13 luglio 2023

Tre camere a Manhattan di Georges Simenon

 


Si era alzato di scatto, esasperato, alle tre di notte, e si era vestito così in fretta che per poco non usciva in pantofole, senza cravatta, con il bavero del soprabito rialzato, come quelli che portano fuori il cane la sera tardi o di buon mattino. Poi, nell’attraversare il cortile di quella casa che, dopo due mesi, non riusciva ancora a considerare una vera casa, si era accorto, alzando meccanicamente la testa, di aver lasciato la luce accesa, ma non aveva avuto la forza di risalire.
A che puto era la situazione, lassù, da J.K.C.? Chissà se Vinnie stava già vomitando.

Ho letto questo romanzo tutto d’un fiato, pagina dopo pagina, come se fosse un giallo o un romanzo dove si svela un segreto: eppure in questo “Tre camere a Manhattan” non ci sono morti o assassini da scoprire, Simenon è riuscito ancora una volta a costruire un racconto, molto reale e soprattutto molto teso dove si parla d’amore.
Non è un romanzo d’amore: è la storia di due persone, non più giovani, con alle spalle un matrimonio finito male, con dei figli che non vedono più da tempo e che sono rimasti soli per troppo tempo. Perché anche in una città come New York, con milioni di abitanti ci si può ritrovare a vivere da soli in una squallida stanza a Manhattan, un letto, una cucina, tanto disordine, nemmeno un telefono per tenersi in contatto col mondo di fuori. È quello che è successo a Francois Combe: lo incontriamo sin dalle prime pagine quando, per la disperazione del dover sentire le grida dei vicini, presi dalle effusioni amorose, se ne esce di sera, vagabondando per la città. In un bar incontra una donna, con una cappellino in testa e una pelliccia sulle spalle che gli rivolge la parola:

«Lei è francese, vero?»

Nasce così, quasi per caso (anche se poi scopriremo che non è stato proprio così) una strana relazione tra due persone di cui appena conosciamo i nomi, perché del loro passato scopriremo qualcosa un pezzo alla volta. Si incontrano ed all’improvviso scoprono una naturalezza nello stare assieme, nel passeggiare a lungo per le strade di New York, per poi finire in una camera di albergo, il Lotus. Attraverso lo sguardo di Francois, vediamo tutto l’evolversi di questa relazione: dall’abbandonarsi l’uno nell’altro fino alla sottile diffidenza di lui, che non riesce a soffrire le passate relazioni di lei, Kay, con altri uomini. Ma è una diffidenza, una gelosia che non riesce in alcun modo a portarlo lontano da lei: perché prevale alla fine la paura della solitudine, del ritrovarsi nuovamente da solo. Tornare in quella camera di albergo e non trovare più nessuno.

Che cosa avrebbe fatto se, al ritorno, avesse trovato la camera vuota?

Quell’idea gli era appena balenata che già lo faceva star male, e lo gettava in un tale stato di smarrimento e di panico che si voltò bruscamente per assicurarsi che nessuno stesse uscendo dall’albergo.

In una notte queste due persone sole avevano attraversato tutte le tappe che gli amanti impiegano di solito settimane o mesi per attraversa: il sesso sfrenato, la dolcezza del risveglio l’uno accanto all’altro, la naturalezza nello stare assieme, nel fare le cose assieme nell’intimità della casa. E poi la sottile gelosia, fino quasi al disprezzo, per le piccole bugie che lui coglie nei racconti di Kay.

Ma alla fine lui rimaneva lì, non poteva fare a meno di lei, in un continuo scappare per poi ritornare assieme.

Era come un gioco, un gioco molto eccitante. Quella era la terza camera in cui stavano insieme, e in ognuna di esse lui scopriva non solo una Kay diversa, ma nuove ragioni per amarla, e un nuovo modo di amarla.

È così che nasce l’amore, questo ci racconta Simenon: nel riconoscersi l’uno nell’altro e può succedere anche quando si è raggiunta una certa età. Un amore a cui si arriva dopo un percorso, dentro cui possono starci anche dei piccoli tradimenti, ma dove alla fine si arriva ad un finale: un finale dove non serve più darsi le caccia l’uno contro l’altro, basta camere a Manhattan, basta bicchieri di scotch bevuto nei bar nella lunga notte di New York, basta monetine da inserire dentro i juke box, per ascoltare la loro canzone.

Come viene raccontato nella terza di copertina, in questo romanzo c’è molto del personale di Simenon

«È uno dei rarissimi libri che abbia scritto a caldo. E questo mi faceva paura».

.. a caldo di una sua relazione con la segretaria proprio a New York, che poi divenne la sua nuova moglie: è da qui, dalla mente dello stesso autore, da quei suoi mesi passati a New York, che nasce tutta l’analisi psicologica, tutti quei pensieri che pesano come un fardello nella mente del protagonista, anche tutte le sue piccole bassezze nei confronti della compagna.

La scheda del libro sul sito di Adelphi
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