dalle importazioni, anche
perché non produzione nessun chip sotto i 4 nanometri, siamo
indietro rispetto a Cina, USA, Giappone. Per questo l’UE ha varato
l’European Chips Act, ambendo ad arrivare al 20% di quote di
mercato nel settore dei chip.
Ma noi stiamo investendo poco e in
ogni caso non esiste una industria europea, non esiste una Silicon
Valley europea, ogni nazione fa da sé.
Dovremmo cambiare
mentalità, dovremmo reperire ingegneri e operai specializzati,
investendo anche nell’università.
Ma noi abbiamo un
vantaggio: a Eindhoven ha sede la ASML, dove si producono le macchine
che incidono la superficie dei wafer che poi portano ai chip.
Qui
producono la macchina che tutti vogliono: ogni componente della
macchina dei chip ha dietro un componente sviluppato ad hoc, come le
lenti Zeiss uniche lenti al mondo per una macchina unica al mondo,
per produrre dei microchip unici al mondo…
Gli Stati Uniti
hanno impedito di vendere il loro prodotto alla Cina: è stato un
colpo per la ASML, è un problema commerciale, sono preoccupati delle
limitazioni imposte dalla politica che porterebbero il mondo diviso
in blocchi.
L’Europa dovrebbe avere una propria visione, non
rimanere in scia di America e Cina, per scivolare in fondo alle
posizioni in campo tecnologico.
Nella relazione dei
servizi italiani è presente una infografica: si parla anche dei
semiconduttori, le tensioni nell’indopacifico hanno creato
interruzioni nelle forniture aziendali che hanno impattato anche le
nostre aziende.
La Cina ha paura che l’Europa si appiattisca
sulle posizione dell’America – racconta Giada Messetti: dobbiamo
fare una riflessione sui rischi e sulle opportunità del mercato
cinese, infatti per l’Europa la Cina è il primo mercato.
I chip usati dalla Russia
Nonostante le sanzioni europee contro la Russia, le armi russe continuano ad usare i microchip occidentali che arrivano all’est di contrabbando.
Si tratta di chip
dual use, possono essere usati sia per uso civile che militare: in
questo modo la Russia bypassa le sanzioni.
La Russia inoltre ha
fatto scorte di chip prima della guerra, quando preparava
l’invasione.
Il drone russo Orlan 10 viene usato per
individuare le posizioni ucraine: usa dei componenti sotto sanzione,
usando società fittizie e passando anche per Hong Kong, crocevia dei
traffici dei chip nel mondo.
Milioni di chip olandesi sono
arrivati in Russia senza nessuna violazione, passando per
intermediari cinesi: lo hanno scoperto i giornalisti di NOS, che
hanno raccontato di come per questa vendita non si siano violate
leggi o sanzioni, perché non ne esistono contro la Cina, in un mondo
globalizzato, le sanzioni hanno poco effetto.
Ma la Cina è stata
attenta in questi mesi a non violare sanzioni vendendo armi alla
Russia – racconta alla fine Messetti: sarebbe un suicidio per
questo paese, è una situazione da tenere d’occhio, perché quando
arrivassimo a questo significherebbe che siamo a ridosso di una
guerra mondiale.
Il piano di pace presentato dai cinesi è un
“position paper”, una posizione che spiega secondo il loro punto
di vista come vivere assieme in una situazione pace, è la visione
del nuovo ordine mondiale secondo la Cina. Questo paese si propone
come fattore di stabilità nel mondo, in contrapposizione a Russia e
Ucraina, percepiti come instabilità.
È un messaggio per il sud del mondo, non per l’Europa.
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