Il nuovo libro di Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti: Non voglio il silenzio.
Le parole diventano un sussurro e cedono al silenzio.
Quando riceve la telefonata, la voce femminile che lo strappa al sonno è spaventata e gli dà appuntamento per il giorno dopo, in un'aula di tribunale. Non la incontrerà. In quell'aula qualcuno la uccide e si toglie la vita e tutto quello che la ragazza riesce a dire sono tre sillabe, un nome. Solara. Un nome che lo riporta in un pomeriggio in cui sua moglie muore in un'incidente stradale, lasciandolo solo a crescere Giulia. E ancora più indietro, al luglio del 1992, quando una bomba esplode in via d'Amelio e uccide Paolo Borsellino e la sua scorta. Non sarà l'ultima, quella bomba. E non era la prima. Giovanni Falcone, a Capaci, il maggio precedente. E poi Firenze, Milano, Roma. Bombe che non hanno un senso o forse ne hanno anche troppo.
La verità di quei giorni è sepolta sotto un cumulo di macerie che in troppi hanno interesse a non rimuovere. Forse l'uomo avrebbe dovuto lasciar perdere, il giorno in cui ha sentito quel nome. Fingere di non sapere che l'inchiesta a cui avevano lavorato il padre e la moglie, entrambi giornalisti, aveva lasciato troppi nervi scoperti.
Desiderare il silenzio, invece di combatterlo.
Le parole diventano un sussurro e cedono al silenzio.
Quando riceve la telefonata, la voce femminile che lo strappa al sonno è spaventata e gli dà appuntamento per il giorno dopo, in un'aula di tribunale. Non la incontrerà. In quell'aula qualcuno la uccide e si toglie la vita e tutto quello che la ragazza riesce a dire sono tre sillabe, un nome. Solara. Un nome che lo riporta in un pomeriggio in cui sua moglie muore in un'incidente stradale, lasciandolo solo a crescere Giulia. E ancora più indietro, al luglio del 1992, quando una bomba esplode in via d'Amelio e uccide Paolo Borsellino e la sua scorta. Non sarà l'ultima, quella bomba. E non era la prima. Giovanni Falcone, a Capaci, il maggio precedente. E poi Firenze, Milano, Roma. Bombe che non hanno un senso o forse ne hanno anche troppo.
La verità di quei giorni è sepolta sotto un cumulo di macerie che in troppi hanno interesse a non rimuovere. Forse l'uomo avrebbe dovuto lasciar perdere, il giorno in cui ha sentito quel nome. Fingere di non sapere che l'inchiesta a cui avevano lavorato il padre e la moglie, entrambi giornalisti, aveva lasciato troppi nervi scoperti.
Desiderare il silenzio, invece di combatterlo.
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