06 ottobre 2014

Report - non bruciamoci questa pizza

Ma se nemmeno la pizza riusciamo a tutelare, come qualità del prodotto e come marchio doc di un paese, coesa ce ne facciamo del made in Italy?
Bernardo Iovene, assieme ad altri colleghi, ha girato le pizzerie del belpaese per mostrarci il lato oscuro della pietanza più consumata e amata dagli italiani.
Il fumo nero dentro il forno, prodotto dagli idrocarburi, dalla farina, dai trucioli di legno: contiene degli idrocarburi che possono venire in contatto con la pizza. Hanno la stessa tossicità di un'autostrada dove passano i camion.
La parte bruciata sul fondo e sul bordo della pizza, che contiene sostanze cancerogene, che magari non fanno ammalare subito, ma portano il consumatore ad entrare nella fascia a rischio per la salute.
La scarsa pulizia dei forni, che vengono puliti solo una volta al giorno (e non dopo due informate come viene insegnato alle scuole di formazione).
L'olio che viene messo sulla pizza che è di palma o di girasole. Olio ricco di grassi insaturi che possono portare all'obesità e a malattie cardiovascolari. Meglio l'olio extra vergine.
Il pomodoro che non è san Marzano, come da ricetta originale, ma pomodoro oblungo se va bene, o pomodoro concentrato magari di provenienza cinese.
La mozzarella che, anziché fiordilatte campana, arriva dalla Germania.

Ma non è solo un discorso di scarsa conoscenza della modalità di cottura del forno, o di scara qualità della materia prima.
Il cartone delle pizze dovrebbe essere di cellulosa bianca, al limite quello semichimico (che dentro è marrone). Non deve essere grigio ondulato all'interno, perché significa che è riciclato ed è illegale per legge.
Ma viene usato perché così si risparmia, e chi se ne frega se poi la pizza che mangiamo, oltre ad essere bruciata, assorbe pure il riciclo del cartone.

Oltre a questo, c'è anche il business delle pizze congelate.
La più diffusa in Italia è la Cameo, che è prodotta in Germania.
In tutte la qualità dei prodotti non è eccelsa, sono piene di additivi e conservanti per dare sapore e permettere al prodotto di conservarsi.
Non solo: nelle pizzerie di Venezia (ma anche in altre città), vengono vendute pizze surgelate (o pizze con pasta preparata altrove), senza spiegarlo ai turisti, che magari pensano di mangiare una vera pizza italiana.
Anche qui, il solito discorso: chi tutela il marchio e l'immagine della pizza?

Sulla digeribilità della pizza.
La farina più comune per la pizza, la doppio zero, è quella meno digeribile di tutte. Perché è più raffinata e dunque ricca di glutine e zuccheri. Che fanno aumentare la glicemia e possono portare a rischio tumori.
Meglio una farina integrale, più ricca di sostanze che fanno bene al nostro organismo.
Ma nessuno lo dice e in poche pizzerie la si trova.

Lasciamo perdere Spontini, dove la pizza è alta e poco lievitata. Un'ora sola di lievitazione non basta, bisognerebbe attendere di più.
Il risultato sono le pizze che non si digeriscono facilmente, che ti gonfiano, che danno la sensazione di arsura.

Eppure, a saperle cercare, ci sono delle pizzerie dove il prodotto è biologico, tracciato. Dove la pasta è ben lievitata, fatta con farine ricche di minerali e proteine (non raffinata).
La differenza in termini di costi rispetto ad una pizza di bassa qualità? Da 40 centesimi ad un euro.
Visto che parliamo di un cibo che piace, forse ne vale la pena, no?
In attesa che qualcuno decida di controllare un po' cosa succede nelle pizzerie italiane.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Avevano fatto anche un consorzio, per ottenere il marchio STG, che vuol dire “Specialità Tradizionale Garantita”: si era scomodata l’Europa, si era scomodato il ministero per l’Agricoltura, lo avevano ottenuto. Poi non ha aderito nessuno. Ora.
Se non siamo capaci di tutelare e far fruttare le nostre eccellenze basta poi non 39 lamentarsi.
E anche la scuola alberghiera che insegna come si fa la pastasciutta, il risotto, non la pizza, nonostante le pizzerie siano fra i punti di ristorazione più diffusi.
Possiamo solo noi consumatori cambiare l’andazzo, perché non è tutto un disastro: i posti dove lavorano bene ci sono e andrebbero premiati e anche la differenza di prezzo è veramente minima: si va da 40 centesimi a un massimo di un euro.
Ne guadagna la salute e tutto l’indotto. E poi qualche pizzeria comincia a svuotarsi, magari cominciano a darsi da fare pulendo i forni e usando gli ingredienti che poi non ti si piazzano sullo stomaco.
Il link per rivedere la puntata.

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