06 ottobre 2023

Questioni di sangue, di Anna Vera Viva

 


PROLOGO

Le due volanti percorrevano via Fontanelle a sirene spente.

Da quando avevano imboccato via dei Vergini era scattato un sotterraneo passaparola e, a mano a mano che procedevano, le strade si facevano sempre più deserte. La polizia in giro per il quartiere incuteva sempre sospetto e preoccupazione.

Nella seconda volante, l’assistente sociale si guardava intorno. In quei tre mesi di servizio a Napoli si era trovata a intervenire spesso sul territorio, ma quella era la prima volta che operava nella Sanità. Di quel rione conosceva solo quanto i film neorealisti avevano descritto. Ma erano ambientati quasi tutti negli anni Quaranta, e ora stentava a riconoscerne le atmosfere.

Il servizio che doveva svolgere la angosciava. Togliere un bambino alla famiglia d’origine era un trauma che si rinnovava ogni volta, sebbene sapesse che, in molte situazioni, era la soluzione migliore, l’unica scelta possibile.

E questo era un caso urgente: il minore aveva sei anni, era orfano di madre e il padre era stato arrestato poche settimane prima per reati di camorra. Adesso viveva col fratello maggiore, un diciassettenne che aveva già collezionato numerose denunce per piccoli e medi crimini. Un pessimo soggetto, aveva dedotto dai suoi incartamenti, un altro destinato alla galera. Ai due avvisi di comparizione del tribunale non c’era stata risposta, quindi bisognava procedere al prelievo forzato.

Avevo comprato questo giallo, ambientato nel cuore di Napoli, il rione Sanità, alcuni mesi fa ma non l’avevo ancora letto: ho colmato ora questa colpevole lacuna scoprendo una nuova scrittrice, Anna Vera Viva che, come racconta nella terza di copertina, è nata nel Salento ma è napoletana di adozione. D’altronde un giallo come questo, con protagonista un prete-investigatore, non poteva che essere scritto da una persona che ha vissuto per anni in questa città così unica, dove per “sopravvivere senza lesioni bisognava nascere con gli anticorpi, pensò. Bisognava nascere napoletani.”

Protagonisti del racconto sono due fratelli, nati e cresciuti in un basso e legati da un affetto profondo, il maggiore si chiama Giuseppe e Raffaele il più piccolo: sono stati separati dagli assistenti sociali dopo la morte della madre e l’arresto del padre, un piccolo criminale del quartiere.
Giuseppe, sfruttando la sua ambizione e la sua intelligenza, sarebbe poi diventato un piccolo boss, un capo di quella che viene chiamata “bassa Camorra”.
Il più piccolo, che non ha mai dimenticato in questi anni il sorriso della madre, sempre con un sorriso in faccia nonostante la miseria e le fatiche, è diventato prete a Roma.

Don Giuseppe Annunziata e don Raffaele Iacono, il cognome preso dalla famiglia adottiva: un uomo della malavita il primo e un prete dai modi a volte bruschi, poco attento alle gerarchie e a non pestare certi piedi.

Dopo quarant’anni, le loro strade sono destinate ad incrociarsi nuovamente: come atto di punizione, don Raffaele viene spedito a Napoli nella basilica di Santa Maria alla Sanità, detta anche San Vincenzo oppure u’ Cuppulone, proprio nel suo quartiere.

Quarant’anni erano trascorsi, un tempo lunghissimo, in cui aveva creduto che i fantasmi del passato non sarebbero ricomparsi. Ma ora, tornando a Napoli, nel suo vecchio quartiere, si sarebbe trovato di fronte a scelte che pensava di non dover affrontare mai più.

Quarant’anni di distanza che vengono spazzati via, sin da subito, sin dall’ingresso in quel quartiere così particolare, pieno di “sangue e passione”, dal primo scambio di battute con le persone della sua parrocchia, coi ragazzini incuriositi da quel prete enorme, che si sposta a piedi per le strade della Sanità senza troppe preoccupazioni.

D’altronde don Raffaele è un prete che sa farsi voler bene: negli spazi della parrocchia mette in piedi una piccola scuola di informatica per i ragazzi del quartiere, per dar loro una possibilità in più per costruirsi un futuro diverso, che non sia la via della strada, della criminalità o dell’emigrazione.
Si fa voler bene anche dai suoi parrocchiani, senza giudicare il loro passato: anche la prostituta, cui il suo predecessore aveva sbarrato l’accesso alla chiesa. Chi sono io per giudicare?

C’è un altro personaggio in questa storia, il cattivo verrebbe da dire, che paradossalmente è un uomo dello stato, un poliziotto della squadra antidroga, che dietro la facciata di cacciatore di criminali è in realtà una persona molto ambiziosa, che ha costruito una sua fortuna prestando soldi a strozzo e che ora sta entrando nella creme della società napoletana.

Renato Capece si guardò nello specchio soddisfatto. La cravatta di seta blu a fiorellini bianchi di Marinella gli dava il tocco di classe necessario. L’ambiente di cui stava per entrare a far parte era molto attento ai dettagli.

Ingresso che è reso possibile dal matrimonio imminente con Anna D’Arco, figlia di un professore universitario importante, che si è innamorata della facciata buona di quest’uomo, coraggioso, forte e onesto. In questi anni si è creato tanti nemici nel quartiere, questo poliziotto sporco: non solo le persone che ha strozzato con l’usura, non solo le donne che ha molestato, ma perfino col boss del quartiere, don Peppino, per uno scontro con un suo uomo.

Raffaele capì in un istante che il 118 non sarebbe servito profonde ferite si aprivano sulla schiena gli squarci si intuivano sotto la giacca lacerata e una larga pozza di sangue aveva intriso quasi completamente il tappeto persiano eccolo l'uomo che da anni perversava nel quartiere come un avvoltoio era la prima volta che Raffaello vedeva ma gli sembrava di conoscerlo da sempre.

Il giorno prima del matrimonio qualcuno ha deciso di fargliela pagare a quest’uomo, pugnalandolo alle spalle nel suo appartamento. Accorso sul luogo, don Raffaele incontra per la prima volta, da morto, quest’uomo di cui aveva sentito parlare tanto, e male, dalle persone del quartiere.

C’è un sospettato, per questo delitto, che viene individuato sin da subito: si tratta di una delle vittime di Renato Capece, un ambulante che, per poter trovare i soldi per pagare il debito, era stato costretto a fare lo spacciatore.
Ma don Raffaele, che in tanti anni con la tonaca ha imparato a comprendere l’animo delle persone che si trova davanti, è convinto dell’innocenza di questa persona e decide così di portare avanti una sua indagine personale, non autorizzata e nemmeno troppo discreta.

Sfruttando la sua missione di pastore delle anime, don Raffaele va ad incontrare la fidanzata del poliziotto, distrutta dal dolore, il padre di lei, che non vedeva di buon occhio quel matrimonio.

La sorella del morto, Amalia e il figlio di lei, Federico, un ragazzo molto chiuso che però don Raffaele era riuscito ad integrare assieme agli altri adolescenti che frequentano il suo corso.

E poi tutte le persone che dovevano soldi al morto: tutti avevano un motivo per vederlo morto, per mettere fine alle loro pene, che sembravano infinite perché mese dopo mese il poliziotto pretendeva interessi sempre maggiori, come una sanguisuga.

Aveva cercato di sondare gli animi delle persone coinvolte che conosceva, ed era arrivato alla conclusione che chiunque di loro, con una forte motivazione, sarebbe stato capace di uccidere. Questo l'aveva portato un pensiero più ampio: possibile che qualsiasi essere umano, messo alle strette, fiutando il pericolo, potesse trasformarsi in una belva feroce? Le persone con cui aveva parlato erano tra le più variegate, madri, fidanzate, professionisti stimati, gente che in situazioni normali si poteva definire comune, innocua, addirittura banale. E nella quale, invece aveva intuito un potenziale distruttivo latente.

Tra questo persone con cui don Raffaele entra in contatto c’è anche il fratello, che inizialmente non lo riconosce: pure a lui arriva a chiedere aiuto, per la sua indagine, per capire chi possa essere l’assassino di Renato Capece.

Con don Peppino si instaura un rapporto particolare, quel prete che dimostra così poco rispetto nei suoi confronti, un boss riconosciuto nel quartiere, suscita la sua ammirazione, in fondo si dimostra molto più coraggioso di tante altre persone senza tonaca.

Anche don Raffaele si trova in difficoltà di fronte al fratello: sente premere dentro lui il richiamo del sangue, quel sangue degli Annunziata, che vuol dire gente usa ad agire d’impulso, anche ricorrendo a metodi poco ortodossi, andando oltre la sua missione pastorale.

Si sentiva come se durante l'esecuzione di una bellissima romanza qualcuno avesse preso una stecca sonora e lui non fosse stato capace di individuarne l'autore.

Con l’aiuto della sua perpetua, don Assuntina, una donna tenace e capace di raccogliere tutte le voci del quartiere, don Raffaele riuscirà ad arrivare alla verità, al perché di quel delitto, con un colpo di scena incredibile.

Questioni di sangue racconta di come, nella vita delle persone, non esista un destino predefinito, per nessuno, che tu sia il figlio di un boss criminale o uno scugnizzo in un quartiere.

Racconta del legame, indissolubile del sangue tra fratelli, anche se tenuti lontani per tanti anni.

Sangue che ti identifica e ti lega con un luogo anche visceralmente, anche dopo anni di lontananza.

Sullo sfondo, un quartiere che è la summa di tutto questo: passione, dolore, sangue. Non a caso il rione Sanità mette assieme la vita e la morte, come racconta l’autrice parlando del cimitero delle Fontanelle e del culto delle anime “pezzentelle”:

Così il cimitero delle Fontanelle era diventato una sorta di Stargate tra la terra e il mondo dei morti. E gli abitanti del rione avevano deciso di adottare queste «anime pezzentelle». Pezzenti, povere, soprattutto perché orfane, senza nome e famiglia. Loro sceglievano un teschio - na capuzzella - che diventava una sorta di familiare defunto ma con delle capacità miracolose.

Qui il video con la presentazione del libro.

La scheda del libro sul sito di Garzanti e il link per leggere il primo capitolo.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon



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