Una delle opere principali per il Giubileo di Roma sarà il termovalizzatore, l’inceneritore che dovrebbe risolverse (si spera per sempre) l’emergenza rifiuti nella capitale. Ma sarà pronta dopo il Giubileo.
Poi un servizio su come si tosta il caffè nei nostri bar, “siamo la patria della ciofeca” – racconta il conduttore Ranucci nella presentazione della puntata.
Il caffè al bar
Che
caffè beviamo nei bar in Italia? Una ciofeca, direbbe Totò,
“allora scrivete ciofeca dello sport”. Bernardo Iovene è andato
nei bar in giro per l’Italia per una verifica su questo prodotto
molto amato dagli italiani.
A Trieste, per cominciare, si beve
un caffè di qualità arabica, una tostatura scura, che rispetta gli
aromi di cioccolato, cacao, “un caffè tipico italiano” spiegano
al Caffè degli specchi.
Sfruttando un esperto già interpellato nel passato, Andrej Godina, Iovene ha fatto fare una analisi sensoriale a questo caffè triestino: gli aromi percepiti dall’esperto non sono proprio lusinghieri, muschio, muffa,copertone di automobile (“sentore di una robusta lavorata male”), terra bagnata, un retrogusto di cacao, amaro però astringente, “quindi non un caffè di grandissima qualità”.
Oltre alla bravura e all’esperienza del barista serve una materia prima di qualità, senza sapori di muffa e copertone: Iovene ha proposto al titolare del caffè un confronto con l’esperto (Godina è ricercatore in scienza e tecnologia dell’industria del caffè), che ha condiviso la percezione di questi aromi sgradevoli, “un milione di clienti all’anno e nessuno ha capito niente” è stata la battuta del titolare ma a quanto pare in Italia tutti i consumatori non capiscono niente. “Se ad un consumatore hai fatto sempre bere un vino che sa di tappo lui non conosce la differenza, quindi siete voi che non fate cultura al consumatore e li abituate a bere difetti” ha spiegato con molta pazienza Godina “ci vuole un po’ di cultura di prodotto che purtroppo in Italia non c’è”.
E
a Napoli che caffè si beve? In piazzetta Maradona, meta di milioni
di turisti, dove si trovano due locali, di fronte al murales del
grande calciatore argentino, che offrono caffè e sfogliatelle.
In
entrambe il caffè è fatto con una macchinetta con cialde, le
sfogliatelle le comprano surgelate.
Iovene si è poi spostato a Forcella alla ricerca del miglior caffè del quartiere: con l’aiuto di due “profughi”, due signori anziani molto conosciuti, a Ioveve il caffè è arrivato via motorino in un attimo nonostante la pioggia. “Ma è dolce.. mica hai il diabete?” un siparietto degno della commedia popolare.
Sempre a Napoli, Iovene ha scoperto come il caffè più apprezzato in città è quello fatto con chicchi oleosi e un po’ scuri: ma secondo il parere di un esperto di torrefazione, Leonardo Lelli, che produce un caffè considerato di alta qualità, è una porcheria.
Sono chicchi con gocce d’unto, è un caffè morto, “se è un caffè uscito dalla tostatrice questo ha subito oltre il secondo crack.. l’olio nel momento in cui lo vai a mettere nel macina caffè, pensa a quanto unge le macine, quanto unge la macchina, tutto quest’olio poi diventa rancido, con l’aria si ossida.. come caffè è da buttare. Questi oli, questi grassi sono indigeribili, danno fastidio allo stomaco. Il caffè deve essere disidratato, secco.”
Iovene, stupito dal giudizio netto del torrefattore, ha cercato altri giudizi sul caffè bevuto a Napoli: Stefano Toppano è un altro torrefattore, anche per lui il chicco bagnato è una schifezza, l’olio a contatto con l’ossigeno si ossida.
Fabio Verona è responsabile della formazione di Costadoro, a Iovene spiega che tostandolo scuso, il caffè, si riescono a nascondere i difetti, percepisci l’amaro e non tutta la dolcezza, i frutti e i fiori che sono presenti in un buon caffè.
La scheda del servizio: LA REPUBBLICA DELLA CIOFECA
di Bernardo Iovene
Collaborazione Lidia Galeazzo
Una ciofeca: è il rischio che possiamo trovare, in una tazzina al bar, un caffè rancido, bruciato, che ha perso tutte le caratteristiche positive aromatiche, molto amaro, estratto con acqua sporca, in filtri contaminati da estrazioni precedenti. Il caffè è la seconda merce più commercializzata al mondo dopo il petrolio. Si consuma in tutto il globo, noi italiani pensiamo di esserne grandi esperti e grandi intenditori e di avere anche grandi trasformatori che, nei nostri bar, estraggono una bevanda perfetta a regola d’arte. È davvero così? Ci sono delle regole universali per trattare il chicco di caffè e, prima di approcciarsi alla grande invenzione tutta italiana che è la macchina dell’espresso, sarebbe necessario un piccolo corso di formazione. Invece, girando nei bar da Napoli a Trieste abbiamo rilevato una mancanza di cultura e rispetto per quello che è ritenuto un rito italiano. L’aggravante è che il gusto forte napoletano, diventato ormai italiano, prevede una tostatura scura che produce oli in superficie che andrebbero trattati e conservati con professionalità. Invece, i nostri baristi ignorano la problematica compromettendo una materia prima anche di qualità. I torrefattori corrono il rischio della tostatura scura per accontentare un gusto e quindi il mercato.
I respiratori che fanno male alla salute
Nel
2022 Report aveva raccontato la vicenda dei respiratori Philips,
i Respironics, ritirati dal mercato mondiale, dopo che era stato
accertato un difetto di produzione che causava malattie respiratorie
a quanti lo avessero utilizzato (anche durante il Covid sono stati
adoperati questi respiratori). Lo scorso
febbraio è arrivata la condanna della corte d’Appello di
Milano:
La multinazionale Philips - Respironics, che per anni aveva venduto dispositivi medici difettosi, deve pagare una penale di 20mila euro per ogni giorno di ritardo nel ritiro e sostituzione dei suoi prodotti, a partire dalla data del 30 giugno 2023. Lo ha deciso la Corte di Appello di Milano, sezione XIV Civile, pronunciandosi in merito a una class action avanzata dall'Associazione Apnoici Italiani e da Adusbef assistite dal pool di legali dell’avvocato Stefano Bertone per conto di più di 100mila pazienti italiani.L’avvocato Bertone aveva seguito la class action portata avanti contro la multinazionale per conto di 100 mila pazienti: i giudici hanno accertato che Philips avrebbe mandato tre lettere ai distributori informandoli della necessità di fare un richiamo, ma trovano soltanto l’ultima. L’opinione dell’avvocato è che le prime due non siano state inviate perché avrebbe preso sottogamba l’intera vicenda.
Adesso partirà la class action europea, di cui l’Italia è capofila, che comprende 1,2 milioni di cittadini europei, persone che hanno queste patologie come il tumore al polmone, oppure parenti di persone decedute per tumore, tumore del naso, tumore della tiroide, leucemie e poi le malattie respiratorie, come asma, bronchiti croniche e enfisemi.
La scheda del servizio: LA POLVERE SOTTO IL VENTILATORE
di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella
Report torna a occuparsi del più grande richiamo di dispositivi medici della storia, ben 15 milioni di respiratori e ventilatori Philips Respironics. L’inchiesta spiegherà qual è lo stato attuale delle class action nei tribunali e come gli enti regolatori stanno gestendo la vicenda. Negli Stati Uniti, l’agenzia statale che si occupa dei dispositivi medici ha obbligato Philips Respironics a sospendere la vendita di gran parte dei suoi prodotti sul territorio americano. Gli stessi prodotti sono però venduti in Italia.
Le grandi opere del Giubileo
Alla fine il Giubileo è diventato il carrello dentro cui mettere tutte le opere (utili o meno) da mettere su un binario speciale, per accelerarne la realizzazione.
Anche il termovalorizzatore, o inceneritore, all’interno delle opere per questo grande evento, verrà realizzato nel 2027, a messa finita.
Dovrebbe
sorgere a Santa Palomba, ultimo lembo del comune di Roma, confinante
coi comuni di Albano, Pomezia e Ardia in una zona dove oltre ai
capannoni sono presenti anche aziende agricole.
Che succederà
con l’arrivo dell’inceneritore? Il rischio è quello di perdere
le certificazioni perché nessun ente potrà mai garantire una
struttura biologica accanto ad un termovalorizzatore – spiega a
report uno dei proprietari dei terreni, dove già le acque dei pozzi
non sono potabili.
Si
tratta delle falde acquifere della zona di Ronchigliano dove è
presenta una ex discarica: le bonifiche non sono ancora partite, il
comune di Albano ha chiesto alla regione Lazio di istituire una zona
ad alto rischio di crisi ambientale sul sito della discarica, che si
trova a circa 1 km del futuro inceneritore.
Il sindaco di Albano
Massimiliano Borrelli racconta di come in questa area, per legge, non
possano essere realizzati impianti per rifiuti o per il loro
trattamento di prodotti che possano essere classificati come
inquinanti.
Questo impedirebbe la realizzazione
dell’inceneritore, se la legge dovesse essere applicata: ma il
commissario che sta promuovendo questa opera è Gualtieri del PD, lo
stesso partito del sindaco di Albano: “io devo difendere il mio
territorio, sono stato eletto per difendere questo territorio”. In
effetti tutti i sindaci del territorio sono contro questo
inceneritore a prescindere dal colore politico: lo è il sindaco di
Ardea, il cui comune è prossimo alla struttura, basta solo
attraversare l’Ardeatina, pochi metri. In questo comune la raccolta
differenziata supera abbondantemente il 72%, d’estate coi turisti
romani, “non avvezzi a fare la differenziata”, si scende sotto il
63%.
Ad Ariccia si trova il più grande ospedale di Roma sud,
che dista 3,8 km da questo inceneritore.
Sul lago di
Albano, il più profondo dei laghi vulcanici italiani, si affaccia il
palazzo pontificio di Castel Gandolfo, la residenza estiva dei papi:
il lago è al centro da più di 40 anni di una grave crisi idrica, il
vecchio porto ormai è all’asciutto, l’acqua si è abbassata di
oltre 6 metri, mancando circa 1,5 ml di metri cubi di acqua ogni
anno. Il nuovo inceneritore potrebbe avere delle conseguenza sul
lago, perché è sopra la falda dei castelli romani. Sono 10 ettari
comprati da Ama al prezzo di 75 euro al metro quadro, per un valore
di 7,5 ml di euro: una compravendita che è stata denunciata dalle
associazioni locali, in particolare per le incongruenze nell’atto
di vendita.
Non ci sono solo i disagi ambientali da mettere in conto: ad un km da dove verrà costruito l’inceneritore è già presente un nucleo di case popolari, quello di Borgo Sorano, 300 appartamenti costruiti in mezzo al nulla. Il primo centro commerciale è a 5 km a cui le persone devono andare per prendere l’acqua, siccome qui l’acqua potabile manca e ci si deve arrangiare con le bottiglie. C’è l’acqua del pozzo che però non è potabile, è acqua ferrosa, sporca. Anche gli abitanti del villaggio ardeatino vivono a poco più di 1 km dal futuro inceneritore e anche loro hanno problemi d’acqua: tutti i giorni le persone devono riempire le bottiglie di plastica con l’acqua che arriva da Acea tramite autobotte, anche qui le famiglie hanno i pozzi, ma l’acqua non può essere usata per bere, “non è buona nemmeno per innaffiare le piante” e ora arriverà il regalo di Gualtieri.
La scheda del servizio: IL SANTO INCENERITORE
di Claudia Di Pasquale
Collaborazione Giulia Sabella, Marzia Amico
Il Giubileo 2025 è ormai alle porte e a Roma si attendono oltre 32 milioni di pellegrini che produrranno ingenti quantità di rifiuti. È così che il commissario per il Giubileo Roberto Gualtieri è stato nominato anche commissario straordinario di governo dei rifiuti di Roma Capitale. Grazie a questi poteri commissariali è stato approvato un nuovo piano rifiuti, che comprende anche la costruzione di un termovalorizzatore. L'impianto però non sarà pronto prima del 2027 e non potrà salvare Roma dai rifiuti dei pellegrini. Ma dove sarà realizzato? E quanto è stato pagato il terreno dove sarà costruito?
Tira una brutta aria a Milano
Ma è vero che Milano è la terza città più inquinata al mondo?
Chi
misura la
qualità dell’aria, in termini di inquinamento, nelle maggiori
città del mondo? La società si chiama IQAir AG: misurano la
qualità dell’aria prendendo i dati da tutte le fonti pubbliche a
cui possono accedere – spiega l’AD Frank Hammes – “a Milano
ad esempio arrivano da due stazioni pubbliche, quelle di Arpa, e da
dieci stazioni private, cioè rilevatori di persone private ..”
I
dati arrivano cioè da persone comuni, che hanno in casa dei
misuratori: ma come fanno ad essere certi che gli strumenti usati dai
cittadini funzionino correttamente? L’AD ha risposto che con
300-400 euro si possono comprare strumenti di buona qualità.
Ma
il responsabile di Arpa Lombardia per la qualità dell’aria, Guido
Lanzani, spiega che loro usano strumenti conformi a quello che
prevede la norma del 2008 dell’Unione Europea, ogni stazione costa
da 100mila a 150mila euro: “l’importante è utilizzare, per
confrontarle, delle misure che siano coerenti coi metodi di
riferimento che la normativa prevede. Se metto assieme dati che
provengono da sistemi di rilevazione diversi, rischio di dare una
fotografia sfalsata.”
Per evitare questo rischio la comunità
europea ha imposto degli standard che tutti i paesi europei devono
rispettare, a cominciare dal luogo dove installare i misuratori.
Come
mai un’azienda privata come IQAir, senza avere gli strumenti
adeguati e le competenze scientifiche necessarie, pubblica una
classifica delle città più inquinate al mondo?
C’è un
possibile conflitto di interesse, poiché IQAir produce depuratori
d’aria: questo è il loro business su cui basano il loro profitto.
Nulla di illegale, ma rimane la sensazione che queste classifiche
facciano parte di una sorta di campagna pubblicitaria.
Per
smontare questa sensazione basterebbe che l’azienda mostrasse i
dati sulle vendite: c’è stato un aumento delle vendite dei loro
dispositivi in Italia nell’ultimo anno? Niente da fare, su questo
l’AD dell’azienda risponde che, essendo una società privata, non
sono tenuti a mostrare nulla. Ma è proprio questo il punto: possiamo
fidarci dei report di IAQAir? I loro dati sono basati su qualche
evidenza scientifica? E, poi, chi certifica la qualità dei loro
depuratori? Non esiste nessuna certificazione per i depuratori
d’aria, lo stesso AD ammette di aver studiato giurisprudenza.
Giusto per chiarire il punto, il responsabile di Arpa Lombardia si è laureato in fisica all’università di Milano e poi ha studiato alla scuola di specialità in statistica sanitaria all’istituto dei tumori, sempre a Milano.
Un fattore dell’inquinamento atmosferico di Milano si trova però fuori dalle mura cittadine, l’allevamento intensivo: i liquami degli allevamenti intensivi sono particolarmente ricchi di ammoniaca contenuta nelle urine degli animali – racconta a Report Adriana Pietrodangelo ricercatrice del CNR – le molecole dell’ammoniaca sono leggere e una volta emesse interagiscono tra di loro e da gas come erano originariamente, formano particelle solide.
In
Italia il 60% degli allevamenti intensivi è concentrato nella
pianura Padana e, come riportato in uno studio di Greenpeace, la
mappa degli allevamenti intensivi e la mappa dove si trova la più
alta concentrazione di ammoniaca combaciano alla perfezione. Ma
esiste una alternativa a questo sistema?
Secondo Slow food la
risposta sta negli allevamenti distensivi: allevamenti dove gli
animali possono stare allo stato brado, non sono pompati dal punto di
vista alimentare. Sono aziende sostenibili, dove si è creato un
circuito completo dalla produzione agricola fino alla vendita diretta
della carne bovina.
Stefano
Chellini è uno di questi allevatori “sostenibili”: quanto
inquina il suo allevamento? “Mi verrebbe da dire che non inquiniamo
niente, anzi, aumentiamo la biodiversità, senza considerare che il
pascolo è un ottimo sequestratore dell’anidride carbonica.”
E’
un modello replicabile che però richiede un impegno a tutti i
livelli, sin dalle scuole e università che devono formare tecnici e
futuri agricoltori con una mentalità maggiormente improntata alla
sostenibilità e ad una agricoltura ecologica e anche poi di una
azione di informazione verso il consumatore.
“Il sacrificio
maggiore sarebbe quello che anziché mangiare carne sette giorni su
sette, mangeremo carne due volte la settimana però proveniente da un
allevamento allo stato brado.”
Nel futuro dovremmo tenere
conto anche degli allevamenti nel tema dell’inquinamento e delle
emissioni: la direttiva sulle emissioni industriali del Consiglio
europeo dello scorso 12 aprile, per la prima volta ha incluso anche
gli allevamenti intensivi, ma il governo italiano ha detto no,
preferendo difendere le posizioni di queste strutture non sostenibili
e inquinanti.
“Noi volevamo l’esclusione dei maiali”
risponde il ministro Pichetto Fratin, ma noi che abbiamo meno bovini
della Francia abbiamo fatto più opposizione di loro.
La posizione del governo Meloni è veramente poco lungimirante.
La scheda del servizio: CHE ARIA TIRA? di Marco Maisano
"Milano è la terza città più inquinata del mondo”. Questa è l’affermazione, errata, pubblicata qualche mese fa da molti media italiani. Un'affermazione basata su una classifica che mette in gara i livelli di inquinamento delle principali città del mondo. Ma chi stila questa classifica? Una società svizzera che si chiama IQAir e il cui business, anche se nessuno se n’è accorto, è la produzione di purificatori d’aria. Nonostante l’affermazione errata, però, l’Italia si ritrova comunque nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria. Milano non è la terza città più inquinata, ma i suoi livelli di inquinamento atmosferico, assieme a quelli di molte altre regioni italiane, supera, e non di poco, i limiti imposti dall’OMS e dall’Unione Europea. Il risultato? Migliaia di persone muoiono prematuramente a causa delle polveri sottili in atmosfera. Ma la politica italiana, nonostante le sanzioni in arrivo, sta già chiedendo deroghe al raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Un fatto, avverte la comunità scientifica, che causerà centinaia di migliaia di morti entro il 2035
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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