13 marzo 2023

Cinque blues per la banda Monterossi di Alessandro Robecchi



Scrivere un racconto è tra le cose più deplorevoli che esistano. Come spesso capita con le cose più deplorevoli, è anche tra le cose più divertenti ed eccitanti nella vita di qualcuno che scrive, che per prima cosa sarà obbligato a chiedersi, perché proprio un racconto?

Inizia con queste righe, nel preambolo da titolo “Le deplorevole arte del racconto”, che è una sorta di saggio sul racconto breve, questa raccolta di racconti con Carlo Monterossi, il personaggio inventato dallo scrittore, giornalista, autore televisivo Alessandro Robecchi protagonista di una fortunata serie di gialli (e non solo), nata ormai dieci anni fa. In attesa del prossimo romanzo, che sarà il decimo e dunque, come ha scritto l’autore sul suo canale Twitter, “dovrà essere perfetto”, godiamoci questi cinque blues con la banda Monterossi. Sono racconti molti milanesi e che ci aiutano a raccontare la metropoli con un occhio diverso: quello di una persona agiata col suo bell’appartamento in zona Porta Venezia, cosa che Carlo Monterossi può permettersi grazie ai guadagni come autore di un programma della “grande fabbrica della merda”, la trasmissione dove si fa pornografia dei sentimenti a basso costo pur di prendersi qualche punto di share in più.

«Un vincente involontario che fa il tifo per i perdenti», si è detto del Monterossi..

Dalla sua posizione privilegiata, di benestante, Monterossi riesce a vedere sia la Milano delle persone che vivono in palazzine liberty, con tanto di autista, sia la Milano di quelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese, che vivono di espedienti, che una casa propria non l’avranno mai, né a Milano né altrove probabilmente. Persone e vite che incontra nel corso delle indagine che si trova a dover affrontare, inizialmente per gioco, come rivincita per quel mestiere di autore televisivo che così gli pesa sulla coscienza, poi come finanziatore della Sistemi Integrati, l’agenzia investigativa con dentro l’enigmatico socio Oscar Falcone.

Dentro Monterossi convivono questi due mondi: da buon idealista ha ancora una sua coscienza da difendere, anche ingenuamente, ma anche un tenore di vita da conservare

Soldi, si torna sempre lì. Soldi e coscienza. Soldi e decenza. Darwninismo sociale e il merito dei già meditati, Shakespeare nella Milano di oggi: «siamo fatti della sostanza di cui sono fatti i soldi».
Ecco.
Permettersi qualche dubbio esistenziale su questo assunto ormai inconfutabile è il vero lusso del Monterossi, altro che whisky costosi, macchina da signorotto e appartamento da vip.

In un racconto non puoi permettersi di lasciare le cose a metà
– racconta Robecchi in questa lunga introduzione, ognuno deve avere una sua precisione chirurgica: questo vale per tutti i racconti che leggerete qui, a cominciare dal primo, scritto nella prima fase del Monterossi, in cui Robecchi faceva largo uso dell’autoironia, delle battute, cosa che ha imparato a dosare meglio nel corso degli anni.

Il tavolo

Un investimento sbagliato, anzi una vera e propria truffa, e Carlo Monterossi, l’uomo agiato rischia di diventare l’uomo povero.
Riuscirà a riprendersi il suo grazie ad un tavolo da gioco gestito da un clan calabrese

Serafino Sonnino. Laurea in giurisprudenza. Master ad Harvard. Droga, estorsione sequestri, ma ha smesso, pare. Edilizia, molta, racket più che un po'. Un piccolo esercito collegato alle cosche della locride, ma con legame lasco, non è uno che lavora conto terzi. Hobby: bische. Passatempi correlati: ricatto e usura. Chi gli ha rotto i coglioni non è mai andato in giro a raccontarlo. O forse al becchino, chissà.

Killer

Un cane viene rapito a Milano e Oscar Falcone, assieme a Monterossi, viene incaricato di ritrovarlo. Che indagine potrebbe essere questa? Solo che il cane appartiene ad una ricca e molto bella signora milanese che è anche amica, molto amica, di un banchiere, capo della banca che fa tremare i listini.
Ed ecco spiegato l’interesse per ritrovare quest
o chihuahua: un’indagine che sarà anche un viaggio nella verde Brianza, quella zona che si estende al nord di Milano, indicativamente quando i capannoni e il cemento lasciano lo spazio al verde, alle dolci colline, alle statali invase dai ciclisti della domenica

.. posti che si chiamano Cascina Perego, Cremnago, cartelli che indicano luoghi lontani, druidi, riti pagani, palafitte e capannoni, tipo Pomelasca, Lurago d’Erba, tra qualche chilometro e qualche centinaio di ciclisti. Il Seveso pare ancora un fiume.
Doppio misto

Anche i killer, anche la coppia di killer milanesi protagonisti di questo racconto, possono avere un’etica. Strano no? Oppure non è strano, in un mondo dove non si premiano gli industriali che fanno investimenti, che guardano al futuro, ma invece quelli che puntano al profitto, ai soldi che producono soldi e solo se ce l’hai, puoi mettere sul tavolo le tue fiches, altrimenti quella è la porta si accomodi. Chi solo allora i cattivi, in questa storia? I due committenti della coppia dei killer oppure questi due, l’uomo con la faccia da schiaffi e il professore?

Il marito, la sua stupida fabbrichetta che arranca per il calo degli ordinativi, la proposta di acquisto del terreno per un qualche grattacielo superlusso, magari col bosco sui balconi e una fetta della torta, a metri quadri venditi a peso d’oro.
Soldi, tanti.
E lui, il cretino, che vuole continuare a fare l’industriale, a tirar l’anima coi denti tra bilanci e sindacati, quando bastava firmare una carta e sarebbero stati ricchi. Ricchi veri.
Piccola suite borghese

Si parla ancora della borghesia milanese qui: quella borghesia “con le ville liberty sul lago, la Ferrari in cortile e l’etica del lavoro degli altri”. Si tratta di una famiglia che si occupa di arredamento, ma non per gente qualunque. Arredamento per super-ricchi, quelli che si fanno costruire le ville dagli archistar, che scelgono i tessuto per i tendaggi andando in giro per il mondo. Un’azienda che vive per quel lusso e dove ad un certo punto iniziano a girare delle cartoline, dove qualcuno ben informato inizia a parlare di una futura cessione..
Un omaggio allo scrittore Hans Fallada e al suo capolavo
ro “Ognuno muore solo” che Primo Levi definì "uno dei più bei libri sulla resistenza tedesca contro il nazismo".

Occhi

Nell’ultimo racconto ritroviamo nuovamente una famiglia di industriali, settore della meccanica di precisione questa volta, la morte del capostipite e un testamento che tira in ballo un figlio non riconosciuto che la pregiata ditta Sistemi Integrati deve ritrovare perché, dopo tanti anni, anche a lui spetta un pezzo del patrimonio.

Ma c’è una storia dietro. Una storia di rabbia, di miseria, di frustrazione. E di un idealismo teorico che non ti aiuta a riempire la pancia a cui risponderà il sano pragmatismo del Monterossi, capace di vivere tra i due mondi, le due caste di chi sta sopra e chi vive nei sottofondi, “come un topo nel formaggio”:

Lui, invece, fa il professore, ma in che modo non si è capito bene: «Insegnava, si, ma un giorno, saranno dieci anni fa, è tornato a casa, su è seduto dove è lei adesso» - indica la sedia di Carlo - «e ha detto che non insegnava più, si era dimesso. Campa di ripetizioni, di eterne e inutili riunioni in case editrici che pagano a stento.»

Mai fidarsi di due begli occhi, Monterossi! Per fortuna che c'è il vecchio Bob per consolarsi.

La scheda del libro sul sito dell'editore Sellerio

Il blog dell'autore

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