Accadde tutti in quei pochi mesi, settimane di 30 anni fa.
Le ultime bombe della mafia o, meglio, messe dai mafiosi per portare avanti una strategia eversiva che aveva a capo menti raffinatissime.
Il suicidio di Antonino Gioè, poco prima di parlare coi giudici.
Le bombe di Milano e Roma del 27 luglio 1993.
Il black out di Palazzo Chigi che, nelle memorie dell'allora presidente del Consiglio Ciampi, avevano fatto temere un colpo di Stato.
E poi, il suicidio di Raul Gardini, la maxi tangente Enimont, l'inchieste di Milano sulla corruzione nella politica.
Non fu un colpo di stato quello che avvenne trent'anni fa, ma qualcosa di simile ai messaggi tra corpi dello stato degli anni della strategia della tensione: pezzi di servizi, le menti raffinatissime legate alla criminalità organizzata, parti della politica cercavano nuovi equilibri.
Quelli poi arrivati con la discesa in campo di Berlusconi?
Di certo è sbagliato dire - come fanno tanti - che lo stato quella guerra contro la mafia l'ha vinta.
Vista la lunga latitanza concessa ai Messina Denaro, ai Provenzano, referenti di questo nuovo equilibrio, di questa nuova mafia, non si direbbe.
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