Prologo
Della sovranità limitata
Il 23 giugno del 1981 il Partito Comunista francese (Pcf) entrò a far parte del governo, con ben quattro suoi ministri. Il mese prima era stato eletto presidente della Repubblica Francois Mitterrand, che aveva fatto risorgere il partito socialista. Né l’ambasciata Usa a Parigi, né il Dipartimento di Stato a Washington, né altri osarono eccepire alcunché. Il Pcf, che rimase al governo per 3 anni era, ed era sempre stato, in Europa occidentale, il più òlegato all’Urss. Negli anni in cui fu al governo, a Mosca vi era Breznev, a Washington Reagan, ed era in corso una fase assai rischiosa della «guerra fredda»: il braccio di ferro sugli «euromissili».
Per l’Italia invece si dovette attendere l’autoscioglimento del PCI (1990-91), costellato di reiterati mea culpa retroattivi sul proprio passato, perché fosse consentito ai super-pentiti di accedere, con altri molti, al governo. In Italia non era consentito, da oltre Atlantico, ciò che in Francia era, ovviamente, riservato alle scelte degli elettori.
Come è potuto succedere?
Come
è potuto succedere che un partito fondato da gerarchi ed altri ex
fascisti, non pentiti, sia potuto entrare in Parlamento, arrivando
oggi, attraverso il partito di Fratelli d’Italia (nato dalla
sconfessione di Alleanza Nazionale) al governo?
Come è potuto
succedere che un partito fondato da un gerarca della Repubblica
Sociale, che formalmente combatteva gli alleati nella seconda guerra
mondiale, entrare in Parlamento e, seppur tagliato fuori dall’area
di governo, diventare stampella della DC quando conveniva (vedi
esperienza del governo Tambroni)?
Come
può definirsi atlantista, oggi, la presidente del Consiglio in
carica, Giorgia Meloni, avendo come riferimento proprio Almirante?
La
risposta la da questo breve saggio dello storico Luciano Canfora ed è
la somma di due parole: “sovranità limitata”.
L’Italia è
uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, sia l’atteggiamento
ambiguo del re Savoia (che aveva firmato tutte le leggi fascistissime
del regime, le leggi di discriminazione contro gli ebrei, avallato
l’entrata in guerra), sia una certa sfiducia nel generale Badoglio
(che rimaneva il condottiero che aveva riportato l’impero sui colli
fatali) avevano convinto gli Americani del fatto che la nostra
politica interna dovesse essere ben controllata da oltre oceano.
Nel destino dell’Italia invece pesarono l’ambiguità del re e la mediocre tortuosità con cui il governo Badoglio pervenne all’armistizio dell’8 settembre 1943, trasformato dopo oltre un mese (13 ottobre) nello status di «co-belligeranza»: che non significava «alleanza» ma affiancamento nel conflitto contro un nemico comune. Inoltre, la continuità delle persone era a dir poco imbarazzante: innanzi tutto il re, che aveva firmato la dichiarazione di guerra all’Inghilterra e alla Francia il 10 giugno 1940 (e agli Stati Uniti l’11 dicembre del ’41), mentre a capo del governo era il ‘conquistatore’ di Addis Abeba nel 1935. Tutto questo comportò che, a guerra finita, fossimo comunque considerati «paese vinto».
La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita come sancisce la
Costituzione, ma fino ad un certo punto: questo spiega il perché il
Partito Comunista dovesse essere tenuto lontano dalle stanze del
potere, come mai tanto nervosismo da parte di Washington per il
disegno di Moro di allargare l’area di governo alle sinistre (con
tanto di minacce). E questo spiegherebbe anche come è stato
possibile ad un partito nato dal fascismo di poter fare politica:
perché serviva a questo disegno di sovranità limitata, in quanto è
dall’arcipelago nero, a destra del movimento sociale, che sono nate
quelle formazioni di estrema destra responsabili degli episodi
criminali della strategia della tensione.
La
fine della guerra fredda, anziché liberare il mondo dall’incubo
del nucleare, dalle tensioni del mondo diviso in blocchi, hanno di
fatto posto la fine della sinistra, quello che era politicamente in
Italia, la fine del blocco costituzionale che teneva fuori dal
governo il Msi, che poi divenuto Alleanza Nazionale e abiurato al
fascismo (almeno secondo quanto diceva il suo segretario Fini) è
potuto entrare al governo nel 1994.
Da allora la marcia
trionfale, sempre in crescita, dove quelle origini non hanno mai
costituito un ostacolo, ha proseguito fino ad oggi.
Cosa ha favorito la crescita dei partiti a destra della DC, finanche il movimento sociale e ora Fratelli di Italia (fratelli e parenti)? Si dovrebbe parlare del suicidio della sinistra, abbagliata dalla terza via blairiana, pronta a sconfessare sé stessa appena arrivata al potere. Si dovrebbe parlare di un paese che ha visto crescere la povertà, le disuguaglianze, le ricchezze concentrate nelle mani di poche, nella precarizzazione del lavoro, sempre più sfruttato e povero.
L’autore ricorda una riflessione di Giorgio Amendola, storica figura del PCI che nel 1973 su l’Espresso dal titolo emblematico “Prima che il sud diventi fascista”: la povertà e la disoccupazione sono un serbatoio enorme per questa destra capace di cavalcare il malcontento presentandosi come difensore degli ultimi. Ma non è così.
Una ventina d'anni dopo sul Corriere della sera (1 giugno 1994, pagina 33) Orazio Maria Petracca (1917 2008) equilibrato conoscitore della nostra storia Repubblica nonché consigliere politico confindustriale, formulava lucidamente i temi della questione all'indomani delle dichiarazioni rassicurarti del leader di AN (a ridosso della prima vittoria elettorale di Berlusconi): «Altro non può essere oggi in Italia il fascismo se non una sotto specie della tipologia democratica [..] Un regime formalmente democratico nelle sue fonti di legittimazione, ma strutturalmente caratterizzato da una forte concentrazione del potere e da una gestione del conflitto sociale sbilanciato a vantaggio degli interessi egemonici.»
Vi ritrovate in quanto scritto tanti anni fa con quanto sta avvenendo oggi, con l’occupazione delle Rai, delle commissioni, col taglio al reddito di cittadinanza da una parte e l’occhio benevolo verso le imprese che vogliono fare e che dunque non dovranno temere controlli da parte dello Stato?
A
tutto questo va
aggiunta la memoria breve degli italiani, l’abbandono da parte
della sinistra dell’antifascismo (nel senso di quei valori alla
base della nostra Costituzione, non solo nel giorno del 25 aprile) e
dall’altra parte un continuo sdoganare, un pezzo alla volta, del
fascismo, che, ci dice la sempiterna propaganda, ha fatto anche cose
buone e cosa importa del manganello, della soppressione delle
libertà, della chiusura del Parlamento.
Tanto, continuano a
ripetere, il fascismo è morto nel 1945. E se il fascismo è morto
che senso ha continuare a tirar fuori questo inutile fardello che è
l’antifascismo?
Ma nemmeno questo basta a spiegare quanto è successo in questi anni (un partito da pochi punti % che oggi si trova a comandare – nel senso stretto direi – il paese).
La decisione di schierare truppe Nato, anche italiane, in Lettonia a partire dal 2018 è una idiozia degna della fallimentare politica estera di Barack Obama. L’Europa e l’Italia non hanno alcun interesse a creare un clima di guerra fredda con la Russia.
Tweet di Giorgia Meloni del 14 ottobre 2016
Si
deve tornare a parlare di fedeltà atlantica, una sorta di
assicurazione che copre tutti i danni, anche per esempio aver per
anni guardato al modello putiniano (e anche Orbaniano, in senso di
Orban, il presidente dell’Ungheria) di gestione del potere: un
modello di sicuramente si vota, ma che non può essere definito una
democrazia perché mancano i suoi tratti distintivi, la separazione
dei poteri tra parlamento, esecutivo e magistratura, l’indipendenza
dei mezzi di informazione, la possibilità di manifestare il
dissenso..
L’aspettativa di vita di un governo che per durare punta sul baratto (presidenzialismo in cambio dell'autonomia) è in realtà legata piuttosto alla prosecuzione dell’attuale guerra in Europa. Finché dura tale emergenza in noi cantiamo in prima fila, il Grande Fratello [americano] non negherà il sostegno ed il governo armigero resterà sui suoi scranni. Non parrebbe, ad oggi, aver molto da temere dalle opposizioni parlamentari tutt'ora tra loro divise.
Si
torna al tema di partenza, l’occhio lungo del Grande Fratello
americano (come lo chiama l’autore) sulla politica estera italiana,
che i governi Berlusconi avevano tanto preoccupato e che erano stati
accettati solo per l’appoggio alle guerra americane per esportare
la democrazia (e per il supporto bellico).
Nonostante tutto il
patriottismo e l’amor patrio sventolato per ogni dove rimaniamo un
paese a sovranità limitata: dall’Europa per quanto riguarda la
politica economica, fatta nel segno dell’austerità che di fatto ha
accentuato la crisi sociale e il mancato sviluppo del nostro paese.
E da Washington per quanto riguarda la politica estera: niente via della Seta, niente ambiguità col nemico russo, niente avventure nei paesi dall’altra parte del Mediterraneo che possano creare problemi con gli altri paesi del fronte atlantico.
A proposito, mi chiedo se non ci sia stata della crudele ironia da parte della presidente nel chiamare piano Mattei il piano per i paesi africani: investimenti (a favore delle multinazionali europee) nei paesi africani in cambio del contenimento dei flussi migratori, secondo il modello libico.
Mattei non avrebbe gradito, non per filantropismo, ma solo perché era un imprenditore che sapeva guardare lontano, consapevole che trattare alla pari i paesi africani, ovvero con commissioni più alte, sarebbe stato conveniente per tutti.
Dove questo paese ha invece una sovranità non limitata, anzi illimitata? Nella politica sui (o contro) i migranti: da quel punto di vista nessuno, né la democratica e civile Europa e nemmeno la grande democrazia americana hanno nulla da dire sui respingimenti, sui finanziamenti alla guardia costiera libici, sui lager in Libia, sulla stretta contro le ONG, che questo governo Meloni ha considerato così urgente tanto da dover essere affrontata sin dai primi mesi (assieme alla stretta contro i rave party).
Questa è la nostra sovranità, dunque, in evidente contrasto con la propaganda di un partito che ha fatto del sovranismo la sua chiave.
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