12 dicembre 2024

Piazza Fontana - 55 anni dopo (dire strage fascista è ancora troppo poco)

12 dicembre 1969: una bomba esplode nella banca dell'Agricoltura a Milano alle 16.39 di un pomeriggio freddo e grigio, uccidendo 15 persone.

Generalmente così viene racconta oggi la strage di Milano, la madre di tutte le stragi, che inaugurò poi quel periodo che è stato chiamato "strategia della tensione", dalla bomba alla banca dell'Agricoltura fino alla bomba di Bologna alla stazione dell'agosto 1980.
A volte, per un minimo di decenza si aggiunge che la strage è stata opera di estremisti di destra, neofascisti veneti, senza aggiungere altro. Senza aggiungere, ad esempio, che i fascisti colpevoli della strage non sono stati condannati per un bizantinismo del nostro sistema giudiziario. Che per anni i fascisti colpevoli sono stati protetti dai nostri servizi segreti, dunque anche da una copertura avallata dal livello politico.

E nemmeno si aggiunge che questi fascisti, Franco Freda, Giovanni Ventura, Delfo Zorzi e altri, erano esponenti di Ordine Nuovo, un movimento politico nato per scissione dal Movimento Sociale di Almirante. Il politico che questo governo considera come un padre.

Ma tutto questo è troppo poco passati 55 anni: vogliamo e dobbiamo arrivare ad un livello superiore, per rispetto ai morti e per rispetto alla stessa democrazia.

Le sentenze hanno assolto i fascisti è vero, ma le sentenze raccontano tante cose, come anche i tanti libri sulla strage di Piazza Fontana: l'ultimo che mi è capitato di leggere è La ragazza di Gladio, del giornalista Paolo Biondani. Ne riporto due passaggi

Anche in Italia era arrivata l'onda lunga del '68, con le speranze di rinnovamento politico, libertà civili, giustizia sociale, addirittura rivoluzione, che la destra reazionaria vive come un incubo.

Nel cosiddetto «autunno caldo» del 1969 le lotte operaie si saldano con le proteste studentesche, con scioperi, manifestazioni e cortei che si susseguono soprattutto nelle grandi città industriali. La prima forza di sinistra, il Partito Comunista Italiano (PCI), che dopo lo storico strappo con l'Unione Sovietica è parte attiva della sinistra democratica europea, continua a guadagnare voti, in ogni elezione.

Ed è allora che esplode la cosiddetta «strategia della tensione», che molti anni dopo il giudice Gerardo D’Ambrosio, protagonista della storica istruttoria sulla strage di Piazza Fonana, oggi purtroppo scomparso, riassume in «poche parole», come esordisce lui, alla fine di una giornata di lavoro, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. 

«Alla fine degli anni sessanta», scandisce il magistrato, con la sua voce calda [..] la scrivania ingombra di fascicoli, alla parete la fotografia dell'amico pubblico ministero Emilio Alessandrini, che indagava con lui su Piazza Fontana e fu ammazzato dai terroristi rossi, «alcuni settori dello Stato, e mi riferisco ai servizi segreti, al Sid, ai vertici militari e ad alcune forze politiche, pianificarono l’uso di giovani terroristi di estrema destra per fermare l’avanzata elettorale della sinistra, che allora sembrava inarrestabile. Le bombe servivano a spaventare i moderati. E l'effetto politico veniva amplificato infiltrando e incolpando falsamente i gruppi di estrema sinistra, per favorire una reazione autoritaria» 

E poi questo secondo sulle protezioni dei fascisti di ieri e sui neofascisti di oggi (dove si parla della strage successiva, quella di Piazza della Loggia a Brescia) e del loro legame con pezzi dello Stato

Il terrorismo esiste un molte parti del mondo ed è contro la democrazia, la società civile, contro lo stato di diritto e i suoi rappresentanti. Tra gli anni Sessanta e Ottanta i magistrati che indagano sulle stragi nere, da Milano a Venezia, da Firenze a Bologna, scoprono questa verità inconfessabile: il terrorismo di destra in Italia è dentro lo Stato. Ci sono ufficiali dei servizi segreti, militari e politici che stanno dalla parte dei terroristi, lavorano contro la giustizia per deviarla e fermarla.

Per lungo tempo la bomba in Piazza della Loggia sembrava un'eccezione: nei primi dieci anni di istruttorie non si vedono tracce di servizi deviati. A scovarle per la prima volta, nel 1985, sono i giudici di Bologna che indagano sulla strage dell’Italicus.

La scoperta è clamorosa, anche se resta per anni incompleta, monca. A Roma, nella sede centrale dei servizi segreti militari - chiamati prima Sifar, poi Sid, quindi Sismi, oggi Aise: ogni cambio di nome è l'effetto della scoperta di scandali criminali di straordinaria gravità, con conseguente grande riforma, prima di tutto lessicale - vengono sequestrate delle copie di informative anonime, mai trasmesse alla magistratura. In gergo si chiamano «veline».

Sono carte che scottano: contengono notizie dettagliatissime su un piano di rinascita clandestina di Ordine Nuovo, come organizzazione stragista conclamata. 

Sono state raccolte dai servizi segreti tra il 1973 e il 1974, nei mesi cruciali della strage di Brescia. L’informatore è un neofascista, che da mesi è a libro paga del Sid. Il suo nome in codice è Tritone. Una fonte interna del terrorismo nero, di spessore straordinario: è in grado di preannunciare gli attentati in tempo reale e poi di riferire i commenti degli autori. E' dentro il nucleo stragista. E racconta in diretta ai servizi quello che viene a sapere.

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