Per quanto la propaganda si sforzi, alla fine tutte le bugie vengono fuori. Prima o poi.
Altro che "ho iniziato a fare politica dopo la morte di Borsellino", "non ho mai perso una fiaccolata con le associazioni antimafia": domani il governo e il suo presidente si limiteranno alle cerimonie ufficiali, con tanto di discorsi pieni di ipocrisia, per ricordare la morte del giudice Paolo Borsellino ucciso in via D'Amelio assieme agli uomini (e ad una donna) della sua scorta.
Se veramente questo governo volesse fare lotta alla mafia non cercherebbe di rimuovere il Concorso esterno in associazione mafiosa, nato col pool di Falcone e Borsellino (e Caponnetto, Di Lello, Guarnotta). Non attaccherebbe i magistrati un giorno si e l'altro pure.
Se veramente avessero intenzione di ricordare Borsellino cercherebbero di fare luce sui depistaggi di stato, fatti per creare un pentito come Scarantino e allontanare le indagini dei magistrati dai Graviano. E da Dell'Utri. E da Berlusconi.
C'è un peccato originale che impedisce a questo governo di fare vera lotta alla mafia, ai suoi interessi economici, fare luce sulla zona grigia tra criminalità, imprenditoria e mondo dei professionisti (e magari delle logge massoniche).
Si tratta del filo nero che lega le stragi di mafia con l'estrema destra, responsabile delle stragi degli anni settanta-ottanta, da Piazza Fontana a Bologna: ne ha parlato ieri l'ex magistrato Roberto Scarpinato nell'articolo "Via d’Amelio e i vulcani comunicanti delle stragi"
Un terzo robusto canale di collegamento è venuto alla luce con la condanna come ulteriore esecutore delle strage di Bologna di Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale, uomo dei servizi segreti, che fu in missione in Sicilia nel 1992, nello stesso periodo in cui era presente Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale già legato a D’Amato. È stato accertato che Bellini dialogò ripetutamente in quei mesi con Antonino Gioè, esecutore della strage di Capaci, uomo-cerniera tra la mafia e i servizi segreti, al quale, come ha dichiarato Giovanni Brusca, suggerì di alzare il livello dello scontro con lo Stato effettuando attentati contro i beni artistici nazionali: idea, questa, maturata già nel 1974 all’interno di Ordine Nuovo, formazione della destra eversiva i cui esponenti sono stati riconosciuti colpevoli delle stragi di Piazza Fontana (Milano, 1969) e Piazza della Loggia (Brescia, 1974) e che, come è stato accertato, hanno goduto di protezioni statali ad altissimo livello. Nella motivazione della sentenza di condanna di Cavallini depositata il 7 gennaio 2021, la Corte di Assise di Bologna dedica quasi cento pagine alla rivisitazione dell’omicidio Mattarella, giungendo alla conclusione, anche alla luce di nuove acquisizioni, dell’esattezza della pista nera individuata da Falcone ed evidenziando le connessioni tra quell’omicidio e la strage di Bologna. Mi risulta personalmente che Falcone era fermamente intenzionato a riprendere quelle indagini se fosse stato nominato procuratore nazionale antimafia. Non gliene diedero il tempo, massacrandolo a Capaci.
Stessa sorte riservarono a Borsellino, affrettandosi prima che avesse il tempo di dichiarare alla Procura di Caltanissetta quanto aveva appreso da Falcone e da alcune fonti sulle collusioni mafiose di alcuni vertici dei servizi segreti e su riunioni di un gruppo di selezionati capi di Cosa Nostra per elaborare un complesso piano stragista. Il piano prevedeva come primo atto la strage di Capaci e vedeva la compartecipazione di altri potenti forze criminali, le stesse che avevano animato la strategia della tensione nei decenni precedenti. Circostanze di cui aveva preso nota nella sua agenda rossa. Una agenda che dunque doveva sparire prima di finire nelle mani dei magistrati che, seguendo il filo di Arianna tracciato in quelle pagine, da Palermo potevano forse risalire passo dopo passo sino a Bologna, facendo così uscire dagli armadi tanti scheletri della prima Repubblica. Che invece sono transitati nella seconda, contribuendo a sostenerne le fondamenta.
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