31 marzo 2023

Chimere, di Sara Vallefuoco


31 dicembre 1899

San Silvestro

Con la mano insaponata Nina afferra la maniglia. È fredda e e lucida. Cambiata da poco, insieme4 alla serratura del portone.
La presa scivola una, due, tre volte. Alla quarta il portone si apre. Nina si fa avanti e la notte la inghiotte. A Roma stasera tira un vento cattivo, l’ultimo vento del secolo. Nina sta tremando ma non sente il freddo, anche se il cappotto resta troppo leggero.
Fino all’incrocio con via Belsiana sono pochi metri, e da lì sembra tutto dritto, quanto, dieci minuti?
Cinque, se riesce a tenere il passo più veloce che può. Deve pensare solo a questo Nina, a cercare aiuto e a tenere il passo più veloce che può.

Secondo romanzo della scrittrice romana Sara Vallefuoco dove ritroviamo i tre personaggi principali del primo racconto “Neroinchiostro”, i due carabinieri Moretti e Ghibaudo, alle prese coi loro demoni e poi Amelia Spano, che ha deciso di voler diventare medico sfidando le regole e la mentalità ottusa del periodo (e forse non solo di questo periodo).
Non siamo più nella Sardegna dei briganti e delle storie tra l’epico e il reale, raccontate dai cantori. Siamo a Roma, nella Roma capitale del regno che sta cambiando faccia, per l’ambizione di poter diventare una delle principali capitali europee e non solo più la somma di tanti borghi popolari attorno al Vaticano.

La storia di questo secondo romanzo si consuma tutta tra capodanno e l’epifania: nella notte di San Silvestro mentre Roma si prepara per il nuovo secolo, una donna si muove di corsa per le strade della capitale: è una modista, avrebbe dovuto consegnare alla sua cliente un abito da sposa, ma l’ha trovata morta dentro la vasca del bagno.

«Nina, che succede?»

«Un donna è annegata nel bagno, signora. Mia sorella è lì, per il vestito, e noi.. lei non respira, voi siete un’infermiera, studiate da dottore. Mi siete venuta in mente solo voi. Non sapevo da chi altri andare.»

L’unica persona a cui può rivolgersi, per chiedere aiuto, è proprio Amelia perché sa che sta studiando medicina (nonostante i regolamenti e i pregiudizi, tanto da dover prendere marito, il vicebrigadiere Ghibaudo)

Il regolamento la costringe a entrare in aula solo dopo che si è seduto l’ultimo studente maschio, e a uscirne per prima. Per giunta, le e anche vietato assistere alle autopsie. I cadaveri hanno l’abitudine di essere nudi, durante le autopsie. Ah, che gran sospiro. Se con il nuovo secolo lei potesse diventare un po’ meno trasparente..

Pur di sfuggire al ricevimento a cui è stata invitata, Amelia assieme al marito e al collega Moretti, si precipitano sul posto in via delle Vite: la donna, la signora Ilide Mariani, giace morta dentro la vasca, con la testa sommersa dall’acqua

Sembra una sirena, pensa Ghibaudo. No, piuttosto un essere marino sbattuto contro gli scogli. Come si chiama quel pesce di cui ha sentito parlare quand’era in Sardegna? Ecco: chimera. Una chimera era risalita dai fondali più profondi e si era infilata per sbaglio nei palamiti di un pescatore.

Un incidente, quella povera donna potrebbe anche essere morta per un malore mentre si calava nell’acqua. Ma la scena del crimine non convince Moretti, convinto sostenitore del metodo scientifico nelle indagini, la scienza forense applicata alle indagini, con tanto di impronte, di guanti indossati per non inquinare le prove, di schedari dove raccogliere volti, schede, impronte. Tutto questo in un paese dove ancora non esisteva un archivio anagrafico centrale. E dove anziché le foto della scena, c’è un carabiniere buono a disegnare che mette su cartoncino quello che vede.
Ma quella donna-pesce, quella “chimera” ha qualcosa che non va: troppo robusta sui fianchi per pensare che sia scivolata nella vasca per poi morire.
La non indagine dei due brigadieri, che il loro maresciallo ha inserito in un “pomposo” ufficio indagini scientifiche, parte da queste impressioni. Una morte non facilmente spiegabile, un marito che non si trova.

Mentre Moretti segue la sua indagine sulla vasca e sul corpo della donna, Ghibaudo si imbatte, in un inseguimento dove alla fine si ritrova inseguito, in uno strano giornalista de l’Avanti! - il quotidiano del partito socialista, i cui giornalisti sono tenuti sott’occhio dalle forze dell’ordine per le sue denunce nei confronti delle violenze da parte dei carabinieri (erano gli anni di Bava Beccaris e del re Umberto I, poi ucciso a Monza).

I giornalisti dell’Avanti! Sono brutte bestie, pronte a dar fuoco alle polveri contro la repressione regia dei moti operai e contro le forze dell’ordine di cui il governo si serve, così dicono i commilitoni di dei reati politici.

Tra Santacroce e il carabiniere si stabilisce una “strana” relazione, nonostante la reciproca diffidenza iniziale, Ghibaudo ha ancora addosso il ricordo delle sue radici di uomo del popolo (come tante delle vittime dei soprusi dello Stato), l’essere stato cacciato di casa ed essere finito per strada, poi la scelta dell’arma come ancora di salvataggio. Il giornalista lo mette su una pista interessante: pochi mesi prima un’altra donna, Clotilde Tofanelli, è morta in condizioni simili, trovata morta dentro la vasca, sposata da pochi giorni.
Non può essere un caso: c’è un assassino in giro per Roma, che uccide le sue vittime in un modo che i due carabinieri ancora non hanno compreso. Cosa lega tra loro queste due donne? Solo arrivando a questo si potrà arrivare al perché della loro morte e all’assassino.

Nonostante ci siano due personaggi maschili, in questo romanzo a più voci (che rende la lettura un po’ intricata ma sicuramente stimolante per i cambi di contesto), questo è un racconto al femminile.
Perché le due vittime sono donne, come sono vittime a modo loro anche le due sartine, Nina e Marietta, costrette a scappare dal loro paese
(dopo un incidente in famiglia) e ad arrivare a Roma col sogno di emanciparsi

Amelia non fatica a capire perché: due femmine inutili che potevano morire quando e come volevano, e invece a salire in cielo è stato l’unico erede maschio.

Essere donna, nell’Italia della belle epoque, ma anche nell’Italia di oggi, voleva dire trovare un marito da sposare ed essere moglie, avere figli. Non avere altre ambizioni.

Non è facile essere donna nemmeno per Amelia, sposata da pochi mesi con Ghibaudo in un matrimonio di facciata che conveniva ad entrambi ma che ora si è incagliato nelle prime difficoltà di una vita coniugale. “Sono tua moglie” gli ripete, quando lui fa fatica ad avvicinarsi, ad accettare il suo calore, un suo contatto. Mentre avrebbe bisogno di qualcuno con cui confidarsi, con cui parlare.

Avevano creduto che sarebbero bastate le rispettive volontà per mantenere la promessa degli amici preziosi, l’uno a sostegno dei progetti dell’altra. E invece non sono immuni, né lui né lei, ai legacci che stringe il matrimonio: l’obbligo alla fedeltà, al sesso, alla procreazione. Quanto erano stati giovani e ingenui, solo cinque mesi prima?

Sullo sfondo una città, che l’autrice descrive con minuzia di dettagli, che stava cambiando faccia e, probabilmente, anche l’anima. La Roma dove i prati e le pecore lasciavano il posto ai nuovi quartieri, dove venivano costruiti enormi monumenti in marmo bianco come il Vittoriano, una macchia bianca in mezzo al travertino romano.
Sparivano vecchie botteghe come quelle in via del Corso con la loro puzza di fritto e di frattaglie che dava fastidio alla nuova borghesia che passeggiava nel centro. Tutti stranieri in quella Roma, sia i buzzurri, ovvero gli immigrati che venivano dal nord, che i cafoni gli operai e i muratori dal sud per costruire i nuovi quartieri.

I romanzi di Sara Vallefuoco non sono semplici, nemmeno troppo lineari, per i continui salti avanti e indietro nel tempo dei vari protagonisti, ostaggi del loro passato: è come assistere allo stesso film ma visto da punti di vista diversi. Protagonisti che il finale inaspettato di questa storia (per nulla banale, assolutamente coinvolgente) metterà di fronte a delle scelte da compiere, che vedremo poi all’opera nel prossimo volume.

La scheda del libro sul sito di Mondadori

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