15 ottobre 2023

Anteprima inchieste di Report – i quadri degli Agnelli, la collezione di Berlusconi e la fine della sanità pubblica

Questa sera si parla di quadri: quelli del tesoro di Gianni Agnelli oggi conteso dagli eredi dell’avvocato e che dovrebbero essere tutelati dal nostri ministero dei Beni Culturali.

Poi i quadri di Berlusconi, comprati dalle televendite online (avete presente la parodia di Guzzanti?).

Infine il servizio che dovrebbe interessare tutti quanti: la fine della sanità pubblica, sottoposta governo dopo governo ad una eutanasia che la sta spegnendo un pezzo alla volta. La pandemia e il covid non ci hanno insegnato proprio nulla.

Il tesoro di Gianni Agnelli

Che fine ha fatto la collezione d’arte di Gianni Agnelli? Non è una domanda oziosa: queste opere sono finite nel mezzo di un contenzioso legale tra Margherita Agnelli e i suoi figli.


Report ha intervistato l’ex legale di Margherita Agnelli Emanuele Gamna: l’avvocato possedeva un gran numero di quadri e di enorme valore estetico che si trovavano a Torino, nella residenza di Saint Moritz, nell’appartamento che sta davanti al Quirinale “e a quanto mi ricordo dovevano esserci dei caveau a Londra o a Ginevra”. Si parla di quadri di Klimt che, solo loro, valgono più di 100 ml l’uno: Report è venuta in possesso della lista completa delle opere da cui i Klimt risulterebbero essere cinque e non solo due. Lista che – ammette lo stesso avvocato Gamna, non è mai circolata (come ne siete venuti in possesso?).

Per vedere l’elenco completo delle opere possedute dagli Agnelli Report è andata a Ginevra dall’altro legale che gestì le trattative tra Margherita e Marella, Jean Patry: davanti al giornalista apre la cassaforte che contiene la carte coi beni nelle case degli Agnelli. Anche la casa di Parigi, in Corsica: tutti i fogli hanno entrambe le firme, Marella e Margherita Agnelli.
Tutte le opere sarebbero finite nelle mani di Margherita Agnelli: dall’avvocato Jean Patry Manuele Bonaccorsi ha scoperto un’ulteriore lista, non firmata, di opere che sarebbero rimaste nella proprietà di Marella Caracciolo che, dopo la sua morte, sarebbero state ereditate dai nipoti Elkann.

Per trovarne conferma Report è andata sulle alpi svizzere, dove viveva negli ultimi anni Marella: le opere erano custodite in depositi, quando la casa era chiusa, perché erano molto preziose – racconta a Report una persona che quelle opere le aveva viste davvero.
Una sola questione privata? No, perché la procura di Milano ha aperto un’indagine sulla sparizione di alcune di queste opere della collezione Agnelli. I legali degli Elkann avevano scoperto che nell’inventario dei beni negli immobili di Roma e Torino mancava una pagina – racconta a Bonaccorsi il giornalista del Corriere Mario Gerevini – la famosa pagina 75 dove erano indicati diversi dipinti di Monet, Jerome, De Chirico, Balla, Balthus (La chambre). Un piccolo giallo dunque: non solo c’è da capire di chi siano le opere, ma dove siano finite e se siano uscite dall’Italia. Esistono degli accordi bilaterali tra Italia e Svizzera per restituire quelle opere che sono state illecitamente esportate, ma l’accordo vale solo per i beni archeologici, non vale per i quadri, anche se alla fonte dell’esportazione dell’opera ci sia un furto, un’azione di ricettazione o altri reati.

L’elenco di queste opere avrebbe dovuto essere noto al nostro ministero dei Beni Culturali, che ha l’obbligo di tutelare i beni artistici: Report ha incontrato il sottosegretario Sgarbi a cui ha mostrato l’elenco delle 637 opere, chiedendo di quante ne fosse a conoscenza il suo ministero e se quest’ultimo abbia notizie sulla loro attuale locazione.
“I proprietari delle opere d’arte possono fare quello che vogliono” è l’opinione del sottosegretario, il ministero non è un organo di polizia, gli Agnelli potrebbero anche distruggerle secondo Sgarbi.

Secondo la legge italiana – la risposta dello storico Montanari – chi distrugge un’opera d’arte è punito con una detenzione da 2 a 5 anni. Il bene culturale ha un valore, per lo stato italiano, e dunque anche per Sgarbi, che va oltre il possesso fisico del quadro, della tela, del colore. È un bene della collettività vincolato dall’articolo 9 della Costituzione.
Tra queste opere c’è anche un Monet, che veniva esibito dagli Agnelli a Villa Frescot e che nel 2013 è stato venduto ad un’asta a New York, per 10 ml di dollari. Ma nelle liste del ministero non risulta, a quanto afferma Report, nessun permesso di esportazione.

L’ultima persona ad aver visto il Monet potrebbe essere stato proprio Restellini, di una pinacoteca “discussa” che racconta a Report di altri quadri di Gianni Agnelli, che dovevano essere esposti fuori dall’Italia e per cui attendeva l’autorizzazione da parte del ministero: quadri che sarebbero poi stati messi sull’aereo senza aspettare alcuna carta.
A Report Restellini dice che quello esposto nella sua pinacoteca non era “quel” Monet, “Glaçons, effet blanc”: siccome però non ne esistono due copie di questo quadro di Monet, o Sotheby’s avrebbe venduto un falso oppure il quadro sarebbe stato esportato illegalmente.

Del tesoro degli Agnelli ne ha parlato la scorsa settimana Ettore Boffano sul Fatto Quotidiano:

Eredità Agnelli, Balthus, Canova&C.: mosca cieca dello Stato sul “museo” di famiglia

Dov’è conservato oggi quello che potrebbe costituire il più grande museo privato d’Italia, messo assieme da Gianni Agnelli? Almeno 636 opere il cui valore supererebbe il miliardo di euro. Ma soprattutto, che cosa sa davvero di quel tesoro – e della sua collocazione attuale – il nostro ministero della Cultura, che avrebbe diritto a porlo sotto tutela rispetto a eventuali trasferimenti o vendite all’estero? Una prima risposta potrebbe arrivare proprio questa mattina a Milano quando, nel Palazzo di Giustizia, il gip deciderà se archiviare o prorogare le indagini, affidate al pm Eugenio Fusco, sulla presunta sparizione di opere appartenute al “signor Fiat”. La procura ha aperto l’inchiesta dopo un esposto di Margherita Agnelli per “il furto e la ricettazione” di alcuni quadri che la figlia dell’Avvocato sostiene essere di sua proprietà e che non avrebbe ritrovato, dopo la morte della madre Marella, in tre dimore passate nel suo pieno possesso: l’attico romano davanti al Quirinale, la residenza torinese di Villa Frescot e quella storica di Villar Perosa.

Nuovi elementi su questa vicenda saranno invece svelati durante la prossima puntata di Report, in onda domenica 15 ottobre su Rai3, con un servizio di Manuele Bonaccorsi e Federco Marconi che hanno ricostruito da documenti inediti il tesoro artistico di colui che fu l’uomo più potente d’Italia, finito nello scontro dinastico tra la moglie Marella (e con lei i nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann) e la figlia Margherita. Non si tratta di opere qualsiasi: la Melanconia di una strada di Giorgio De Chirico (valore almeno 30 milioni), due Balthus (la Chambre e il Nude Profile), e poi Monet, Sargent, Gèrôme, Indiana, Bacon, Balla (La scala degli addii). “Diverse dozzine di quadri” ha sostenuto, in un’intervista al Fatto e a Report, Andrea Galli, l’investigatore privato svizzero che da anni lavora per Margherita Agnelli.

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Insomma: che i figli non vogliano far sapere alla madre dove si trovino le opere d’arte probabilmente ereditate dalla nonna Marella è comprensibile. Che non lo sappiano gli uffici pubblici deputati alla tutela dei beni culturali – e dunque i cittadini italiani – è invece incredibile. Se i quadri, siano essi nella disponibilità dei fratelli Elkann o della madre, fossero all’estero e senza che il ministero ne fosse a conoscenza, sarebbe una gravissima perdita per l’Italia. E che cosa aspetta dunque il ministro sovranista Sangiuliano ad accertare come stanno davvero le cose e a difendere “il patrimonio storico e artistico della Nazione”, come recita la Costituzione?

La scheda del servizio: Compra l'arte e mettila da parte di Manuele Bonaccorsi e Federico Marconi

Collaborazione di Madi Ferrucci

Immagini di Davide Fonda e Cristiano Forti

Montaggio di Raffaella Paris, Giorgio Vallati e Sonia Zarfati

Grafica di Giorgio Vallati

La collezione di opere d'arte, di straordinario valore, dell'avvocato Gianni Agnelli rimasta fino ad oggi nascosta.

Una lista di oltre 600 capolavori dell'arte moderna e contemporanea, da Monet a Picasso, da Bacon a Balthus, fino a Canova e Balla. È l'immenso patrimonio della collezione di Gianni Agnelli, finita al centro della disputa sull'eredità tra la figlia Margherita e i nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann. Attraverso l'incrocio di decine di documenti inediti, raccolti tra l'Italia e la Svizzera, Report è riuscita a compilare per la prima volta l'elenco completo della ricchissima collezione d'arte della famiglia. Cosa ne sapeva il ministero dei Beni Culturali, che avrebbe il compito di sottoporre a tutela le opere d'arte più importanti? Secondo le informazioni raccolte da Report, molto poco. Alcune opere importantissime negli anni sono sparite nel nulla, sotto il naso delle soprintendenze. E potrebbero essere finite all'estero, negli appartamenti svizzeri o americani degli eredi, battute in aste internazionali o nascoste nei porti franchi svizzeri. Sulla loro scomparsa indaga oggi la Procura di Milano.

L’eutanasia del servizio sanitario

Ospedali vecchi, fatiscenti, reparti inutilizzati, pronto soccorsi affollati, presidi di guardia medica chiusi. Medici che scappano dal pubblico, dove mancano anche infermieri, mentre il privato si arricchisce. Gli investimenti previsti dal PNRR riusciranno a risollevare le sorti del servizio sanitario nazionale? – si chiede Report nell’anteprima del servizio.

Questo non è il primo servizio di Report sul ssn: lo scorso anno aveva indagato sulle case e sugli ospedali di comunità, inaugurate in pompa magna dalla coppia Fontana – Moratti (ancora assieme prima delle elezioni regionali) in Lombardia per scoprire che dietro la facciata non c’era nulla.
Stessa storia nel Veneto, dove sulle brochure si parla di 45 case di comunità nella provincia di Verona, mentre quelle veramente finanziate dal PNRR erano solo 15. Il resto è affidato solo alle buone intenzioni. Sempre a Verona, dei 19 ospedali di comunità sulla carta, solo 6 sono quelli finanziati dal PNRR. Ospedali, come quello di Bussolengo, dove – come spiegava il servizio - erano presenti solo infermieri e non medici, inaugurato (o attivato, perché si gioca anche sulle parole) a novembre 2020 ma rimasto ancora chiuso.

Claudia di Pasquale è tornata in Lombardia ad intervistare l’assessore Bertolaso chiedendo conto delle case ed ospedali di comunità, inaugurate lo scorso anno (e finanziate coi fondi del PNRR), che ancora oggi sono rimaste semivuote.

C’è chi dice che sono semivuote e chi dice che sono semi piene” risponde Bertolaso: sono semipiene se si considera che sono state inaugurate proprio in zone dove erano già erogati quei servizi (di fatto, per i cittadini, non è aumentata l’offerta del servizio sanitario), case inaugurate anche in strutture private.
Miracoli non ne sanno fare – ammette l’assessore che aspetta la disponibilità di più personale medico e di infermieri disposti a lavorare nel pubblico in Italia e in Lombardia.

Eccola la famosa collaborazione tra pubblico e privato di cui tanto si vanta il presidente Fontana: il pubblico è in difficoltà, interviene a pagamento il privato. Anche a Bergamo, la provincia più colpita dal Covid che oggi sconta tanti problemi con la sanità.

Cosa risponde il presidente alle segnalazioni di Report? Lo sapremo stasera.

Quello che sappiamo già è che Bertolaso si era già preparato al servizio di Report: il suo ufficio stampa aveva fatto circolare questo messaggio da far girare a tutte le ASST “Report sta preparando un servizio sulle Case di Comunità contattando varie ASST. La linea che vorremmo tenere è di non dare loro dati o informazioni”.

Gli effetti dei tagli sulla sanità sono stati evidenti durante la pandemia del Covid, quando abbiamo scoperto di essere senza dispositivi, posti letto, protocolli per gestire le pandemie. Oppure quando questi tagli ci toccano sul personale: la giornalista di Report ha raccolto la testimonianza di Stefania Popi: nel 2022 il padre inizia a sentirsi male, febbre, tosse stizzosa, sensazione di soffocare, inappetenza, un peggioramento generale. Per capire cosa avesse il medico di base ha prescritto più volte il ricovero in ospedale e Stefania ha portato più volte il padre al Pronto Soccorso, ma non è mai riuscita a farlo ricoverare. Così alla fine hanno deciso di farlo ricoverare a pagamento, sempre in Humanitas: in cinque giorni hanno finalmente scoperto cosa avesse il padre. Aveva una endocardite, una brutta infezione che doveva essere necessariamente curata in ospedale per tanto tempo. I 5 giorni di ricovero a pagamento sono costati 13 mila euro: non potendosi permettere altri giorni in ospedale, Stefania fa dimettere il padre e lo riporta al pronto soccorso dell’Humanitas per farlo finalmente accedere al servizio sanitario pubblico. Per spostare il padre ha dovuto pagare l’ambulanza, pagando altri 120 euro, per farlo scendere al primo piano e percorrere pochi metri fino al pronto soccorso.

La scheda del servizio: La stiamo perdendo! di Claudia Di Pasquale

Collaborazione di Gofferdo De Pascale e Raffaella Notariale

Immagini di Giovanni De Faveri, Alfredo Farina, Andrea Lilli, Fabio Martinelli, Marco Ronca e Paco Sannino

Montaggio di Daniele Bianchi e Andrea Masella

Una fotografia della situazione della sanità pubblica oggi nel nostro Paese.

La sanità pubblica è a pezzi, i vecchi ospedali sono fatiscenti, quelli nuovi sono semivuoti, interi reparti vengono chiusi per mancanza di personale, mentre le liste d'attesa sono infinite. Trent’anni di tagli alla sanità hanno lasciato un segno indelebile. Neanche la lezione del Covid sembra essere servita. L'ancora di salvataggio lanciata dal Pnrr potrà salvare il Sistema sanitario nazionale? Basterà potenziare la medicina territoriale con la costruzione di case di comunità per garantire ai cittadini il diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione? Dalla Lombardia alla Liguria Report farà una fotografia di come sta messa oggi la sanità pubblica e di qual è la direzione che ormai ha preso il nostro Paese.

I quadri di Berlusconi

Oltre che politico, presidente di una squadra di calcio, editore e tante altre cose, Berlusconi era anche un collezionista di quadri che comprava anche dalle aste televisive.

Sul Fatto Quotidiano ne è uscita una anticipazione a firma Gianni Barbacetto

Lui si mette compulsivamente a comprare”, racconta Sgarbi, “con la Fascina probabilmente, o da solo. Comincia a dire: ‘Sono Berlusconi’. E gli mettono giù il telefono perché pensano che sia uno scherzo”. Ma poi gli acquisti venivano conclusi. “E alla fine, cosa spettacolare, prende un grande magazzino”, continua il critico d’arte oggi sottosegretario alla Cultura. “Un hangar, e lì dentro con macchinette per muoversi, riscaldamento eccetera, mette, che so, 300 paesaggi, 400 battaglie, 150 temi storici, 100 madonne…”. È nata così la raccolta di Silvio Berlusconi, 25 mila tra quadri e altri oggetti d’arte. Racconta Giuseppe De Gregorio, il titolare della Galleria Newarte di Arzano, vicino a Napoli: “Squilla il telefono su un quadro da 150 euro: ‘Questo dipinto lo prendo io’. Dico: ‘Ok, mi dà il nome e cognome?’. E lui dice: ‘Silvio Berlusconi’. Educatamente stacco. Lui ha richiamato subito, stavo quasi per rispondere male. Lui dice: ‘Vabbè, ho capito: segnati il numero’”. Era il centralino di Arcore. “Poi è nato un rapporto di amicizia, correttezza e lealtà”. Un rapporto anche d’affari, durato tre anni. A un certo punto, a Napoli si sparge la voce che Berlusconi sta comprando migliaia di quadri in tv. Spuntano allora come funghi tanti improvvisati telemercanti d’arte, che a volte trasmettono da sgabuzzini. Il più fortunato è Lucas Vianini, di Tele Market. Ora ha aperto una sua galleria a Salò, sul lago di Garda. “Normalmente i quadri si svelano nell’arco delle quattro ore e lui invece capitava che li prenotasse tutti e che rimanessimo con un palinsesto di due ore da riempire senza più opere”. A Sgarbi, Silvio chiedeva consigli e valutazioni sul valore dei quadri. “Voleva che io facessi delle perizie che erano impossibili… Perché non c’era niente da scrivere, nel senso che se uno prende una copia di una veduta di Canaletto, è una copia, che devi scrivere?”. Al posto di uno Sgarbi riluttante, Berlusconi incarica come curatore della sua collezione il televenditore Lucas Vianini che si trasferisce a Milano. “Sì, in una dependance all’interno di Villa Gernetto, questa reggia monumentale nel cuore della Brianza, dove ho vissuto oltre due anni”. È Vianini che inizia a catalogare le opere stivate nell’hangar. Silvio ne era fierissimo, quando le mostrava agli ospiti. Sgarbi era più dubbioso: “Con 20 milioni, in quei tre o quattro anni poteva fare una raccolta di cento quadri bellissimi”. Invece ne ha presi 25 mila. E diceva, felice: “Che meraviglia, è la più grande raccolta del mondo”. “Una cosa un po’ infantile”, commenta Sgarbi.

La scheda del servizio: Il collezionista di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Alfredo Farina, Davide Fonda, Cristiano Forti e Marco Ronca

Montaggio di Igor Ceselli

Grafica di Giorgio Vallati

La "quadreria del Presidente” le 25mila opere d’arte acquistate da Berlusconi.

Secondo il sottosegretario Vittorio Sgarbi, negli ultimi anni di vita Silvio Berlusconi avrebbe speso più di 20 milioni di euro in opere d’arte, molte delle quali acquistate telefonando direttamente ai centralini delle televisioni locali durante alcuni programmi di televendite. Le telecamere di Report sono entrate in uno show room di Arzano, piccolo comune a pochi chilometri da Napoli, dove l’ex Presidente del Consiglio avrebbe comprato circa 5mila quadri. Le 25mila opere d’arte acquistate da Berlusconi sono custodite in un hangar di fronte a Villa San Martino, ad Arcore. Report mostrerà in esclusiva le immagini della “quadreria del Presidente”.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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