Ci sono romanzi di Andrea Camilleri cui
sono particolarmente affezionato (e che mi piace anche rileggere): “Il birraio di Preston” è
uno di questi.
Per la storia che racconta, una sorta
di apologo che mostra come la Sicilia sia stata malgovernata sin
dagli inizi dell'Unità d'Italia, soffocata da uomini dello Stato che
da una parte non si preoccupavano di circondarsi da mafiosi pronti ad
offrire loro servizi e dall'altra incapaci di comprendere, di
osservare, di scendere da quella sorta di piedistallo su cui erano
messi per la posizione di potere.
Per i personaggi di questa storia,
ambientata alla fine dell'800 dunque, che sono vivi, che parlano a
noi, perché ciascuno di essi è metafora di un pezzo della Sicilia.
Cominciando dagli uomini dello Stato,
tutti del nord chiaramente, a ricordarci di come sia avvenuta
l'unificazione del regno del Sud, una colonizzazione da parte dei
Savoia.
Il prefetto Bortuzzi, toscano,
una persona presuntuosa, che pensa di comprendere la provincia che
deve amministrare guardando le figure dei libri:
“La Sicilia la honosco bene sulle figurine. Meglio che andarci di persona”.
Che si è ostinato a voler inaugurare
il nuovo teatro di Vigata con la rappresentazione de “Il birraio
di Preston”, opera poco famosa di tale Luigi Ricci, mettendosi
contro tutta la popolazione vigatese.
«Chiamatemi Emanuele!» ordinò Sua Eccellenza il prefetto di Montelusa, Bortuzzi cavalier dottor Eugenio, riconsegnando all’usciere una voluminosa carpetta di pratiche già firmate.
L'ostinazione con cui Bortuzzi ha
scelto proprio quest'opera, ambientata in Inghilterra e che parla di
mastri birrai, troverà spiegazione alla fine del racconto, quando
ormai sarà troppo tardi per porre rimedio.
A fianco del prefetto, il mafioso
Emanuele Ferraguto: “ meglio noto in provincia e fuori come «don
Memè» o più semplicemente «u zu Memè»”.
E poi il Questore
Colombo, milanese, in lite col Prefetto per motivi di prestigio e
anche con la moglie, per questioni più personali.
«Oh che bella giornada! Che ciel de primavera!» venne fatto di dire ad alta voce, appena tirate le tende della cammara da letto, a Everardo Colombo, questore di Montelusa.
Piemontesi sono i
militari, che dovrebbero garantire l'ordine pubblico nella provincia
e sull'isola.
Piemontese anche il
capitano dei militi a cavallo.
E, dall'altra parte
della barricata, il popolo dei vigatesi.
I borghesi del
circolo che, come congiurati, decidono di boicottare l'opera,
preferendo all'opera di questo autore fiorentino, le musiche di
Bellini e Verdi:
«C’è un fantasima che fa tremare tutti i musicanti d’Europa!» proclamò a gran voce il cavaliere Mistretta dando contemporaneamente una forte manata sul tavolino»
C'è
Concettina vedova Lo Russo
che, nel mentre si sta rappresentando l'opera, attende il suo amante
nel letto, per la prima (e purtroppo l'ultima) volta dopo la morte
del marito pescatore.
«Avrebbe tentato d’alzare la
muschittera?» si domandò la signora Riguccio Concetta vedova Lo
Russo, trepidante»
C'è un falegname,
don Ciccio Adornato, l'unico a capirne veramente di musica in
paese e ad apprezzare le opere di Mozart. Perché quando era
nicareddro, fu portato alla rappresentazione de Il flauto magico, e
si ritrovo trasportato in cielo dalla musica
“.. a mia sicuramente mi principiò una febbre àuta. U cori mi batteva forti, ora sentiva càvudo càvudo ora friddo friddo, la testa mi firriava”.
Altro
personaggio degno di nota, l'onorevole Fiannaca, senatore a Roma, ma
coltivatore di altri "campi" anche a Vigata, grazie
ai picciotti che lo accompagnano. Uomo di relazioni e di famiglia:
«Allora lei vuole parlare col Fiannaca presidente della Società di Mutuo Soccorso Onore e Famiglia?».
«Con lui» fece Adornato che tanto stronzo non era.
Ci sono anche altri
congiurati, però a Vigata, oltre ai signori che intendono far
fallire l'opera: il mazziniano Nando Traquandi, arrivati
clandestino da Roma, che intende portare avanti la sua lotta contro
il potere dello Stato in altre maniere. Senza distinguere, senza
voler comprendere (un po' come il prefetto d'altronde):
“Il picciotto vedeva la luce di una sola verità: che il bianco era bianco e il nìvuro era nìvuro. Scarsi gli anni ancora per capire che quando il bianco sta vicino vicino al nìvuro”.
Con le bombe e col
fuoco, ad esempio, anche se queste causeranno vittime.
«Le vampe possono appigliarsi ad altre case, dove c’è gente che dorme». «E che me frega a me de la gente che dorme? Se ce scappa er morto, mejo, la cosa farà più rumore».
In mezzo a questo
trambusto, l'uomo della legge, il delegato Puglisi, uno dei
pochi siciliani della macchina dello Stato. Che ricorda molto da
vicino un altro uomo di legge, nato sempre dalla mente di Camilleri,
quale è il commissario Montalbano. Per la sua ostinazione nel voler
risolvere un caso, per la sua capacità di saper ragionare con le
persone, per la sua umanità e anche per quel pizzo di “burberità”
coi sottoposti.
La storia è presto
detta: a Vigata si sta per inaugurare il nuovo teatro con
un'opera (“Il birraio di Preston”) invisa ai vigatesi ma
fortemente voluta dal prefetto.
Per zittire le voci
contrarie, costui chiede aiuto al mafioso don Memé e di usare i
militi a cavallo, militarizzando il teatro e gli spettatori
dell'opera.
In paese altri
nemici dell'opera si stanno muovendo: il mazziniano Traquandi, venuto
da Roma, per fare rumore senza preoccuparsi delle conseguenze.
Ma per sabotare la
riuscita dell'opera ci penserà il destino e anche l'insofferenza dei
vigatesi, costretti a seguire un'opera che non capiscono.
Il
racconto di Camilleri principia con l'incendio del teatro: come fu
che scoppiò l'incendio? Se lo chiede l'ingegnere tedesco Hoffer
(un altro “straniero”),
svegliato dal figlio e giunto fino al teatro col suo carretto, per
spegnere le fiamme.
L’uomo calò le braccia, se le mise darrè la schiena, si taliò la punta delle scarpe. «Non lo sapete?». «No. Nessuno kvi sa». «Ah. Pare che la soprano a un certo punto stonò».
Ma, attenzione,
l'ordine dei capitoli non segue l'ordine lineare cronologico del
tempo: per un colpo di genio del maestro sono stati mescolati, chi
prima e chi dopo, in modo che ciascun lettore possa costruirsi la sua
storia.
Non solo, ciascun
capitolo ha un incipit che richiama altre opere famose: per esempio
“Era una notte che faceva spavento Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto,..”
Una ripresa
scherzosa dell'incipit dei romanzi di Snoopy.
Anche questo:
Era una gioia appiccià er foco, su questo nun ce stava dubbio gnuno, ma a vedello cresce, annarsene sempre più arto, guadambiare spazio, magnasse cantando tutto quelo che je se parava avanti,..
Una rivisitazione
di “Fahrenheit
451” di Roy Bradbury.
Si ride molto, in
questo romanzo: ci sono pagine veramente spassose, come quando si
racconta della sommossa dei vigatesi dentro il teatro e della famosa
pernacchia (o “pireto”) di Mommo Friscia
I pìrita, o pernacchi, di Mommo Friscia erano leggendari in paese e fuori. Avevano la forza, la consistenza e la brutalità di un devastante terremoto,..
Si ride, è vero.
Ma non si deve dimenticare che Andrea Camilleri è partito da una
storia vera, con cui si è documentato, per questo romanzo:
L'Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876), che non è quella di Franchetti e Sonnino, ma quella parlamentare, venne pubblicata dall'editore Cappelli di Bologna nel 1969 e subito si rivelò per me una vera miniera. Da domande, risposte, osservazioni, battute contenute tra le centinaia e centinaia di pagine sono nati il romanzo La stagione della caccia e il saggio La bolla di componenda.
Questo nuovo romanzo allunga il debito. Nell'udienza del 24 dicembre 1875 viene ascoltato il giornalista Giovanni Mulè Bertolo per sapere qual è l'atteggiamento della popolazione di Caltanissetta e provincia nei riguardi della politica governativa. Il giornalista dice, a un certo momento, che le cose sono mutate in meglio dal giorno dell'allontanamento del prefetto, il fiorentino Fortuzzi, che si era reso particolarmente inviso alla popolazione («Fortuzzi voleva studiare la Sicilia attraverso le figurine incise nei libri. Se un libro non aveva figure, non aveva importanza... Stava sempre chiuso fra quattro mura, avvicinato soltanto da tre o quattro individui a cui s'ispirava»).
Il carico da undici Fortuzzi ce lo mise il giorno in cui, dovendo si inaugurare il nuovo teatro di Caltanissetta, impose che l'opera da rappresentare fosse Il birraio di Preston («Voleva imporre anche la musica a noi barbari di questa città! E con il nostro denaro» esclama sdegnato Giovanni Mulè Bertolo). Ci riuscì, malgrado l'opposizione delle autorità locali e il bello è che non si è mai saputo il perché di questo suo intestardirsi sul Birraio. Naturalmente durante la rappresentazione accaddero numerosi incidenti, un impiegato postale che disapprovava vistosamente venne il giorno appresso trasferito («dovette abbandonare il posto perché non aveva che 700 lire all'anno di stipendio e non poteva allontanarsi da Caltanissetta»), i cantanti furono subissati da fischi.
A un certo momento dovette accadere qualcosa di più serio, perché, dice sempre il giornalista, «entrarono in teatro militi a cavallo, truppa con le armi». Ma a questo punto i membri della commissione preferiscono glissare e passano ad altro argomento.
[Dalla nota al libro, che trovate anche qui su Vigata.org ]
Si ride ma si ride
amaro, specie quando si arriva al finale, dove l'unico a pagare per i
morti, per i tumulti, per i complotti e il povero Puglisi.
Forse è la storia
della Sicilia che è tutta una farsa di teatro.
La scheda del
libro sul sito di Sellerio
e sul sito Vigata.org
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