19 febbraio 2006

Macaronì di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli

Due storie: la prima, che si svolge alla fine dell'800, in Francia. La seconda, alla vigilia della seconda guerra mondiale, in un paesino sull'appennino tosco-emiliano.

1884: Ciareìn, per sfuggire alla miseria e ad un destino segnato dalla fame e dalla povertà scappa dal suo paese d'origine, sull'appennino emiliano. Scappa con l'immagine del padre, costretto ad una vita da latitante braccato dalla legge, ucciso sull'aia di casa. Il padre veniva chiamato Spirito, ed anche per allontanarsi da quel nome ingombrante si imbarca per la Francia, nella speranza di trovare maggior fortuna.Ma scopre che la Francia non è il paese del Bengodi, anzi. Qui gli italiani, chiamati “macaronì” in modo sprezzante, sono costretti ai lavori più umili. Come il lavoro nelle vetrerie “uno dei più faticosi e pericolosi. Bruciature quando il vetro debordava dal cannello nel quale scorreva dopo la fusione; dolorose fitte dentro, forse ai polmoni; maltrattamento degli operai francesi che scaricavano su quei ragazzi la loro stanchezza ... D'estate era l'inferno. In vetreria e nel capannone. Prima di aprire il tegame che il caporione consegnava alla partenza, i ragazzi sapevano già cosa ci avrebbero trovato dentro: maccheroni sempre ... ”.

In Francia Ciareìn passa da un lavoro all'altro, arrivando anche a trafficare con i napoletani che sbarcano i clandestini (altri macaronì come lui) sulle spiagge di Marsiglia. Ma deve scappare ancora, per sfuggire alla malavita. Intanto in Francia il clima si fa sempre più difficile per gli italiani, accusati di rubare il lavoro ai francesi, di accettare paghe misere: in una taverna Ciareìn colpisce un francese durante una rissa, ed è ancora costretto a scappare. Trova lavoro in una miniera, al nord, dove incontra addirittura altri paesani. Ma anche qui, il destino, ha stabilito che non ci possa essere pace ....

1939: appennino emiliano. Il maresciallo Santovito, deve indagare sulla morte di un misterioso personaggio, il francese, cui qualcuno ha spaccato il cranio. Seguirà un'altra morte, anche questa volta di un estraneo del paese, anche lui morto mentre saliva su un sentiero scosceso. Entrambi hanno in comune la provenienza dalla Francia e il fatto di non essere originari del posto. Ma per il resto il maresciallo brancola nel buio. Intuisce però un legame tra queste morti e altre due, quella del vecchio maresciallo, ucciso da una fucilata alle spalle e quella del parroco don Quinto, trovato affogato in un fosso.

Emerge, dalla difficile indagine, tra i tavoli della taverna e i boschi innevati attorno al borgo, un legame tra le morti di oggi e un vecchio fatto di sangue. Come se un antica violenza avesse partorito questi delitti.
Un giallo stupendo, raccontato in una cornice un piccolo paese di montagna, dove la gente è costretta ad emigrare se vuole sopravvivere, a fare duri lavori stagionali, rassegnata ad un'esistenza dura, piena di sacrifici.
Un romanzo da leggere anche per la testimonianza di un passato nel quale eravano noi italiani gli emigranti, i disprezzati, gli ultimi. Costretti ai lavori più umili e pesanti. Per non dimenticarci quando “gli albanesi eravamo noi”. E ci chiamavano “macaronì”. Il giallo diventa anche uno straordinario affresco storico-sociale “in cui pesa sui destini individuali un destino collettivo carico di ingiustizia e di sofferenza, quello degli italiani”.
Un paese dove la gente passa le serata in taverna, davanti ad una bottiglia di vino rosso, che alza la pressione, a raccontarsi storie, che si tramandano di generazione in generazione (come la leggenda della buca del diavolo), tra una partita di carte e l'altra. L'indagatore, il maresciallo Santovito, che arriva da un paesino sul mare vicino Napoli, per svelare l'enigma e per venire a capo delle quattro morti dovrà fare domande scomode ai paesani. Gente abituata ad andare poco d'accordo col prete e con i carabinieri “gente che ha paura della legge, quella che dovrebbe essere uguale per tutti e che da queste parti non lo è mai stata. Una paura che viene dai padri, dai nonni e chissà da quante generazioni”.

Nella prima parte si ha un'alternanza di flashback (la triste storia di Ciareìn) e narrazione del presente: fino al ricongiungimento delle due storie, al punto d'incontro.
E, in questo contesto, dove il passato e le sue morti si ricongiungono al presente, il maresciallo arriverà ad una triste e dura verità.

I link su
bol, ibs e l'intervista a Guccini su Cafeletterario
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