20 gennaio 2024

Sequestro alla Milanese di Piero Colaprico


 

Al ristorante, dove Corrado Genito, a pranzo con Clara, riceve la telefonata del suo amico assessore Malesci

Sto al ristorante con Clara, che non mi guarda negli occhi e studia i piatti degli altri. Il posto mi piace, con il grande banco della rosticceria all’ingresso, la sala lunga per i monopasti, le veloci strafogate in solitaria, da minatore dell’esofago, e il salone dove siamo noi, Clara e io…

In questo romanzo troverete dell’altra Milano, non quella da bere, la capitale morale d’Italia (che a ben vedere di morale ha ben poco), la città dove nessuno sta coi man in man.

Forse solo un giornalista di cronaca come Piero Colaprico poteva raccontare il suo lato oscuro: altro che Roma, qui a Milano la terra di mezzo esisteva da decenni prima ed era sotto gli occhi di tutti quelli che la volevano vedere. Intendo quella zona a metà tra criminalità e la politica, gli assessori, i cumenda, l’aspirante sindaco e l’aspirante consigliere che oltre che aspirare alla carriera aspirava anche qualcos’altro. Come racconta nel “dietro le quinte della cronaca nera”, questa storia di rapimenti e ricatti politici all’ombra della Madunina si ispira a fatti di cronaca di cui Piero Colaprico è stato testimone a fine anni 80, a cominciare dall’inchiesta Duomo Connection condotta da Ilda Boccassini che aveva svelato la presenza delle mafie proprio qui nel capoluogo lombardo, dedite a tutte le attività per lo consuete. Spaccio, usura, prostituzione. Roba da scriverci un libro, magari mettendoci dentro un politico a cui viene rapito il figlio, il tutto per raccontare un tema poco praticato nella letteratura di quegli anni, le mazzette che si dovevano pagare alla politica per poter lavorare a Milano e in Lombardia. Mazzette con cui il politico avrebbe dovuto poi pagare il riscatto.

Grazie all’intuito di Oreste del Buono questa idea è diventato un libro, edito per la prima volta nel 1992 e ora nuovamente in libreria in una nuova edizione: siamo nel 1992 a Milano, Tangentopoli non è ancora scoppiata, ma nell’aria si sente che qualcosa sta cambiando. Perché è tutto troppo spudorato, tutto sotto la luce del sole: il sistema delle tangenti, la vita da nababbi di amministratori comunali. Anche la vita dei criminali, come quel famoso latitante, Nando il Colombiano, e cioè Natalone Ferdinando, che è di casa proprio in quel ristorante dove l’ex capitano dei carabinieri Corrado Genito (cacciato dall’Arma perché finito in una trappola) sta cenando con la fidanzata Clara.

Qui riceve una telefonata dall’assessore Malesci:

È successo un guaio, un guaio grosso al mio Paolo. Te lo devo dire subito. Tu là, come sei messo?

Genito è uno che sa come muoversi tra le pieghe della legge, conosce le facce dei criminali, potrebbe fare da intermediario con la banda dietro il rapimento. Questo pensa l’assessore e le persone del partito che governa la città, meglio rivolgersi ad un professionista ora consulente privato con la sua agenzia di consulenza.

«Allora mi aspetti nel più brutto, vicino all’ospedale biesse, all’ora dell’ammaina. O è tardi?»

Ma il rapimenti presenta sin da subito delle stranezze: dietro l’assessore, spuntano due strani tipi messi alle calcagne. Per fare cosa? C’è poi una strana rivendicazione all’Ansa del rapimento, cosa ancora più strana perché quale criminale ndranghetista o mafioso, farebbe una cosa del genere?

Se la notizia circolava, ma stentava a decollare, era meglio farla partire a razzo dalle mani giuste, di chi non si prestava ad altri giochini strani” - questo pensa Genito, che decide di raccontare un pezzo della storia a due cronisti della nera milanese con cui è in contatto.

Mentre Genito inizia a muoversi nella sua Milano, andando anche a sentire l’amico Bagni, ispettore alla Mobile (con cui aveva condiviso anni prima una indagine da infiltrato che aveva lasciato ad entrambi un amaro in bocca), altri fatti accadono: qualcuno fa fuori uno dei due carcerieri di Paolo, tenuto segregato in un appartamento nella Bovisa

In quel casermone della Bovisa chi bada a un urlo, a un pianto, a una lite in famiglia? Il Monco sputò sul pavimento. «Mi hanno lasciato solo con ’sto cornuto,..»

No, quel rapimento nasconde un altro gioco, più grande dei balordi, Il Monco, Ricky, gli “angeli custodi” del figlio dell’assessore, più grande della banda di Nando il Colombiano, un piccolo spacciatore che, vendendo coca alle persone giuste, ha scalato la gerarchia criminale.

In questa storia si inizierà a sparare, come toccherà fare a Genito per non venire sparato.

Fa impressione leggere i dialoghi di questo noir veramente ben scritto e che porta bene i suoi anni: leggere di questi ras locali del “partito” che hanno timore nel tirar fuori i soldi perché dovrebbero poi spiegare da dove arrivano, che sgridano la moglie, «Vestiti da povera!», il tutto per non rovinare la loro immagine.

«Non ci avevo pensato», diceva Malesci, «ma se pago i dieci miliardi, si chiedono tutti come li ho fatti, con lo stipendio del Comune…

Mentre dall’altra parte della barricata, pur lavorando entrambi per lo stato, poliziotti onesti come Bagni “trentadue anni rovinati dalla gastrite, conseguenza di un mestiere che non ti lasciano fare sino in fondo. Mai in Italia. Mai a Milano”.
O procuratori sopra le righe come Casagrande, che dopo il rapimento aveva ricevuto chiamate da mezzo Parlamento “perché questa deve essere la città sana, la vetrina dell’Italia potenza economica”.

Chi sono i ladri in questa storia e chi i buoni? Non Genito, che per finire l’incarico ricevuto dovrà ammazzare, passare sopra le leggi e andare in dribbling con il codice.
Non c’è in fondo molta differenza tra i piccoli balordi dei quartieri di periferia (l’allora periferia) milanese, Baggio o Bovisa, ex aree industriale abbandonate, e questi piccoli potenti della politica milanese che si considerano come tanti piccoli signorotti, che considerano lo Stato, le nomine, gli appalti, come cosa loro, i diritti di tutti come concessione del don Rodrigo di turno.

Non se ne può più di imbrogli ovunque, di bustarelle per spostare un pacco da qui a lì, delle conoscenze per far carriera e per farsi ricoverare in ospedale. Altro che colpo di Stato. Hanno fatto il golpe mettendosi d’accordo tra potenti, c’è un regime di pochi che fregano la maggioranza in ogni affare.

Certe volte mi sembra di stare nel Medioevo, con i feudatari, i vassalli, i capitani di ventura al servizio ora di uno, ora dell’altro.

Così era la Milano da bere, prima che venisse spazzata via dall’inchiesta dei giudici del pool, prima che il castello dorato iniziasse a crollare. Ma oggi, siamo sicuri che sia tutto diverso? Certo, non ci sono più le cabine coi gettoni, i cellulari sono in tasca di ognuno di noi. Alcuni quartieri di periferia sono stati ristrutturati dalle archistar, cacciando via quelli che vi abitavano.

Ma poi, il resto? La droga gira ancora. Il cemento e le costruzioni sono ancora il volano di un pezzo dell’imprenditoria. Gli anticorpi che avremmo dovuto sviluppare, nella società civile, nel mondo della politica, della finanza, delle imprese, non si sono sviluppati abbastanza.

Quella Milano non è in fondo molto cambiata.

La scheda del libro sul sito di Baldini e Castoldi

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