Per cosa sono stati sacrificati gli uomini della sua scorta? Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
In nome di quella ragione di stato (con la s minuscola) che, secondo alcuni illustri penalisti) porta a giustificare persino la trattativa con la mafia?
Perché, prima di tutto, ci sono le istituzioni (sempre con la minuscola)?
E allora, l'importante è salvare la politica, lo status quo, i partiti. Cambiare la facciata delle cose (i nomi dei partiti), rendere inoffensivi i mafiosi che hanno fatto il lavoro sporco, trovare qualche capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica (il depistaggio su via D'Amelio, il falso pentito Scarantino) ..
Ecco, forse per uno stato così, non ne vale va la pena: combattere la mafia, sacrificare tutta la tua vita, il tempo dedicato alla tua famiglia, una vita sotto scorta, i mesi all'Asinara per scrivere l'istruttoria per il maxi processo. Combattere la mafia in quanto struttura unitaria e verticistica, capace di intrattenere rapporti con politica, imprenditoria, finanza.
Sacrficarsi per un paese dove putroppo corruzione ed evasione (e mafie) sono entrate a far parte del sistema, e godono pure della protezione da parte di questo sistema.
Un sistema paese dove la distinzione tra buoni e cattivi, tra ministri a loro insaputa, governi imprescindibili, diventa sempre più difficile.
Dove a parole sono tutti pronti a chiedere la verità sulle stragi di mafia, ma in realtà questo processo sulla trattativa (che viene sempre chiamata presunta), questa classe politica non lo vuole fare.
Ma non è solo questo lo stato. No, lo Stato sono soprattutto quegli italiani onesti che non girano la testa dell'altra parte. Quei giovani che non si vogliono rassegnare e vogliono cambiare la faccia di questo paese, che non è solo fatto da corrotti ed evasori.
Ecco, è per queste persone che ancora non si rassegnano allo status quo, è per le generazioni che verranno e che credono nello Stato, nella Costituzione, nelle Istituzioni, che ne vale la pena. Che ne è valsa la pena.
Dal Fatto Quotidiano del 19 luglio:
In occasione della commemorazione della strage di via D’Amelio, nella quale morirono il procuratore Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, Donata Gallo – che lavora in Rai da anni confezionando programmi culturali e approfondimenti - ha firmato un breve documentario basato sul discorso del procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, letto a venti anni dall'eccidio, nel 2012. Nel video, che si intitola “Caro Paolo”, personaggi della cultura e dello spettacolo leggono il testo di Scarpinato, sostituendo la loro voce a quella del magistrato. In ordine si alternano Andrea Camilleri, Maya Sansa, Marco Bellocchio, Benedetta Tobagi, Toni Servillo, Francesca Inaudi, Francesco Rosi, Dacia Maraini, Nicola Piovani, Anna Bonaiuto e don Luigi Ciotti. “L'idea del video mi è nata come naturale conseguenza del consenso collettivo che quel discorso ha suscitato nel nostro paese – racconta Gallo - Scarpinato è riuscito a coniugare un discorso agghiacciante sui poteri criminali che hanno condizionato lo sviluppo sociale ed economico in Italia, con il racconto struggente di un uomo che conosce il suo terribile destino che lo separerà per sempre dai suoi affetti più cari. Ho scelto dei “lettori” nobili che potevano rappresentare al meglio noi comuni cittadini”. Vi proponiamo un estratto di quel discorso del giudice Scarpinato.
Caro Paolo, oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio e il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, qualche personaggio la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – e ma-nano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E COME se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’a c-cesso al mondo dorato dei facili privilegi. Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio e di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese. Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita. Che cosa si è fatto per dare allo Stato una immagine credibile?... La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E A UN RAGAZZO che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle Forze del-l’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”.
E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
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