Ci sono giornalisti che si accontentano di fare da reggimicrofono al politico di turno e che non si lamentano se vengono rinchiusi nei vagoni del treno per una gita propagandistica a Pompei.
Ci sono poi altri giornalisti, che citando il bel film su Giancarlo Siani possiamo chiamare "giornalisti giornalisti" che non si accontentano delle dichiarazioni ufficiali, dei comunicati stampa, delle conferenza stampa del presidente del consiglio senza domande.
Sono giornalisti, e ce ne sono, che cercano la notizia, seguono le storie, senza preoccuparsi se questa notizia dia fastidio a qualcuno di potente.
Questo era Andrea Purgatori, un giornalista che, per esempio, non si sarebbe fermato al comunicato stampa sulla liberazione di Patrick Zaki da parte del regime del generale Al Sisi: Purgatori cercherebbe di capire quali altre partite si siano giocate sulle spalle dello studente bolognese.
Anche se questa ricerca della notizia, questo andare oltre la facciata della narrazione potrebbe dar fastidio.
Come poteva dar fastidio intestardirsi per non lasciar cadere nell'oblio la vicenda di Ustica: non si poteva far cadere nel dimenticatoio l'abbattimento dell'aereo dell'Itavia sui cieli del Tirreno. Quella di Purgatori poteva essere quasi scambiata per una ossessione, specie in questo paese dove l'indignazione dura meno di un orgasmo.
Purgatori ha tenuto accesso il faro della verità su questa brutta vicenda, spiegando perché le piste "consolatorie" e "assolutorie" come la bomba o il cedimento strutturale fossero false. Nonostante questo volesse dire mettersi contro i generali dell'Aeronautica, contro la dichiarazioni ufficiali della marina americana (sulla Saratoga, sugli aerei Nato in volo quella sera sul Tirreno).
Tutto questo per il solo fine del raccontare ai suoi lettori (e telespettatori) una storia credibile, reale: un dovere morale per un giornalista, un dovere che anche lo stato avrebbe dovuto portare avanti, nei confronti delle vittime.
Non è facile fare il giornalista giornalista in questo paese: è molto più facile stare dalla parte del potente, fare il reggimicrofono, sposare la narrazione ufficiale: ci sono meno problemi, meno rischi di querele o minaccia di querela.
Non si tratta solo della cronaca giudiziaria, un tema molto caldo ancora oggi, con le vicende dei ministri Santanché o La Russa.
Mi riferiscono alle storie, che Atlantide - la trasmissione di Purgatori su La7 - aveva raccontato: come il racconto delle giornate del G8 a Genova nel luglio 2001, di cui cui oggi ricorre l'anniversario. La macellerie messicana fatta dal reparto celere della polizia alla scuola Diaz, le prove false portate dai poliziotti (con la complicità dei superiori) dentro la scuola per la narrazione governativa secondo cui nella scuola erano presenti black bloc.
La narrazione di comodo doveva essere chiara: la polizia ha semplicemente fatto il suo dovere, nella scuola c'erano dei violenti che sono stati fermati.
Eppure la verità, scomoda, era ben diversa, perché su Genova era calata la notte cilena, la notte della democrazia (il titolo della puntata di Atlantide), "una violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea" come scrisse Amnesty.
Scomodo raccontare queste storie, come quelle dei rapporti tra pezzi delle istituzioni, parti dei servizi, esponenti della politica, con la mafia.
Chi ha seguito la puntata di ieri sera di Atlantide, finita a tarda notte, sulle stragi del 1993 in Italia ha chiaro il contesto: nei servizi, già andati in onda nella giornata a memoria del giudice Giovanni Falcone, si racconta il contesto di quei mesi. La strategia eversiva della mafia, suggerita da un'entità superiore che suggeriva strategia e obiettivi da colpire, la rivendicazioni della falange armata (che rimandavano a vecchi uffici dei servizi, attivi negli anni della strategia della tensione), il voler tenere sotto tensione il governo Ciampi, per preparare il terreno ad un nuovo soggetto politico..
Una verità complicata da spiegare ma ancora più difficile da ammettere: ancora oggi è tabù, per pezzi delle nostre istituzioni democratiche, parlare del G8 di Genova o dei rapporti tra stato e mafia. O del delitto Moro, delle stragi degli anni settanta.
Andrea Purgatori aveva questo coraggio, questa lucidità nel vedere il quadro d'insieme, questa capacità nel sapere raccontare queste storie. Perché un paese veramente democratico non ha paura nel cercare la verità.
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