Un libro appassionante, difficile, complesso, un giallo storico ma allo stesso tempo un libro ricco di spunti attuali. Come è possibile che un libro possa essere allo stesso tempo tutto questo?
Perché è un libro che si può leggere a più livelli: un giallo, prima di tutto, con l'investigatore e il suo assistente, cioè Guglielmo da Baskerville e il giovane benedettino Adso da Melk (come non paragonarli a Sherlock Holmes e Watson). Un giallo, ma anche un rilettura critica di un periodo storico della Chiesa (e con esso della storia europea), lacerata da movimenti scismatici ed eretici, ma anche da movimenti riformatori che ne chiedevano una riforma dei costumi, che cercò di affrontare e combattere con l'inquisizione.
Facciamo un'analisi per punti.
Il contesto storico
Siamo nel 1307, in piena lotta per le investiture, una lotta tra papato e impero (Ludovico il bavaro e Giovanni XXII). Il papato e la sua corte si è ritirato ad Avignone, sotto la protezione del re di Francia, mentre nella Chiesa infuria la rivolta degli ordini minori e dell'ordine dei francescani contro l'opulenza e l'ostentazione della ricchezza. Questi movimenti, dal basso, sotto l'esempio dell'opera di San Francesco chiedono al papa una riforma dei costumi ma soprattutto l'approvazione della loro regola. I francescani furono utilizzati dall'imperatore che, apparentemente ne prese le difese, per mettere in difficoltà il papa.
Il libro narra di eventi storici reali, come il capitolo di Perugia (riunitosi nel 1322), e anche alcuni personaggi sono realmente esistiti, come Michele da Cesena, l'eretico Dolcino. L'Europa era attraversata da movimenti eretici che, spesso, prendevano come proprie, idee e posizioni di movimenti religiosi riconosciuti: nel corso del racconto Guglielmo, per spiegare ad Adso il fenomeno dell'eresia, usa la metafora del grande fiume che, all'approssimarsi del mare si perde in numerosi rivoli che da questo si separano.
L'io narrante
Eco ha deciso di raccontare la storia con lo sguardo ingenuo del giovane Adso, che si trova immerso, improvvisamente, in una realtà che non capisce. D'improvviso si rende conto di quanto sia difficile distinguere il bene dal male, l'eretico dal “giusto”. Si appoggia allora alla filosofia di Guglielmo, nella speranza di arrivare ad una maggiore chiarezza. Ma, dopo il triste finale, anche lui arriverà alla conclusione per cui non esiste un'unica verità, certa.
Adso scoprirà, suo malgrado, l'amore, per una breve ma intensa parentesi: sarà un'esperienza tragica, che verrà conclusa dalla stupenda frase “dell'unico amore terreno della mia vita non sapevo, e non seppi mai, il nome”.
La giustizia
Un altro tema portante del libro è quello della giustizia: in un mondo dove è forte il contrasto tra la ricchezza e l'opulenza (anche a tavola) dell'abbazia e la miseria dei famigli, dei contadini. Dove il mondo ecclesiastico si perde in inutili discussioni sulla povertà di Cristo, mentre fuori dalle mura della rocca (come dovesse difendere un castello signorile e non uomini di Chiesa) la povertà spinge la gente alla fame. Senza speranza di riscatto: anzi con la sola prospettiva della lotta. Ed ecco sorgere i falsi predicatori i quali, facendo leva sul desiderio di giustizia (inteso come una migliore distribuzione delle ricchezze), riunivano folle sempre più grandi diseredati. Folle che si trasformavano in razziatori, che, in una falsa orgia mistica, senza alcun controllo, vagavano per il paese come un'orda incontrollabile.
Come la storia di Dolcino e gli altri fraticelli, minoriti, pseudo apostoli.
Nel processo al cellario (Remigio da Varagine) da parte dell'inquisitore Bernardo Gui questi afferma “che la giustizia non è mossa dalla fretta, come credevano gli pseudo apostoli, e quella di Dio ha secoli a disposizione”.
Pochi paragrafi prima, Guglielmo, commentando le stragi e le morti dei dolciniani aveva commentato così la loro fede mistica “Cosa vi terrorizza di più della loro purezza?” chiede Adso “La fretta” risponde Guglielmo.
La fretta temuta a Guglielmo è quella di chi cerca la verità e la sua “giustizia” a prescindere dalle regole e dalle leggi. Ma è anche peggiore la assenza di fretta di Bernardo: è la calma (ma sarebbe più giusto dire l'arroganza) di chi sa di essere uno strumento di mantenimento del potere più che un amministratore di giustizia. Un potere mantenuto con la paura, con gli strumenti della tortura, con i fuochi delle pire che bruciavano i corpi dei monaci eretici.
La biblioteca
Centro della cupa abbazia è la biblioteca; costruita per difendere il suo sapere, anziché farlo circolare. Ma è anche il centro del mistero: nell'abbazia lavorano i monaci che muoiono per mano di un assassino misterioso, nella biblioteca si custodiscono libri segreti, la cui divulgazione è fortemente osteggiata dall'abate, dal bibliotecario Malachia e dal monaco Jorge: quali contenuti incredibili sono custoditi, tali che se rivelati agli umili, farebbero cadere, travolgerebbe gli equilibri sui quali si basa il potere della Chiesa? La scoperta di questo arriverà a Gugliemo, al termine del libro dopo un aspro confronto col “venerabile” Jorge.
Il libro è stato scritto nel 1980, in un Italia attraversata dal pericolo del terrorismo, che cercava, con le proprie leggi, di ristabilire un proprio ordine nella società. Difficile non fare un paragone tra la storia raccontata ne Il nome della rosa, e la storia del nostro paese. I pseudo apostoli, i minori come i “compagni che sbagliano”.
Ma come non paragonare l'ottusità con la quale, alcuni personaggi dell'abbazia cercano di difendere i valori della Chiesa, nascondendo la verità e la conoscenza, e arrivando persino ad uccidere, con gli estremismi religiosi, così accessi nel mondo di oggi?
Insomma un libro ricco di spunti attuali, raccontato cercando di ricreare il più possibile l'atmosfera medioevale. Per questo i dialoghi, che Guglielmo scambia una volta con Ubertino, con i prelati papali da Avignone, con Abbone sono volutamente “pesanti” e complessi, infarciti di citazioni in latino. Come dicevo, è un libro che permette tutti i livelli di lettura, ma che pretende i suoi tempi dal lettore: che invito a non scoraggiarsi dopo i primi dialoghi, e a mantenere la costanza e la forza di arrivare fino al segreto del “finis africae”. Lì dove i leoni proteggono i segreti dell'abbazia.
Link sul sito di ibs (versione economica) e bol (versione economica) .
Technorati: Umberto Eco, Il nome della rosa
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