La storia della presa di coscienza di una brigatista, Chiara (Maya Sansa), coinvolta nel rapimento del segretario della DC, Aldo Moro (l'attore Roberto Herlitzka nel film). È una militante convinta delle proprie azioni, della necessità della lotta armata: alterna la propria vita passando dal tranquillo lavoro in un ministero, ai pranzi di famiglia, alla casa-prigione del leader DC dove, con gli altri carcerieri (che non hanno nomi propri, ma solo nomi di battaglia, compagno Ernesto, Primo ..), sorveglia la cella di Moro.
Ma nel corso dei 55 giorni di prigionia, qualcosa muta in lei: Bellocchio usa la metafora del sogno. Nei primi giorni Chiara sogna filmati di propaganda comunista: immagini della piazza rossa, con Stalin che sorride alla folla ...; man mano che passano i giorni, e vede, dal buco della serratura, il viso del “prigioniero del popolo”, entra in conflitto con i propri compagni, il cui capo (nella realtà Mario Moretti) è interpretato da Lo Cascio.
Chiara legge le lettere che che Moro scrive alla moglie, ai compagni di partito e al papa: queste le ricordano altre lettere, quelle scritte dai partigiani, condannati a morte dai fascisti “amore mio, domattina un plotone della guardia nazionale repubblicana metterà fine ai miei giorni”. E i sogni si trasformano in immagini di fucilazioni, delle rappresaglie nazifasciste durante l'ultima guerra (bellissime quelle tratte dal film di Rossellini, Paisà).
Sono anche loro come i militari fascisti? Che uccidono per un ideale sbagliato? Le certezze di Chiara si incrinano e anche nel film non si capisce più bene quali scene sono reali e quali partorite dalla fantasia di Chiara. Come quando immagina Moro libero per la casa, quando vede la polizia davanti alla porta.
Arriva ad immaginare di liberare Moro dalla prigionia, avvelenando i compagni: in un primo finale un Moro ridente abbandona la casa. Ma la realtà è stata ben diversa: Moro lascia la cella per essere portato alla morte.
Un film molto lento, che gioca tutte le sue carte puntando sulla presa di coscienza di Chiara. Le vicende politiche che si sono svolte attorno al rapimento sono riportate da brevi innesti di filmati d'epoca. O con la scena dove il papa Paolo VI riceve una lettera dalla presidenza del consiglio dove sta scritto “liberatelo senza condizioni”.
La sceneggiatura si basa sul libro di memorie “Il prigioniero” della brigatista Anna Laura Braghetti, una delle carcerieri: sposa la tesi che le BR hanno organizzato e gestito il rapimento da sole, senza aiuti esterni. Che tutte le BR erano d'accordo ad uccidere Moro, detenuto in una cella ricavata in un appartamento di via Montalcini (zona Magliana).
Insomma sposa la tesi emersa dalla sentenze giudiziarie, che lasciano ancora dubbi: può essere stato Moro costretto 55 giorni in una stanza stretta senza subire risentimenti fisici? Come hanno fatto le BR a scorrazzare per Roma (Prospero Gallinari che lasciava messaggi per Roma) blindata per il rapimento? Come hanno fatto a portare il cadavere dalla Magliana a via Caetani, in centro Roma tra la sede della DC e quella del PCI, di fronte ad un anfiteatro dove combattevano i gladiatori?
Come hanno fatto i servizi a “non accorgersi” della sede di via Gradoli, in un palazzo di proprietà del SISDE? Come mai Dalla Chiesa bloccò l'irruzione nel covo di via Montalcini, scoperto già nell'estate del 78, dando modo alla Brighetti di fuggire a Milano? Forse perchè la vera prigione era da un'altra parte, forse dalle parti di via Caetani stessa?
Le risposte a queste domande non le troverete nel film: e noi, forse ingenuamente, continueremo a farcele.
I link al film su Bol e ibs
Technorati: Marco Bellocchio, Aldo Moro
1 commento:
www.dirkdiggler.splinder.com vota nei commenti chi preferisci tra l'urlapiedi e l'ipnorospo, lasciando la tua firma! [votazione valida fino al primo minuto del 9 gennaio] p.s post dell'8gennaio!
un saluto compagno!
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