26 ottobre 2014

Il costo delle tangenti

La domanda che ci faremo, nel corso della puntata di stasera di Report (curata da Stefania Rimini), è la seguente: “quante tangenti abbiamo pagato e a chi?”.
Ovvero, come funziona il meccanismo delle tangenti per le grandi opere finanziate dallo stato (cioè pagate con le nostre tasche) e a chi finiscono questi soldi? Ancora ai grandi partiti, per pagare la loro presenza sul palcoscenico della politica, le campagne elettorali? Oppure oggi il fiume della corruzione alimenta piccoli potentati che le usano per scalare i partiti?
Le tangenti si pagano ancora con mazzette fruscianti, come ai tempi di Mario Chiesa e del Psi di Craxi, oppure si usano altri strumenti, più sofisticati per sfuggire alle maglie della giustizia?

Stasera l'inchiesta si soffermerà sui casi Expo e Mose: le inchieste della magistratura e gli arresti (coi relativi patteggiamenti) hanno dimostrato ancora una volta come in Italia la mazzetta regni sovrana. Una sorta di tassa occulta che non nasce chiaramente oggi. Se ora parliamo dei casi di Milano (e della Maltauro e del consorzio CVN), potremmo parlare degli scandali del passato: i mondiali di nuoto a Roma, l'inchiesta sulla lista di Anemone, la cricca della Ferratella per le grandi opere, la bonifica che non c'è stata alla Maddalena.
Le case di Berlusconi a l'Aquila, costate una sproposito e con i balconi che cadono.
“In Italia fabbrichiamo cappotti per fare la cresta sui bottoni” disse una volta il vicedirettore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, commentando uno degli scandali di cui sopra.
Scandali che non hanno smosso di un millimetro la coscienza della classe politica, che si muove solo sull'onda emotiva della gente. A Milano, dopo l'ennesimo arresto (e col rischio di trasferire il consiglio e l'esposizione a S Vittore) hanno mandato il magistrato Cantone.
Ma le leggi e la revisione delle procedure d'appalto, ancora le dobbiamo aspettare: eppure parliamo di una tassa occulta che si mangia miliardi di soldi pubblici. Che comporta un allungamento delle opere, anche quelle utili. Col risultato che poi non si riesce a completare le opere di messa in sicurezza a Genova perché non ci sono soldi e gli appalti sono bloccati dal TAR per i ricorsi.
Col risultato che ancora ci tocca parlare del ponte sullo stretto, grazie all'accordo capestro firmato dall'Anas. Col risultato che, nonostante i tagli ai ministeri, alla ricerca, al welfare (i soldi per i malati di SLA), i costi del TAV in Val di Susa siano passati da 8 a 12 miliardi.

Sono le regole che non funzionano: sono le stesse regole che oggi salveranno gli imprenditori e i politici beccati con le mani nel sacco, con le prescrizioni e i patteggiamenti.
Quando va bene. Quando va male, tana libera tutti.
Ci sono casi di corruzione che non viaggiano col denaro, ma con altri favori, difficilmente perseguibili.
La consulenza fatta al figlio del politico, o l'assunzione della moglie, dell'amante.
I lavoro in casa, la ristrutturazione della villa, la casa con vista Colosseo comprata a sua insaputa.
Basterebbe, per evitare tutti questi sprechi, avere regole chiare e trasparenti: sapere chi si prende l'appalto (che non deve essere al minimo ribasso), limitare la catena dei subappalti, mettere online i redditi dei politici e amministratori locali che approvano i progetti delle opere, la lista nera degli imprenditori presi con le mani nella marmellata (non solo le società). E, chiaramente, rivedere il sistema delle leggi che contrastano la corruzione. Qui dovrebbe essere chiaro a tutti che non parliamo più di poche mele marce: è il sistema che è marcio dentro.
La corruzione oltre ad essere un furto (peggio delle tasse che aumentano), blocca la libera concorrenza delle imprese, perché lavorano solo quelle vicine ai politici di riferimento. Che poi sono sempre gli stessi. A Genova, a Venezia, a Milano, a Roma. Spesso sono le stesse persone già viste ai tempi di Mani pulite (Frigerio e Greganti).

Dall'anteprima su Reportime:

Uno dei pilastri di questo sistema di corruzione organizzato è, infatti, fornito proprio dalla normativa, del tutto funzionale sia nelle regole sugli appalti pubblici che sul fronte del penale sanzionatorio riservato ai reati connessi. Sembra quasi che le norme siano state disegnate da esperti in corruzione, attenti a individuare le strade migliori per consentire l’elusione delle regole.E se anche le inchieste individuano le responsabilità, le attuali leggi in materia di patteggiamento consentono ai principali responsabili di uscirne a testa alta, senza dover ammettere il reato e pagando una cifra simbolica allo Stato, senza pene accessorie.E d’altra parte, chi legifera e chi deve mettere in pratica le regole è, in buona parte, anche beneficiario del sistema stesso. La presenza di queste reti di corrotti e corruttori che sono inaffari da molto tempo, che hanno le stesse facce e che a volte ritornano anche a distanza di venti anni da Mani pulite, in qualche modo crea un patrimonio di credibilità e di reputazione.Se da una parte sono soggetti affidabili, sanno stare in affari, hanno i contatti, le relazioni giuste, dall’altra, grazie al coinvolgimento di uomini di alcuni corpi dello Stato, mettono a loro disposizione un patrimonio di informazioni ricattatorie, compromettenti rispetto ad altri protagonisti; un potenziale che in qualche modo permette loro di entrare in gioco chiedendo la loro parte. Ma all’imprenditore conviene, riesce a rientrare nel profitto grazie a riserve e varianti, tant’è che nessuno denuncia. Ci rimettono solo i pochi onesti che rifiutano di giocare secondo queste regole.

Questo governo che fa le sue battaglie ideologiche contro sindacati e articolo 18, in nome della modernità e della rottamazione, fino a quando farà finta di ignorare il problema?

La scheda della puntata “Fammi il favore” di Stefania Rimini con la collaborazione di Giorgio Mottola

Dall'Expo al Mose, tra gare decise a tavolino e fatture gonfiate, chi si prenderà i fondi neri e come?Le due grandi inchieste che hanno messo sottosopra gli organigrammi delle galassie che vivevano intorno ai lavori per l’Expo di Milano e alla maxi diga del Mose di Venezia, rischiano di arenarsi nelle secche dei patteggiamenti e delle prescrizioni. Stefania Rimini ricostruisce un sistema trasversale, che tocca politici, funzionari di amministrazioni locali e di aziende partecipate, ma anche alti ufficiali dello Stato, faccendieri, imprenditori pronti a pagare. Alla fine ognuno ha un proprio tornaconto a spese dei contribuenti.Vedremo le tecniche di tangenti a 2.0 che sono molto più sofisticate della vecchia valigetta di contanti da portare in Svizzera. Ma soprattutto ci chiederemo: com'è possibile che per tanti anni nessuno si accorga di niente?
Uno dei pilastri di questo sistema di corruzione organizzato è fornito proprio dalla normativa. A volte sembra quasi che le norme siano state disegnate da esperti in corruzione, attenti a individuare la scorciatoia migliore per consentire l’elusione delle regole.E d’altra parte, chi legifera, chi deve mettere in pratica le regole e chi deve controllare in questa brutta storia è, in buona parte, anche il beneficiario di questo sistema che non lascia scampo alle imprese che si rifiutano di stare al gioco.
Eppure la stessa Associazione nazionale Costruttori a più riprese ha proposto nuove regole per gli appalti che garantiscano trasparenza e pari opportunità: la politica ha sempre nicchiato. Anzi, proprio in contemporanea con gli scandali Expo e Mose, entra in vigore la legge delega 67/2014, che introduce la “messa in prova”, una norma che di fatto consente di estinguere reati puniti con pene fino a 4 anni di reclusione tra cui addirittura l’omessa dichiarazione, la dichiarazione infedele, il falso in bilancio, le false comunicazioni sociali, la corruzione tra privati: il passo verso l’impunità totale è breve.


L'anteprima su Reportime:




Intervista ad Arnaldo Forlani:
A fine puntata Milena Gabanelli intervista Arnaldo Forlani, già segretario della Democrazia Cristiana, Presidente del Consiglio e più volte ministro, condannato a due anni e 4 mesi nell’ambito del Processo Enimont per finanziamento illecito al partito.Ormai novantenne, Forlani è l’ultimo sopravvissuto del CAF (l’alleanza Craxi, Andreotti, Forlani) un testimone storico di quasi quarant’anni di vita politica italiana e continua a difendere la sua versione di assoluta inconsapevolezza di quanto accadeva intorno a lui nel suo partito. Tuttavia ammette che le tangenti di allora non le intascava il politico, mentre nelle attuali storie di corruzione, come per Expo e Mose, a suo giudizio, “sono in evidenza gli aspetti personali ed affaristici”. Alla domanda "la corruzione di oggi è figlia vostra, siete voi che ci avete insegnato che va avanti solo chi sa oliare", risponde con un secco "no, oggi è tutt'altra storia".Ministro degli esteri nel Governo Andreotti in carica al momento del rapimento di Aldo Moro, Forlani respinge la tesi del complotto per impedire la liberazione dell’allora presidente della DC: “può darsi che non lo abbiamo fatto bene – dice Forlani del tentativo di salvarlo - ma certamente non c’è un elemento che possa far giudicare doloso un impegno mirato alla non liberazione di Moro”.E chiude con un giudizio a distanza sull’attuale premier Matteo Renzi: “Non lo conosco personalmente”, dice, ma lo definisce un “nipotino di Fanfani” e anche un elemento di rinnovamento”, ma conclude: “ci sono fatti innovativi nella vicenda politica italiana ed europea, che di per sé nel passato non hanno portato ad una crescita, ad un’evoluzione.Il fascismo è stato un grande fatto innovativo per l’Italia, così come lo è stato il nazional-socialismo alla Germania. E non perché fossero fatti innovativi sono diventati elemento di civiltà, di progresso e di innovazione reale”.

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