27 gennaio 2024

I sommersi e i salvati di Primo Levi


 

Le prime notizie sui campi d'annientamento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell'anno cruciale 1942. Erano notizie vaghe, tuttavia fra loro concordi: delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità.

E' significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con ampio anticipo dagli stessi colpevoli; molti sopravvissuti (tra gli altri, Simon Wiesenthal nelle ultime pagine di Gli assassini sono fra noi, Garzanti, Milano 1970) ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: «In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. [..] La storia dei Lager, saremo noi a dettarla».

Se in “Se questo è un uomo” la narrazione è concentrata sui ricordi della non vita dentro il lager, scritti nell’imminenza della liberazione con l’obiettivo di non disperdere nulla di quel male, questo secondo saggio di Primo Levi, scritto molti anni dopo, si pone su una prospettiva diversa. Non c’è più l’assillo nel voler testimoniare cosa è stato che nasceva da quell’incubo che assillò Levi come altri sopravvissuti ai lager, il rivolgersi ad una persona cara che si volta e se ne va via: qui Primo Levi vuole fare una profonda, onesta e lucida analisi su quanto successo in Europa col nazismo, andando anche a sfatare i tanti stereotipi che si sono radicati.

Come mai non avete combattuto? Come mai non ve ne siete andati prima dall’Italia, dall’Europa occupata? Come erano i vostri carcerieri, le SS? Erano dei bruti?

Non c’è mai, in nessun capitolo di questo saggio, una parola di odio nei confronti delle SS, dei tedeschi (anzi, l’ultimo capitolo è dedicato alle lettere scambiate con lettori tedeschi del suo Se questo è un uomo), nemmeno quando si parla dell’inutile crudeltà a cui erano sottoposti gli ebrei (come gli zingari, come gli omosessuali) dentro i lager: il dover evacuare in pubblico, un trauma per le persone anziane, il dover far tutto (dal bere alle esigenze corporali) con una sola gamella, il dover rifare ogni mattina il letto rispettando delle regole assurde

«Visto che li avreste uccisi tutti… che senso avevano le umiliazioni, le crudeltà?», chiede la scrittrice a Stangl, detenuto a vita nel carcere di Düsseldorf; e questi risponde: «Per condizionare quelli che dovevano eseguire materialmente le operazioni. Per rendergli possibile fare ciò che facevano».
In altre parole: prima di morire, la vittima doveva essere degradata, affinché l’uccisore senta meno il peso della colpa.

Levi cerca sempre di comprendere, i perché, le cause, con una sola grande motivazione: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.”
Attenzione, ci ammonisce tutti quanti, è vero che oggi è difficile che si riproducano le condizioni che hanno portato Hitler al potere: “lo stato di guerra; il perfezionismo tecnologico ed organizzativo germanico; la volontà ed il carisma capovolto di Hitler; la mancanza di solide radici democratiche”, ma un intero paese ha creduto alle favole di Hitler, quando le sue posizioni erano già chiare dopo la pubblicazione del Mein Kampf. Questa è la colpa che l’autore fa al popolo di Goethe, il non aver voluto vedere quanto era sotto i loro occhi

.. c’è chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, cosí da non vederla e non sentirsene toccato: cosí hanno fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani

C’è un’altra ammonizione che ci fa Levi: il genocidio del popolo ebraico è stato qualcosa che, si spera, rimarrà un evento unico nel corso della storia. Ma quella violenza contro persone inermi si è riprodotta poi nei decenni successivi senza che il mondo intero avesse imparato la lezione.
Levi scrisse questo saggio prima delle guerre in Iraq o in Afghanistan, quando per esportare la democrazia abbiamo ritenuto, noi occidentali, che qualche migliaio di vittime civili fosse un danno collaterale accettabile. Ma Levi aveva vissuto gli anni del Vietnam, col napalm sui villaggi, il golpe in Cile, i desaparecidos in Argentina.
La memoria da sola non basta:

...anche se un nazismo identico al precedente non ha nessuna possibilità di ripresentarsi, comportamenti come quelli che ne hanno reso possibile l' avvento, non sono invece rari. Levi aveva ragione, la memoria è necessaria; ma oggi noi dobbiamo aggiungere: tuttavia non basta. Perché? Perché tutti noi abbiamo la tendenza a sfruttare la memoria a nostro vantaggio. Se ci identifichiamo con le vittime innocenti, questo ci dà a priori il diritto di esigere riparazioni; se ci identifichiamo invece con eroi irreprensibili, questo ci permette di passare sotto silenzio i nostri misfatti. [dalla prefazione di Tzvetan Todorov]

Se da una parte non traspare mai odio nei confronti dei carnefici, anche il giudizio su quella che lui chiama la “zona grigia” rimane sospeso: il kapo, i detenuti funzionari, i membri dei Sonderkommando, medici come Miklos Nyiszli, l’anatomo patologo (lavorò con Mengele e fu uno dei pochi sopravvissuti di Auschwitz, anus mundi).

Non è facile del resto esprimere un giudizio su queste persone oggi, per noi: uno degli effetti delle condizioni dei campi era quello di togliere alle persone il loro aspetto umano, la dignità, il senso di solidarietà, l’empatia.

In particolare il lavoro nei forni crematori, nella preparazione dei nuovi arrivati alle camere a gas (le docce) era fatto da ebrei dentro queste unità chiamate Sonderkommando:

dovevano essere gli ebrei a mettere nei forni gli ebrei, si doveva dimostrare che gli ebrei, sotto-razza, sotto-uomini, si piegano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se”.

Attenzione, Levi sa benissimo e lo ripete continuamente, tutto questo (le botte prese dai kapo, gli ordini urlati in faccia, uno choc per i nuovi arrivati che nemmeno conoscevano la lingua) non cancella il fatto che da una parte c’erano le vittime e dall’altro i carnefici.

Ma Levi non dimentica il “senso di colpa” e di vergogna che rimase addosso a lui, come ad altri superstiti una volta liberati, una volta cioè in cui era stata restituita loro la dignità umana. La possibilità di pensare come un uomo.
Era il senso di colpa per quel pane non condiviso col compagno, per quella volta che non avevi voluto ascoltare i lamenti di quell’uomo nella stessa baracca a fianco a te.

Il senso di colpa per aver rubato: “alle cucine, alla fabbrica, al campo, insomma «agli altri»”.

Eccolo, il senso del titolo, i sommersi e i salvati:

Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare.

Se questi erano le vittime, come Primo Levi, chi erano dunque le SS? È una delle domande che più spesso sono state fatte allo scrittore, nel corso degli anni. Anche questo rappresenta uno stereotipo che va cancellato: non erano bestie, non erano mostri. Erano uomini come noi, “fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi”.

Uomini come Stangl, comandante di Treblinka, o burocrati come Eichmann, il volto della “banalità del male” (per citare un altro importante saggio sulla Shoà di Hannah Arendt):

“avevano il nostro stesso viso ma erano stati educati male. Erano, in massima parte, gregari e funzionari rozzi e diligenti: alcuni fanaticamente convinti del verbo nazista, molti indifferenti, o paurosi di punizioni, o desiderosi di fare carriera, o troppo ubbidienti. Tutti avevano subito la terrificante diseducazione fornita e imposta dalla scuola quale era stata voluta da Hitler e dai suoi collaboratori”.

Eccolo, dunque, il punto finale: non solo la memoria, ma l’educazione. L’educazione al pensiero libero, al non lasciarsi assoggettare dalla pigrizia mentale, alle belle parole del leader di turno.

Viviamo tempi difficili oggi, se nel mondo non ci sono Hitler, non mancano leader forti a capo di nazione che dispongono dell’arma atomica che hanno dimostrato scarso amore per le libertà. Le libertà di pensiero, delle minoranze, delle opposizioni.

Abbiamo accettato le guerre per la democrazia, la violenza di Stato, in questo momento sta soffiando in occidente un brutto vento di guerra, si sta facendo passare il messaggio falso che le guerre sono inevitabili:

.. di guerre e di violenze non c’è bisogno, in nessun caso. Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno ad un tavolo, purché ci sia la volontà buona e fiducia reciproca: o anche paura reciproca..

La scheda del libro sul sito di Einaudi

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Nessun commento: