Sulle sigarette usa e getta
Un
nuovo
servizio sulle sigarette usa e getta, come promesso alla fine
della scorsa puntata: come si riciclano i suoi componenti e dove? Non
sapendo dove gettarle, c’è il rischio che finiscano disperse
nell’ambiente. Mancano i raccoglitori per queste sigarette, nemmeno
chi le vende si preoccupa di questo: le indicazioni di gettarle
nell’indifferenziata sono sbagliate: una marca nel foglietto
illustrativo riporta l’indicazione “rifiuto elettronico”,
mentre altre marche scrivono da smaltire seguendo le conformità
delle disposizioni locali, che non vuol dire niente.
Antonella
Cignarale ha contattato le aziende che importano queste sigarette:
alla Iwik
l’atteggiamento è “me lo chieda per iscritto e io le rispondo”,
alla fine Report ha chiesto al ministero dell’Ambiente ed è emerso
che la Vapour international si è iscritta ad un consorzio per
finanziare la raccolta differenziata dei rifiuti elettronici dopo le
richieste di Report.
Come si comporta la Noova,
sui cui foglietti indica “seguire le disposizioni locali”: è il
buon senso- risponde il rappresentante della società, è sempre così
coi nuovi prodotti, poi qualcuno ci penserà a come riciclarli.
Speriamo, almeno.
Sul Fatto
Quotidiano Marco Franchi da una anticipazione del servizio, dove
si parla della presenza di sostante nocive dentro queste sigarette:
“Tracce di sostanze nocive nelle sigarette usa e getta”. Si concentra sulle cosiddette “Puff”, gli inalatori aromatizzati tanto in voga tra i giovanissimi, la nuova inchiesta della trasmissione Report, in onda questa sera su Rai 3. Si parla, in particolare, delle sigarette elettroniche non ricaricabili, che grazie a un prezzo contenuto (circa 8 euro) e a tutta una serie di aromi particolari (pop corn, zucchero filato, dolci e biscotto) sono molto in voga perfino tra i bambini di 11-13 anni. Nel servizio firmato da Antonella Cignarale, alcuni giovani testimoni ammettono di aver “sviluppato una dipendenza anche dalle Puff, perché l’odore ti piace e quindi continui”. Il problema è che uno studio commissionato da Report in collaborazione con l’Istituto ‘Mario Negri’ e l’Università di Torino, riporta come in alcuni tra i 6 campioni di aerosol forniti da marche maggiormente trovate presso i rivenditori, siano state trovate tracce di nichel due volte superiori ai limiti autorizzati in un litro d’acqua, valore che raggiunge le sei volte se parliamo del piombo. Si tratta di sostanze che, secondo il professor Claudio Medana – docente di Biotecnologie molecolari per la salute all’Università di Torino, “hanno diversi tipi di tossicità sia sul sistema nervoso, sia sul sistema cardiovascolare”.
La scheda del servizio: IL RITORNO AL MONDO DEI PUFF
di Antonella Cignarale
Report ritorna sulle sigarette elettroniche usa e getta. A differenza delle sigarette elettroniche tradizionali, la quasi totalità delle usa e getta in commercio in Italia non è ricaribile e una volta esauriti i tiri a disposizione la sigaretta monouso va gettata. Dove, però, conferirla correttamente per riciclare i suoi componenti non è neanche chiaro a tutti, né tra chi le usa né tra chi le vende.
Il mercato delle sigarette elettroniche usa e getta è esploso in Italia da più di un anno, ad autorizzare il loro commercio sono i ministeri competenti, ma alcune sostanze che si possono inalare con questi dispositivi elettronici non sono state ancora regolamentate. Report a scopo esplorativo ha voluto analizzarle.
Il lato oscuro del mondo elettrico
Ci
sono gli obiettivi dell’Unione Europea, che impongono entro il 2035
il traguardo di un’Europa ad emissioni zero (per auto e furgoni di
nuova generazione). Obiettivo importante se vogliamo mantenere un
mondo dove sia ancora possibile vivere, ma su cui la Commissione si
sta scontrando con le lobby del fossile, ostinate a non arrendersi a
questa transizione che farebbe loro perdete profitti e posizioni di
potere. C’è però anche il lato oscuro dell’elettrico, di cui
poco si parla.
L’Europa di Von Der Leyen "primo
continente al mondo neutrale dal punto di vista climatico" sarà
un’Europa sostenibile?
L’obbligo giuridico del green deal
europeo prevede emissioni zero per auto e furgoni di nuova
produzione, obiettivo ambizioso – racconta
l’anteprima del servizio di Giulio Valesini – che nasce però
da dati incompleti, di cui se ne è accorta la Corte dei Conti
europea.
Lo
spiega a Report Annie Turtelboom esponente della Corte: “la
Commissione sta lavorando su dati vecchi, che risalgono al 2016, ma
siamo nel 2023, e sono anche dati incompleti. La Commissione è molto
ambiziosa ma il nostro ruolo è vedere come hanno fatto i calcoli
..”
C’è stata una strategia cieca, dunque?
“Abbiamo
un accesso limitato alle materie prime minerali, questo significa che
dobbiamo importarle da paesi extra europei, la produzione di batterie
richiede molta energia che da noi costa cara. Per questo siamo
arrivati a due conclusioni: o non si raggiunge l’obiettivo del
2035 o lo si raggiunge importando automobili da Stati Uniti e
Cina.”
Questo cosa comporterebbe: lo spiega Andrea
Taschini – dirigente d’azienda “io essendo un manager metterei
la produzione di auto più vicina possibile al massimo valore che
riesce a dare, quindi batterie, motori elettrici e software per la
maggior parte sono prodotti in Cina, l’auto me la vado a produrre
in Cina.”
A rischio c’è tutta la filiera dell’automobile
europea e anche la stabilità sociale: conclude
Annie Tortelboom “ricordiamoci
che in Europa 3,5 milioni di persone lavorano nell’industria
automobilistica, in Italia sono circa 200mila, puoi spingere sulla
neutralità climatica ma bisogna vedere se vogliamo raggiungere
l’obiettivo solo importando dalla Cina.”
Colpa
della cattiva lungimiranza dei manager dell’auto in Italia, colpa
della dipendenza dei paesi dal fossile. Ma c’è anche
un altro aspetto di cui parlerà il servizio: deforestazione,
villaggi sgomberati a forza, operai bruciati vivi.
Chi vuole il
nichel per le auto elettriche, ad esempio, deve andare in Indonesia,
il più grande paese del sudest asiatico. I giornalisti di Report
sono andati a Imip, gigantesco distretto industriale da 15 miliardi
di dollari dove si fa tutto, dall’estrazione alla raffinazione dei
semilavorati. Praticamente l’intera industria automobilistica
mondiale prende qui il nichel per le batterie, da Tesla a Stellantis,
Mercedes, Volkswagen e poi i marchi cinesi.
La fabbrica di Imip
però inquina il fiume, i terreni coi suoi scarti industriali creando
un danno ambientale e un danno ai pochi pescatori rimasti.
I
rifiuti tossici sono depositati in un’area a cielo aperto copre 600
ettari: questi rifiuti hanno inaridito il mare, hanno ucciso la sua
flora e la fauna, Report ha documentato come le acque siano diventate
rosse mentre solo pochi anni fa erano blu cristallino. Anche le acque
dei fiumi, lontano dal mare, sono di un rosso intenso.
Ma le
aziende dell’auto sanno come viene prodotto questo materiale in
Indonesia e dei danni all’ambiente, l’hanno visto coi loro occhi
oppure possono dire, “noi non sapevamo”?
Giulio Valesini lo ha chiesto alla segretaria generale dell’associazione mineraria di nichel in Indonesia, strappando una risata che spiega tante cose : “andiamo.. noi non nascondiamo nulla a nessuno, qui c’è la massima trasparenza, tutti gli investitori occidentali sanno bene come si estrae il nichel e come si fanno le lavorazioni successive.”
Lo sa la Tesla di Elon Musk, il cui nuovo mega impianto in Europa si trova nella regione di Brandeburgo a 35km da Berlino: qui si producono sia le auto che le batterie al litio. È stato inaugurato in grande stile il marzo scorso con Musk che improvvisava balletti mentre consegnava personalmente le prime 30 Tesla appena sfornate.
Per far posto ai 227 mila metri quadri dello stabilimento sono stati abbattuti 300 ettari di foresta perché la giga factory è stata costruita dentro un’area di protezione dell’acqua potabile del land e ora è associata all’impoverimento delle acque e a sospetti di inquinamento delle falde.
Perché è stato autorizzato questo impianto proprio in questa zona dove c’è questa criticità d’acqua?
“E’ ridicolo” – questa la risposta di Elon Musk alla domanda, l’acqua c’è, vi pare di vivere in un deserto?
Certo, se incassi milioni di euro, puoi permetterti di ridere.
E l’Italia che fa in tutto questo? Il ministro dello sviluppo economico Urso ha lanciato un ambizioso progetto per un piano minerario nazionale con decine di siti da rilanciare, sparsi su tutto il territorio, ma specialmente nel centro e nel nord-ovest, per estrarre alcuni dei minerali critici di cui l’industria dell’elettrico ne avrebbe bisogno.
Il più grande giacimento in Italia si trova in un parco naturale in Liguria – racconta il ministro del made in Italy: si tratta di un giacimento di titanio che si trova in un angolo della Liguria di straordinaria bellezza, l’area protetta del Begua, tra Genova e Savona. Dal 2015 è un parco protetto dall’Unesco: si parla di 400 miliardi di euro di risorse, così vede la questione Ada Benedetto consigliera della compagnia europea Titanio, come si tutela l’ambiente con l’interesse economico?
“Non saprei come rispondere”, la risposta purtroppo la dice lunga.
La scheda del servizio: SCOPERTA ELETTRIZZANTE
di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella
collaborazione Eva Georganopoulou, Stefano Lamorgese
Deforestazione, centrali a carbone, interi villaggi sgomberati con la forza, scarti chimici nelle acque, operai bruciati vivi, schiavi bambini, fauna e flora devastate, incidenti mortali. Sono il prezzo nascosto dell’auto elettrica. La rivoluzione verde, infatti, come tutte le rivoluzioni, non è un pranzo di gala. La Commissione Europea ha deciso che dal 2035 si potranno vendere solo veicoli elettrici. Bisogna abbattere a tutti i costi le emissioni di Co2 per combattere l’effetto serra. Ma se la transizione avverrà senza tenere in conto i costi umani e ambientali, rischia di essere solo una tinta di verde che copre ogni sorta di abusi. La parte più importante di un’auto elettrica è la sua batteria: 500 chili di minerali tra cui nichel, litio, manganese, cobalto, che viaggiano fino a 50.000 miglia nautiche prima di raggiungere la fabbrica in cui saranno trasformati in celle. Non proprio a Km zero. E d’altronde i fornitori di materie prime per ogni singola casa automobilistica sono centinaia: è difficile sapere da dove arrivano e dove finiscono i minerali per i veicoli elettrici, nemmeno il congresso americano è riuscito a farli mappare. Report ha deciso di indagare sulla filiera del nichel, un minerale che costituisce il 10% circa del peso delle batterie più performanti, dai 39 ai 43 chili per auto. La troupe di Report è finita in Indonesia dove ha potuto documentare quanto poco pulita è la filiera e quanto incide sui diritti umani più basici, a partire dall'accesso all'acqua. Anche nella vicina Germania, la fabbrica di Tesla è al centro di infuocate polemiche per il suo impatto ambientale.
I controlli nei poligoni
La
tragica vicenda della strage
causata da Claudio Campiti a Roma, lo scorso dicembre, ha portato
alla luce gli scarsi controlli dentro i poligoni di tiro.
Claudio
Campiti si è procurato proprio nel poligono dove si esercitava
regolarmente la glock 45 con cui ha ucciso 4 donne a Fidene, l’ha
portata via dal poligono di Tor di Quinto, mezz’ora prima della
strage, senza che nessuno, come emerge dal processo, se ne sia
accorto.
Lo racconta l’avvocatessa Natalie De Cintio a Report:
il giorno della strage, 11 dicembre 2022, Campiti non ha mai
raggiunto le linee di tiro, i carabinieri che hanno svolto le
indagini, dopo essersi resi conto che la pistola era di proprietà
del tiro a segno, si sono recati al poligono, chiedendo dove si
trovasse Campiti, “dopo un’ora e quaranta minuti nessuno al
poligono si era accorto che Campiti non era mai andato alla linea di
tiro”.
Al processo il presidente del poligono spiega quali fossero le modalità di consegna e controllo delle pistole da parte dell’armaiolo: “lui aveva al computer le armi che erano fuori, quando vedeva che c’era un’arma fuori da troppo tempo io so, perché così mi dicevano, che chiamavano giù. Poi se non lo facevano non lo so.. ”
Ma lei non era il barista, era il presidente – chiede il sostituto procuratore di Roma Musarò: “ha dato una disposizione in questo senso o era una iniziativa di Maturo e lei ne prendeva atto?”.
“Allora, disposizioni scritte non ce n’erano, io sono il presidente, non è che mi posso mettere appresso a 30 soci che vanno a prendere l’arma al giorno”.
Secondo il pm Musarò, “Campiti aveva potuto impossessarsi della pistola marca Glock presa a noleggio e ad allontanarsi dal poligono per una macroscopica falla esistente all’interno del T.S.N. di Roma”.
Come è potuto succedere? Un istruttore prova a rispondere a Report, in anonimo: quello là ha rubato una pistola e se ne è andato, non può esserci alcun controllo, “non è un posto privato questo, questo è un posto aperto al pubblico. È come se tu vai ad un circolo golfistico e affitti le mazze da golf e te ne vai con le mazze da golf..”
Peccato che Campiti si sia portato via un’arma: “e perché, pensi che sia così difficile procurarsi una pistola?”.
Fino al giorno della strage il regolamento del poligono prevedeva che il tiratore andasse a ritirare l’arma in armeria e da solo percorresse i 247 metri che la separano dalla linea di tiro, tenendo la pistola dentro una valigetta chiusa da una fascetta di plastica, attraversando anche aree aperte al pubblico, come un parcheggio e un bar. Questo succedeva tutti i giorni, senza nessun controllo: ovvero ogni giorno succedeva una cosa che non doveva succedere, detenzione illegale di arma in un luogo pubblico.
Nessuno
aveva mai fatto un addebito al poligono, nemmeno all’assemblea dei
soci, dove si metteva a disposizione di tutti il regolamento interno
– così si è difeso nel corso del processo il presidente del
poligono.
L’UITS, pure tirata in ballo nel corso del processo,
ha scelto di non rispondere alle domande della giornalista.
La scheda del servizio: TIRO A SEGNO
di Giulia Presutti
L'11 dicembre 2022 un uomo di nome Claudio Campiti è entrato armato a Fidene nell'assemblea di un consorzio di abitazioni e ha fatto fuoco uccidendo quattro donne. La pistola è risultata di proprietà del Tiro a segno di Roma, il poligono dove Campiti si esercitava regolarmente. Da lì aveva sottratto l'arma circa mezz'ora prima della strage. Ma come? Il regolamento del poligono prevedeva che gli iscritti, anche privi di porto d'armi, noleggiassero la pistola in armeria e percorressero poi in autonomia lo spazio di 247 metri che li separava dalle linee di tiro. L'assenza di controlli sulle armi è finita sotto la lente della Procura di Roma, che ha ottenuto il rinvio a giudizio anche del presidente e dell'armaiolo del Tiro a segno. Ma chi doveva controllare l'operato del personale del poligono? L'Unione Italiana Tiro a Segno è una federazione sportiva affiliata al CONI ma sottoposta alla vigilanza del Ministero della Difesa. Per la pubblica sicurezza connessa all'uso delle armi è competente, invece, il Ministero dell'Interno. Hanno vigilato?
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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