Il New York times si chiede come possano tollerare gli italiani gli atteggiamenti di B. (dimenticandosi di come loro abbiamo accettato le bugie di George W.). La risposta è che in Italia, oltre alla corruzione, all'evasione, alle mafie e ad una chiesa (intesa come i suoi vertici a Roma) indulgente con i potenti, esistono anche i benpensanti.
Sono quelli che, dalla loro poltrona, condannano le manifestazioni, non solo quelle che poi sfociano in atti di violenza, le iniziative dal basso, non controllate.
Mi riferisco al coro bipartisan di condanna agli scontri di Arcore.
Come se le persone arrestate si fossero anche loro sottratte alla giustizia invocando il giudice naturale o tuonando contro le toghe rosse.
Per gli scontri di domenica ci sarà un processo ed eventualmente una condanna: fino ad allora, si deve concedere la presuzione di innocenza.
Come per Dell'Utri e come fino all'altro ieri per Cuffaro. Una cosa è la condanna di certi atti circoscritti, altra cosa è criticare la piazza "perchè non è così che si risolvono i problemi".
Chi è senza peccato, come dicono i cattolici, scagli la prima pietra. Chi invece ha una condanna per resistenza a pubblico ufficiale, dovrebbe riflettere prima di accusare.
In Italia esistono categorie che possono (occupare le piazze, evadere, corrompere) altre che non possono.
In mezzo i benpensanti, difensori dello status quo.
I benpensanti riescono ad accettare 4 bambini morti (in una baraccopoli rom a Roma). I morti della Thyssen a Torino. I 50 miliardi di evasione. La Campania inquinata dalla malapolitica.
Ma la gente in piazza no. Quello non lo possono accettare: gli studenti incazzati per i tagli, le persone indignate per la scarsa etica pubblica del presidente del Consiglio (da non non confondere con i suoi peccati privati).
Non è con la violenza che si risolvono i problemi, si è detto ai tempi delle proteste contro la riforma (i tagli) della Gelmini. Ma chi sta ascoltando le persone (e i loro problemi)? La politica? I benpensanti?
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