27 febbraio 2011

La giustizia è una cosa seria (l'intervista di Nicola Gratteri)


Nella prefazione del libro “La giustizia è una cosa seria”, Zucconi ha scritto che la giustizia è il ramo si cui sta seduta la società e non conviene segarlo. Che fare allora, per farla funzionare meglio?
Nell'intervista a Che tempo che fa, il procuratore antimafia Nicola Gratteri autore del libro, ha raccontato le sue proposte.
Ci sono alternative al processo breve: questo offende le vittime che non avranno alla fine giustizia:
Informatizzazione del processo penale: con l'informatizzazione si abbattono i tempi, le pratiche, i costi e gli abusi (diminuendo il potere discrezionale).
Significa poter notificare agli avvocati della chiusura delle indagini via Posta elettronica certificata, di cui tutti gli avvocati iscritti all'ordine DEVONO essere forniti. Per questo serve modificare il codice di procedura penale.
Oggi per notificare gli atti di custodia cautelare (che raggiungono 1500 pagine) serve tanta carta per le fotocopie: basterebbe inviare un CD (o una chiavetta USB) agli avvocati, senza essere costretti ad usare personale della polizia giudiziaria che va in giro per l'Italia a portare questi faldoni.
Ad ostacolare queste modifiche c'è solo la poca volontà politica, e basta.

Non rinnovazione degli atti quando cambia il colleggio: quando cambia un membro del colleggio giudicante, si devono risentire tutti i testimoni (non succede questo nei processi per mafia). Si perde tempo per questo, e dunque anche questa è una norma che andrebbe cambiata.

Chiudere i 20 più piccoli tribunali e accorparli ad altri più grandi: nonostante qualche parlamentare locale si incatenerà alla porta della prefettura, è una modifica che farebbe risparmiare i costi della giustizia. Non ha senso tenere procure, in zone disagiate, con un solo procuratore capo e un sostituto.
Inoltre dovrebbero tornare in magistratura i circa 150 magistrati ad oggi impiegati in compiti di consulenza presso i ministeri.

L'acquisto dei beni: oggi per comprare anche delle sole scrivanie, serve l'approvazione di un consigliere di Cassazione. Basta un ragioniere che si occupi di questioni di logistica.

L'accusa ai magistrati di essere soggetti politici: noi magistrati dobbiamo apparire sereni e onesti, non solo esserlo. E ci sono stati dei casi in cui il comportamento di questi non lo è stato.
Il CSM ha fatto un concorso di 150 posti a Roma, Milano e Napoli e c'è stata una fuga dalle sedi disagiate. Qui non c'entra niente la politica, ma è stato un autogol della magistratura stessa.
Ancora oggi pesano molto i giochi di forza delle correnti: non sempre diventa capo quello più bravo.

Intercettazioni: si può fermare la divulgazione delle intercettazioni, in fase di indagini preliminari, mettendo su ogni file audio (della intercettazione) una password che poi va fornita esclusivamente dal responsabile in sala intercettazione, al pubblico ministero. In questo modo si è certi chi sia poi il responsabile della fuga.

Operazione crimine in Lombardia: è stata un'operazione spartiacque, perchè ha dimostrato come la ndrangheta del nord è ancora legata a quella della Calabria (diversamente da come pensavano altri colleghi).

Il federalismo: si rischia di consegnare il sud alle mafie. Se il potere è decentrato agli enti locali, per i capimafia è più facile controllare le amministrazioni locali, la gestione dei soldi, la politica.
L'arresto dei latitanti: per misurare l'efficacia dell'azione antimafia non servono solo gli arresti dei latitanti (subito rimpiazzati, in molti casi). Bisogna misurare il grado di vivibilità, in certe zone. L'arresto è un discroso di immagine: a Reggio Calabria l'anno scorso abbiamo arrestato 1000 persone, ma dietro ce ne sono altri 10000 di ndranghetisti.
La vivibilità si misura in altre maniere. Se l'estorto trova convieniente pagare piuttosto che denunciare l'estorsore, allora non serve a niente. Se invece l'estorto vede l'usuraio condannato a 10 anni di carcere netto, allora è diverso e lo stato diventa credibile.

Sul 41 bis e la durezza della pena: secondo Gratteri si può ravvedere un omicida, un rapinatore . Ma chi è stato battezzato da cosa nostra, a questo credo, non può avere ravvedimento. È bene allora che questi detenuti lavorino in carcere, per pagarsi il vitto.

La Chiesa: da più parti si dice che la chiesa dovrebbe scomunicare i mafiosi. Al di là delle motivazioni teologiche, la chiesa è stata poco presente su questi temi e potrebbe fare molto di più.
Gratteri ha inoltre apprezzato il lavoro del vescovo di Locri (una zona ad alta densità ndranghetista), Morosini, uno che parla con dei si e dei no.

L'expo 2015: per la ndrangheta è una grande occasione per arricchirsi e esternare il suo potere. Per le ndrine è come poter dire “io ho avuto il potere di venire a Milano e ho avuto degli appalti”.
Le mafie sono un problema di tutti gli italiani, la conclusione dell'intervista: una indagine del Censis ha stabilito che il 22 % degli italiani convivono o hanno avuto a che fare con le mafie.
Per vincere la sfida servirebbero dunque le modifiche chieste al codice penale, ma anche una globalizzazione (o almeno una europeizzazione) della lotta alle mafie.

Qui la seconda parte dell'intervista.

Qui il link su ibs per ordinare il libro.

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