Un altro capitolo importante ne I sommersi e i salvati riguarda le domande a fine prigionia: chi sono quelli che si sono salvati dallo sterminio? Perché io e non altre persone, più meritevoli?
Come mai molti dei sopravvissuti hanno provato, al termine della prigionia nell'inferno in terra, un senso di vergogna?
In quel momento, in cui ci si sentiva ridiventare uomini, cioè responsabili, ritornavano le pene degli uomini: la pena della famiglia dispersa o perduta;..
Si ridiventava uomini fuori dal campo, all'improvviso ci si rendeva conto del male che si era fatto dentro il campo, quella volta che non avevi condiviso il pane col tuo compagno di baracca, o quel poco di acqua che scendeva da un tubo per placare la sete:
Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della «zona grigia», le spie. Non era una regola certa (non c’erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sí innocente, ma intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione,
Era la vergogna per la consapevolezza che "avevamo sopportato la sporcizia, la promiscuità e la destituzione soffrendone assai meno di quanto ne avremmo sofferto nella vita normale".
Prima bisognava badare a sé stessi, poi, se c'era la forza, il tempo, la pazienza.
Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui [..] Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare.
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